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DOMENICO DADDIEGO
Storie e bellezze miglionichesi in lingua dialettale
Ultimo aggiornamento: martedì, 13 dicembre 2016 alle ore 15.09

                                      

Poesie pubblicate N. 107

Giacomo Amati
Miglionicoweb
Le poesie di Mimì Daddiego andrebbero pubblicate (13.12.16)
Giacomo Amati
Miglionicoweb
Parallelo tra l'avventura miglionichese a "Mezzogiorno in Famiglia" e la vittoria dell'Olimpia (20.11.16)
Giacomo Amati
Miglionicoweb
Pubblicate altre sei poesie di Mimì Daddiego (09.10.16)
Giacomo Amati
Miglionicoweb
Nuove emozioni dai componimenti poetici di Mimì Daddiego (23.09.16)

Giacomo Amati
Miglionicowe
b
Uniche, speciali e magiche (19.09.2016)
 

MIGLIONICO. Uniche e speciali. Magiche. Sono le poesie in dialetto miglionichese firmate dal geniale poeta Mimì Daddiego. Oggi pomeriggio, in esclusiva su Miglionicoweb, targato Labriola, ne sono state pubblicate altre nove. Come le altre settanta, già pubblicate, anche quest’ultime sono liriche di alto spessore artistico. Sono le seguenti: “L Cera’s” (Le ciliegie), “A Pizz” (La pizza), “A Fcca’zz” (La focaccia), “U Furn D Mie’nz” (Il forno di mezzo), “U Palummied” (Il colombo), “L’Alma a u Muort” (L’ anima dei defunti), “U Scuafaliett” (Lo scaldaletto), “Scappa’nn e Fuscenn” (Scappando e fuggendo), “L Chiant d fic” (La pianta del fico). Al centro di questi componimenti poetici ci sono gli usi, i costumi, le arti e le tradizioni del nostro paese. Il lettore, ormai, dovrebbe essere abituato a leggerle. Ma così non è: ti sembra di leggerle per la prima volta. Sono altri capolavori di poesia che suscitano tante altre emozioni. Per questa fondamentale ragione, il lettore non potrà mai assuefarsi a questa meravigliosa poesia in vernacolo che esprime sempre nuovi contenuti e suscita nuovi sentimenti. Daddiego scrive poesie ed è come se dipingesse. I suoi versi sono come degli affreschi. Sono quadri. “Diamanti” che luccicano. Leggi queste poesie e ti riempi di luce. Le studi e ti entrano nell’anima. E qui sono destinate ad essere conservate per un tempo illimitato. Per sempre. Sono come le “vitamine”: le prendi e ti fanno stare bene. Ti creano benessere. Sono la memoria storica della vita sociale del nostro paese. Per quanto abbiano una visibilità senza confini sul fantastico “palcoscenico” di Miglionicoweb, queste straordinarie poesie meritano anche di essere raccolte e pubblicate in un libro. Magari, questa iniziativa potrebbe essere intrapresa dal Comune. In tal modo, resterebbero patrimonio del Comune. Che ne pensa il sindaco Angelo Buono? In fondo, queste poesie riassumono la storia di Miglionico. Sono come dei “prodotti tipici” del nostro paese. Sono prodotti “Dop”, tra i più genuini da gustare: sono prodotti “a denominazione di origine protetta”. Poeta Mimì, grazie per le emozioni che ci regali con questi tuoi stupendi versi poetici. Giacomo Amati

22.08.2016
Giacomo Amati
Miglionicowe
b
Le poesie di Mimì Daddiego assicurano fortissime emozioni

 

MIGLIONICO. Emozioni forti assicurate. Sono garantite dalle stupende poesie in dialetto miglionichese scritte dal poeta Mimì Daddiego. Ieri, domenica, 21 agosto 2016, in esclusiva, sul sito “Miglionicoweb” del prof. Antonio Labriola, ovvero “l’enciclopedia” della storia miglionichese, ne sono state pubblicate altre quattro: “U Pa’les”, “Z Li’n”, “Appnnut a Co’t”, “Nuantanov’ann”. Al centro dei primi due componimenti poetici c’è la descrizione di due “storici” personaggi miglionichesi, noti soprattutto negli anni Cinquanta: erano il porta pacchi e il sacrestano. Invece, nelle altre due liriche, Daddiego mette in luce due tematiche sociali forti: una è rappresentata dall’emancipazione della donna (Appnnut a Co’t); l’altra è costituita dalla condizione di solitudine degli anziani (Nuantanov’ann). Per quanto concerne la questione femminile, va sottolineato che nei decenni scorsi,soprattutto in quelli del dopo guerra, la donna era quasi “assoggettata” all’autorità del marito e viveva, per lo più, in una condizione sociale minoritaria, senza apparente autonomia e senza indipendenza. Il bravo poeta miglionichese in questa meravigliosa poesia “dipinge” questa condizione sociale così degradante della donna e dice al maschio: “Attenzione a non tirare troppo la corda: può spezzarsi”. La poesia, quindi, è un anelito alla liberazione della condizione della donna da ogni situazione di “schiavitù”. Una poesia fantastica che rivendica la parità sociale tra i sessi: “La donna – dice il poeta – non può essere discriminata né può vivere in uno stato di subordinazione rispetto al maschio. Quindi, viene auspicata la “parità di genere”, cioè la parità dei diritti e di dignità tra gli uomini e le donne”. Stupendo! Non meno significativo è il tema della condizione di solitudine degli anziani messa in risalto nella lirica “Nuantanov’ann”. Nella fattispecie, ad ogni modo, il vecchietto in questione esprime tenerezza e prefigura un tipo di “alienazione” e di esclusione sociale più che altro immaginato dal lettore. Conclusione: siamo di fronte a dei versi poetici fenomenali: lasciano il segno. Trasmettono un tumulto di emozioni. Giacomo Amati

18.08.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

Pubblicate altre sette poesie di Mimì Daddiego
MIGLIONICO. Altre sette poesie in dialetto miglionichese, una più bella e suggestiva dell’altra, firmate dal poeta Mimì Daddiego, sono state pubblicate oggi, mercoledì 17 agosto, per la delizia dei suoi lettori, su “Miglionicoweb”, la meravigliosa “Biblioteca” creata 17 anni fa dal prof. Antonio Labriola, con l’obiettivo di dare voce alle peculiarità di Miglionico e di metterne in risalto la storia e le opere d’arte. Oggi, “Miglionicoweb” è diventato esso stesso un bene prezioso, un “tesoro”, accanto agli altri. E le poesie in vernacolo del poeta Daddiego, unitamente alla stupenda ricerca sull’artigianato e i commercianti miglionichesi, in questo periodo, contribuiscono ad amplificarne lo “share”, cioè l’indice di visione e di gradimento dei lettori.
Ma veniamo alle nuove ed entusiasmanti poesie griffate Daddiego: hanno per tema i valori dell’amicizia, della solidarietà e i ritratti di alcuni personaggi miglionichesi (il muratore, il barbiere). Al centro di questi fenomenali versi poetici ci sono anche i luoghi (il muretto del Convento, la postazione sotto il campanile dell’orologio in piazza Popolo). Non mancano neppure certe usanze (i pettegolezzi della piazza). Poesie che sembrano dei “dipinti”, quadretti della vita sociale della comunità. Ne viene fuori un vero e proprio spaccato della storia del paese: una rappresentazione poetica del tessuto sociale miglionichese. Un “ritratto” confezionato con il tocco dell’ironia che genera sorriso, senza sconfinare nel sarcasmo. Leggi queste deliziose poesie ed hai la sensazione di visualizzare i luoghi, le vicende e i personaggi descritti. Sono liriche che trasmettono un senso di tenerezza. Magia di una poesia che ti entra nell’anima. Ti attraversa l’anima. Poesie meravigliose: vorresti che non finissero. Mai.
Giacomo Amati

6.08.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

 

 

La poesia di Daddiego fa rivivere le vicende del passato e incantare il lettore
MIGLIONICO. Un inno alla vita. C’è la storia della vita di Miglionico nei versi in dialetto miglionichese del poeta Mimì Daddiego. Sono poesie che esprimono dolcezza e nostalgia. E fanno riflettere. Rispecchiano e ripercorrono la storia del nostro paese. Ad oggi (6 agosto) sono ben 59 le poesie pubblicate in esclusiva su “Miglionicoveb” del prof. Antonio Labriola. Nei versi di Daddiego ci sono le vicende miglionichesi e vari ritratti di persone e fatti, usi e costumi. Sembrano degli affreschi. Esprimono un “arcobaleno” di sentimenti. Suscitano trasporto. Un senso di meraviglia. La stessa che pervade il bambino quando lancia in cielo il suo aquilone: ci vede sempre qualcosa di bello. In particolare, nelle sue liriche Daddiego esplora la realtà miglionichese degli anni passati. Sono immagini che sembrano attuali: immagini che seducono il lettore. Leggi queste meravigliose poesie ed hai la sensazione di entrare in una vecchia cantina: vi scopri bottiglie di vini pregiati. Tre sono le qualità della sua poesia: è bellissima, seducente, popolare. E’ una poesia che riempie di gioia e nostalgia. E’ come una favola. Ha il fascino della favola: ha una sua morale.E’ ricca di insegnamenti. Oltre che di suggestioni. Ti commuove. Leggere queste poesie è come osservare un paesaggio incontaminato. La poesia di Daddiego è come una “lente d’ingrandimento”: fa rivivere le vicende miglionichesi del passato e, nel contempo, ci fa incamminare in noi stessi. Ci mette in contatto con le nostre origini. Ci fa scoprire la nostra identità. Sono tanti i ricordi che riaffiorano nella nostra mente. E’ una poesia che ci mette in contatto con la storia di Miglionico. E ci riempie gli occhi e l’anima. Giacomo Amati

17.07.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

Sono quaranta, ad oggi, le poesie in dialetto di Mimì Daddiego

 

MIGLIONICO. Quaranta. Ad oggi (domenica, 17 luglio 2016) sono ben quaranta le poesie in dialetto miglionichese scritte dal poeta miglionichese Mimì Daddiego. Praticamente, un libro. Un libro che sembra un “romanzo”. Pubblicato a puntate su “Miglionicoweb”, la splendida “biblioteca” creata 17 anni fa dal prof. Antonio Labriola.
Sono poesie “verità” che toccano i ricordi dei miglionichesi. Rispecchiano le vicende reali, i fatti, le cose, i personaggi, gli usi e i costumi del nostro paese in uno spazio temporale che va dagli anni del dopo guerra e prosegue, più o meno, fino agli anni Settanta. Quindi, il contesto sociale di riferimento è quello degli anni della rinascita e della ricostruzione. Sono gli anni susseguenti a quelli delle macerie causate del secondo conflitto mondiale.
Qual è, allora, il “segreto” del successo di questi splendidi componimenti poetici in vernacolo? Ebbene, sostanzialmente, va ricercato in tre ragioni. La prima: rappresentano un “tesoro” di ricordi. Un patrimonio di usi e costumi miglionichesi. Leggere queste poesie è come prendere visione di un “testamento”, ricco di aneddoti e di tenerezze. Nelle liriche non c’è niente di astratto. Ci sono solo fatti concreti. Vicende che danno “sapore” alla vita. Descrivono il passato. Ma guardano anche al futuro: indicano i principi guida della vita sociale. Sono il valore della solidarietà, dell’amicizia, del rispetto reciproco. La seconda: le poesie ci fanno intraprendere un “viaggio” nei sentimenti che hanno un forte impatto emotivo. Ci fanno riscoprire le cose semplici e virtuose del rapporto umano, della vita sociale di quel periodo storico. Ci fanno ritornare all’età della giovinezza. La terza: ma la bellezza di queste poesie non risiede soltanto nella “storia” del paese che ci raccontano. Non la si coglie solo nelle “scene” palpitanti che descrivono, ma anche nella delicatezza delle parole. Sono parole incisive e potenti che vanno direttamente al cuore del lettore. Giacomo Amati

   

15.07.2016
Domenico Sarli
Miglionicoweb

ROMA. Ho letto con grande attenzione le poesie di Mimì Daddiego. Mi dicono che saranno pubblicate delle altre. Mimì mi riporta alla mia fanciullezza, ricordo quando prendevamo con Franchino Capodagli “ U PUSTUAL “ per recarci con mio padre a Fontana di Noce per innaffiare “li chiantunu d’ali “ o quando frequentavano (Mimi e Franchino) la rivendita di Sali e Tabacchi gestita da mia nonna Angiolina.
Le sue poesie mi portano alla mente gli spensierati anni della mia gioventù; sono tutte degne di osservazione e meditazione. “A NCASA’ “ tutto il paese nei mesi di agosto - settembre e ottobre(si rientrava a Miglionico con la fiera di Grottole) si trasferiva in campagna nelle varie contrade dell’agro di Miglionco: erano le nostre vacanze estive (personalmente ho una forte nostalgia di quelle trascorse a Fontana di Noce).
“ U’ PUSULON “ è il luogo dove “gustavamo la frescura serale” con uno sfondo meraviglioso di un paesaggio stupendo…su questo muretto (paragonabile a quello del Gianicolo di Roma) sono state “ scattate “ centinaia di foto (propongo al Prof Labriola di istituire un link “U’ PUSULON” invitando i miglionichesi ad inviare le proprie foto realizzate in questo posto).
Sono spinto ad analizzare le altre poesie ma mi devo fermare…
Mimì rievoca un passato scomparso. Un modo di vita superato dalla “globalizzazione”. Valori che non albergano più nella nostra sfrenata vita quotidiana. In quelle poesie sono racchiuse concetti “comuni” e sono i presupposti fondamentali che la nostra generazione ha l’obbligo di trasmettere ai propri figli per capire e costruire un futuro migliore. Non si fa storia senza analizzare il” passato “.
Come già avevo esternato per l’opera di “Proverbi e detti Lucani” di Elisabetta De Lucia e Angela Matera e per “DETTI E RIDETTI “ di Maria Pecora anche le poesie di MIMI’ Daddiego (mi auguro che siano raccolte e pubblicate in un volume) sono da inserire nella Biblioteca del Patrimonio –Artistico Culturale della nostra regione. Il dialetto è un pregevole bene culturale. Il dialetto ci aiuta a ripercorrere il nostro passato che deve essere preservato ed esteso alle nuove generazioni.
E’importante la tutela di questo patrimonio. Condivido la proposta del Prof. Giacomo Amati di leggerle e studiarle alla scuola di base. Pertanto mi rivolgo al Prof. Amati (all’amico Gigino) in qualità di ex dirigente dell’Istituto Comprensivo Don Donato Gallucci, al fine di responsabilizzare la scuola pubblica locale nell’attuazione di un progetto teso a salvare e dare vita al dialetto. Propongo di utilizzare questi testi (Mimì!!! per Natale devi pubblicare le poesie) nelle classi dell’ultimo anno della scuola media inferiore, in ottemperanza a quanto previsto dal programma di italiano della scuola media inferiore e cioè di “mettere in luce l’apporto dei dialetti e la loro utilizzazione pratica espressiva (in canti, racconti, poesie e proverbi). Mimmo Sarli

17.07.2016
Giacomo Amati
La Gazzetta del Mezzogiorno

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14.07.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

Al mio padrino Mimì Daddiego
Nunzia Dimarsico
MIGLIONICO. “Al mio padrino Mimì Daddiego”. E’ il titolo della commovente poesia che la poetessa miglionichese Nunzia Dimarsico, “figlioccia” (nel senso religioso) di Mimì Daddiego, dedica al suo padrino di Battesimo. A beneficio dei lettori, giova sottolineare che i due poeti miglionichesi, per tanti anni, avevano come “smarrito” il loro legame parentale: erano diventati quasi degli “sconosciuti”. Poi, il “miracolo”: la comune passione per la poesia li ha avvicinati. E si sono riscoperti. Su “Miglionicoweb”. Leggendo e ammirando i rispettivi componimenti poetici. Da qui il senso di questa bellissima poesia che ha il suono dell’amore. E’ un’esplosione di gioia! Un concentrato di ammirazione che Dimarsico esprime alla persona che, battezzandola cinquant’anni fa, ne ereditò il compito di assisterla e sostenerla, ovviamente, a fianco dei suoi genitori. E’ un componimento poetico dolcissimo, quasi “romantico”. Nei 28 versi della lirica è particolarmente suggestivo quel “Ti ritrovo”, ripetuto ben sei volte. Ne sottolinea l’affetto ritrovato. Un sentimento prorompente che rende felice la poetessa. Un delicato stato d’animo che lei non può più nascondere. Nella poesia, quindi, c’è tutta l’emozione di un “silenzio” che non è più tale. Finalmente è diventato una “voce”. Una voce d’amore. Giacomo Amati

13.07.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

MIGLIONICO. Gioia e nostalgia. Sono questi i sentimenti prevalenti che da alcuni giorni, vivono i lettori più assidui delle poesie in dialetto miglionichese, scritte dal poeta Mimì Daddiego. Sono pubblicate, in esclusiva, su “Miglionicoweb” del prof. Antonio Labriola.
Il “sito-biblioteca” che da 17 anni, ormai, rappresenta il punto di riferimento, quasi un “compagno di viaggio”, soprattutto, per i numerosi concittadini che risiedono nelle città italiane e all’estero. Al centro di questi deliziosi componimenti poetici c’è la storia di Miglionico. Ci sono gli usi, i costumi, le tradizioni della nostra popolazione. C’è il racconto di quella che ne era la vita sociale negli anni del secolo scorso (1900). Finora, complessivamente, sono state pubblicate 31 liriche: ieri, martedì 12 luglio, ne sono state messe “in onda” altre tre. Sono intitolate, “A Frasch”, “U Pustual”, “U Cuannizz”. Sono versi suggestivi: in essi non ci sono soltanto i segni della tradizione miglionichese. C’è molto altro: c’è la testimonianza di un patrimonio di vita. Quello fondato sulle cose semplici. C’è il racconto di un modo di essere; c’è la descrizione di come eravamo alcuni decenni fa. Ci sono le nostre radici. Ecco spiegato, allora, il “segreto” del successo di queste poesie. Hanno il carattere della “popolarità”. Sono come dei “flash-back” sulle vicende passate dei miglionichesi. Sono poesie che si trasformano in un “romanzo popolare”: sono la documentazione di un passato che, per certi aspetti, vorremmo che fosse ancora il nostro presente. Per riassaporare il gusto della vita sociale semplice dei nostri antenati. In fondo, queste poesie rappresentano una sorta di “love story” col nostro paese. Per tutte queste ragioni, sarebbe bello, utile, educativo leggerle e studiarle a scuola, agli alunni, con gli studenti e gli insegnanti della nostra scuola di base. Giacomo Amati

 

 
 

 

 

Al mio padrino Mimì Daddiego
Ti ritrovo
nella nostalgia del tempo
e con la parola immutata
nelle radici vissute.
Ti ritrovo
in una voce composta
e in un richiamo cresciuto
sui sentieri…
dei pensieri fioriti nelle albe assolate.
Ti ritrovo
lungo il cammino della vita
e nei silenzi smarriti.
Ti ritrovo
in un sogno comune
e dentro una vena ricolma
di una parlantina animosa…
… ed è come se il tempo
si fosse avvolto a ritroso
fino al giorno di un battesimo.
Ti ritrovo e ti canto
con un verso diverso dal tuo
per dirti di non tacere
anche quando il destino
ti vuole assorto nella ragione sovrana.
Ti ritrovo
e mi fermo…
in un ricordo rinato
all’ombra della tua parola possente!

Nunzia Dimarsico
14 luglio 2016

(www.miglionicoweb.it)

13.07.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

Gioia e nostalgia nei versi di Mimì Daddiego

MIGLIONICO. Gioia e nostalgia. Sono questi i sentimenti prevalenti che da alcuni giorni, vivono i lettori più assidui delle poesie in dialetto miglionichese, scritte dal poeta Mimì Daddiego. Sono pubblicate, in esclusiva, su “Miglionicoweb” del prof. Antonio Labriola.
Il “sito-biblioteca” che da 17 anni, ormai, rappresenta il punto di riferimento, quasi un “compagno di viaggio”, soprattutto, per i numerosi concittadini che risiedono nelle città italiane e all’estero. Al centro di questi deliziosi componimenti poetici c’è la storia di Miglionico. Ci sono gli usi, i costumi, le tradizioni della nostra popolazione. C’è il racconto di quella che ne era la vita sociale negli anni del secolo scorso (1900). Finora, complessivamente, sono state pubblicate 31 liriche: ieri, martedì 12 luglio, ne sono state messe “in onda” altre tre. Sono intitolate, “A Frasch”, “U Pustual”, “U Cuannizz”. Sono versi suggestivi: in essi non ci sono soltanto i segni della tradizione miglionichese. C’è molto altro: c’è la testimonianza di un patrimonio di vita. Quello fondato sulle cose semplici. C’è il racconto di un modo di essere; c’è la descrizione di come eravamo alcuni decenni fa. Ci sono le nostre radici. Ecco spiegato, allora, il “segreto” del successo di queste poesie. Hanno il carattere della “popolarità”. Sono come dei “flash-back” sulle vicende passate dei miglionichesi. Sono poesie che si trasformano in un “romanzo popolare”: sono la documentazione di un passato che, per certi aspetti, vorremmo che fosse ancora il nostro presente. Per riassaporare il gusto della vita sociale semplice dei nostri antenati. In fondo, queste poesie rappresentano una sorta di “love story” col nostro paese. Per tutte queste ragioni, sarebbe bello, utile, educativo leggerle e studiarle a scuola, agli alunni, con gli studenti e gli insegnanti della nostra scuola di base. Giacomo Amati

6.07.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

La poesia in vernacolo di Mimì Daddiego

MIGLIONICO. Novità nel panorama letterario miglionichese: è rappresentata dalla poesia in vernacolo di Mimì Daddiego (75 anni, miglionichese doc) che, da tanti anni, ormai, vive nella città dei Sassi. Sono state sufficienti otto sue poesie scritte in dialetto miglionichese, tutte pubblicate sul sito di “Miglioncoweb”, creato diciassette anni fa dal prof. Antonio Labriola, per catturare l’attenzione dell’intera comunità. Oggi, mercoledì 6 luglio 2016, ne sono state pubblicate altre venti: esplorano la vita sociale del paese, mettendone in risalto usi, costumi e tradizioni. Sono delle delizie: le leggi e ti commuovi. Sembra di leggere alcune “pagine” della storia del nostro paese. E’ come ricevere delle carezze! In paese, in questi giorni, tutti ne parlano, le leggono e si emozionano. “Magie” della poesia dialettale: è come se avesse sbancato “la classifica Autidel” della cronaca cittadina. Ma, cosa hanno di particolare e, soprattutto, cosa dicono questi componimenti poetici, di così importante e significativo, al punto da monopolizzare l’attenzione dei miglionichesi? Ebbene, la poesia di Daddiego ha stregato i miglionichesi, soprattutto quelli meno giovani, in virtù di tre ragioni essenziali. La prima: raccontano il passato. Nei suoi versi, il poeta miglionichese descrive i suoi sentimenti nei confronti del paese natio; indica le cose che gli mancano di Miglionico e, così facendo, finisce col regalare al lettore le emozioni incomparabili ed uniche di una “storia d’amore senza tempo”. Sono quelle che scaturiscono da una visione della vita fondata sulle buone maniere, sul senso dell’umiltà, sull’amicizia e sulla capacità di prendersi cura, nel momento del bisogno, dei problemi del prossimo. Altro che società “globalizzata” d’oggi, ove, l’indifferenza e la solitudine sembrano essere gli atteggiamenti prevalenti. La seconda ragione del successo delle poesie di Daddiego è riconducibile al fatto che questi versi fanno rivivere ai miglionichesi la loro “miglionichesità”, ovvero le loro origini e la loro identità, fondate sull’operosità, sulla generosità e sulla visione solidaristica della vita. Di quando era sufficiente bere l’acqua fresca della sorgente “Pila” per sentirsi felici. La terza ragione, infine, consiste nell’auspicio che l’autore rivolge al suo paese natio: quello di tornare alle virtù del passato. Per tornare a risplendere. Per riscoprire un nuovo “rinascimento”. In pratica, Daddiego esorta la comunità miglionichese a rivivere al massimo quei comportamenti virtuosi che, in passato, una sorta di “età dell’oro”, ne contraddistinguevano la vita sociale: il senso della solidarietà, il rispetto reciproco, l’attenzione al bene comune e la riscoperta di alcuni valori fondanti della vita comunitaria: l’amicizia, l’amore per il prossimo, l’impegno civile, l’assiduità nel lavoro. Giacomo Amati

28.06.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

Sono tutte in evidenze le poesie di Mimì Daddiego

MIGLIONICO. In prima pagina. Giusto così. Stanno tutte in evidenza nella copertina di “Miglionicoweb” le meravigliose poesie in dialetto miglionichese scritte dal poeta Mimì Daddiego. Il prof. Antonio Labriola le ha collocate in un’apposita rubrica, “L’Angolo della poesia”. Quest’ultima è richiamata, con un riquadro, anche nella colonna di sinistra. E’ il segnale che piacciono. Regalano emozioni. Fanno impazzire di nostalgia soprattutto i miglionichesi residenti sia nelle varie città italiane sia all’estero. Tanto di cappello a Mimì Daddiego! Ieri sera (lunedì, 27 giugno) ne sono state pubblicate altre quattro: “A Callar”, “U Pais Mi”, “A Staccia”, “Don Mario”. In esse ci sono pensieri e sentimenti. Ragione ed emozione si fondono al meglio. Sono poesie strepitose: si attaccano alla nostra pelle, a quella dei miglionichesi. Esprimono la nostra identità. Raccontano le nostre origini. Ci aiutano a capire la nostra storia. Nella poesia, “A Callar”, l’autore spiega che cosa avveniva nelle strade del nostro paese, alle prime ore del giorno, prima del “debutto” dei servizi igienici. Negli anni del dopo guerra e per i primi anni Sessanta, nelle abitazioni dei miglionichesi non esistevano ancora i bagni. Allora, andava in “onda” la cosiddetta “callara”, un motocarro che raccoglieva a bordo una sorta di “raccolta differenziata”, scrive opportunamente Daddiego. A quei tempi, non era semplice andare in bagno. Attraverso l’immagine di quel motocarro, Daddiego “fotografa” la storia della miseria e delle ristrettezze economiche. Condizioni, quest’ultime, che rispecchiavano quelle dell’Italia del dopo guerra. Obbiettivamente, non era facile indossare i panni del poeta per descrivere quelle immagini. Ma Daddiego se l’è cavata molto bene. Splendide, poi, sono le poesie “U Pais Mi” e la “Staccia”. Sono i “selfie” del nostro paese. Infine, la commovente poesia su “Don Mario”, la cui immagine viene così magistralmente descritta: “Dopp nu mes…tuttl’ vagnunappries a hidd. Pur l’ cumunist.. u volnbben”. Era appena trascorso un mese dal suo arrivo in paese (28 novembre 1965) e tutte le persone gli andavano dietro. Poesie da brivido. Degne di Trilussa. Giacomo Amati

 

24.06.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

MIGLIONICO - L'altar'
Splendida poesia di Mimì Daddiego

MIGLIONICO. Il tempo corre veloce nella realtà d’oggi. Ma il poeta miglionichese Mimì Daddiego sembra fermarlo nella sua splendida poesia in dialetto miglionichese, “L’Altar” (Altare), la quarta pubblicata in esclusiva su “Miglionicoweb”. Un componimento poetico fantastico, costituito da 14 versi che ci fanno rivivere i valori della “Civiltà contadina” e che ritraggono la mitica figura del contadino, “scarpa grossa e cervello fino” (geniale), capace di vivere in povertà e in ricchezza, prendendosi cura del suo tomolo (4 mila metri quadri) di terra. Gli bastava. Era sufficiente questa sua “creatura” per vivere in libertà e in modo sereno. L’altare era il luogo in cui il contadino, quotidianamente, “zuopp’ e zuopp” (anche quando era claudicante) si recava a lavorare. Nella poesia, l’altare simboleggia lo spazio del suo lavoro che, fino agli anni Settanta, più o meno, faceva parte della vita di ciascun miglionichese. Nel suo orto, il contadino metteva a dimora i semi della vita: i ceci, le fave, i pomodori, eccetera. Ed era capace di curarne amorevolmente ogni piccolo germoglio. Amava osservare e nutrire quelle sue piante che, poi, avrebbero generato gli alimenti essenziali della sua mensa. La poesia ci fa riflettere sul lavoro del contadino, faticoso, ma appagante e fa gonfiare il cuore del lettore per un’attività lavorativa, poco di moda oggi, ma sempre affascinante. Tra i contadini, infine, Daddiego ricorda l’immagine di colui che col “libro dei salmi sott’ a luvrazz” (sotto il braccio), camminando “a nu cuost” (zoppicando e curvandosi su di un lato) si recava comunque in campagna, nel suo orto: era … “G’sepp’ Lambascion”, Giuseppe Clementelli. Giacomo Amati

 

23.06.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

MIGLIONICO - Un'altra poesia di Mimì Daddiego
E' un'opera d'arte la poesia A Pil'

MIGLIONICO. Come un “dipinto”. Un’opera d’arte.E’ la poesia, “A Pil”, firmata Mimì Daddiego. La terza poesia pubblicata in esclusiva su “Migliocoweb”, per la delizia dei suoi lettori. Sono 18 versi di “storia” miglionichese. Tutto il componimento poetico è strutturato sull’immagine della fontana, che può essere vista come metafora della vita del nostro paese. Nell’immagine della Pila, sorgente di vita, si può scorgere quella operosa della comunità. “L’acqua della Pila scorre da sempre – dice Daddiego – scorre e basta”. Cioè: dona amore senza se e senza ma. Non pone condizioni: ama e basta. Se la tocchi ne senti la carezza. La puoi bere nel cavo delle mani oppure direttamente alla sorgente. Sarà sempre fonte di ristoro. Siamo in presenza di un canto poetico dolcissimo: ci fa riscoprire e rivivere i bei tempi degli anni passati, quando si era felici anche bevendo solo un po’ d’acqua fresca. Daddiego fa “parlare” l’acqua della fontana e ci “racconta” la nostra storia. Ce la fa riscoprire: è quella fondata sulle virtù: l’assiduità del lavoro, la capacità d’amare e di rispettare l’amico. E’ una storia che si fa poesia. Una poesia d’amore. Conclusione: laudato si, Mimmo Daddiego, per aver fatto “rivivere” la sor’(sorella) acqua de la “Pil”.
P. S. A beneficio dei lettori, giova ricordare che la fontana “Pila” rappresenta un unico esempio di “sorgente captata” all’interno dell’agro miglionichese. E’ costituita da due vasche e da alcuni lavatoi. Fu costruita al coperto ottant’anni fa, nel 1936. Ha una portata che va da un minimo di 0,85 litri al secondo ad un massimo di 1,44 litri al secondo.
Giacomo Amati

 

12.06.2016
Giacomo Amati
Miglionicoweb

MIGLIONICO - Raccontano il passato, ma guardano al futuro le liriche di Mimì Daddiego
”M’ manch’n” e “U’Pusulon”: due perle di poesie!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

U’Pusulon. Nicola dell'Edera, Vincenzo Labriola, Paolo e Michele Sanfrancesco

MIGLIONICO. Occhi puntati su due poesie. In esclusiva, su “Miglionicoweb”, la meravigliosa “biblioteca” creata dall’amatissimo prof. Antonio Labriola, da alcuni giorni, è possibile estasiarsi con la lettura di due straordinarie poesie scritte in dialetto miglionichese da Mimì Daddiego, storico presidente dell’Olimpia, mitica squadra di calcio, creata dal compianto don Mario Spinello e tanto amata dai miglionichesi negli anni Sessanta. Si tratta di “M’ manch’n” e di “U’Pusulon”: due perle di poesie! Raccontano il passato, ma guardano al futuro. In particolare, nei versi della lirica “M’manch’n” (Mi mancano), l’autore descrive i suoi sentimenti nei confronti del suo e del nostro amato paese natio. Indica le cose che gli mancano di Miglionico e regala al lettore le emozioni incomparabili ed uniche di una “storia d’amore senza tempo”. Nell’altra poesia, “U’Pusulon” (Il Muretto), il poeta miglionichese fa “viaggiare il lettore nel tempo passato: descrive il fascino di un luogo privilegiato dagli adolescenti miglionichesi, facendoli impazzire di emozioni forti: è la zona dietro al castello, insuperabile punto d’osservazione del “mondo” circostante e “ritrovo” dei tanti “sogni” degli adolescenti miglionichesi. Due poesie che hanno riscosso un successo strepitoso: fanno impazzire i miglionichesi, almeno quelli di una certa età, come lo scrivente. “Leggere queste due poesie – ha sottolineato Franco Centonze – è come rivedere le immagini di un film: il film della nostra vita adolescenziale. Ci riportano alle radici della nostra vita e ci fanno riscoprire le nostre origini”. Ci emozionano perché ci fanno rivivere la nostra “miglionichesità”.E l’altra sera, proprio per rivivere certe indimenticabili emozioni, io, Franco Centonze, Michelino Finamore e Peppinuccio Buzzella siamo ritornati a rivedere il posto de “U’Pusulon”. Adesso, in sostituzione del muretto ci sono i fiori. Ma per noi è stato come rivedere “U’Pusulon”: è stato come fare un “selfie”. Abbiamo letto e riletto le poesie di Mimì: abbiamo chiuso gli occhi e abbiamo rivisto alcune immagini della nostra adolescenza: sono “dipinte”e “fotografate” in questedue straordinarie ed emozionanti poesie. Carissimo Mimì, grazie per averle scritte. Giacomo Amati

 
A Callar' (01)
C’è cos. Eppur a p'nzà, josc',
ssacc' se fazz' buon' a r'curduà.
Ma sì oggi la chiameremmo
raccolta differenziata.
Thuu… thuu… thuu,
a matina prest',
s' m'ttev' a contrast',
ch' la machn du cuafè, sch…sch…sch…
l' femm'n' cu vuas' 'mbrazz' com' na zzol',
scev'n' a d'vacà.
E dov' scev' a f'rnesc',
luntuan', luntuan' vicin' a V'rad'n'.
Eppur' quann' ier sicc't',
cumbua Uel' l' mttev' a l' rap'.
Bell cim', dulc'.
Com fa cumbua Uè,

ci sapiess' ben' a cumbuà…

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'
 
U PAIS MI (02)
Quat è bell u pais mi.
C’è bell crstian ca stonn,
tutt aducat e cumbarr sim
buon giorno cumbaMMì,
bona ser cumma Rusì,
quann pass vicin a na cas dov stonn mangiann,
favurit, grazie buon apptit
Quat è bell u pais mi.
Quann voch a Irottl m discn pappaculumbriedd e napulicch,
sì e vu c’è vulit mbmblecchr e scvlat.
Sono pronto a difendere le mie origini.
Quat è bell u pais mi.
Lu quastiedd e la sua storia,
s vet pur in television e sop a shcatl dl fiemmifr.
U pais mi è semp bell.

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'
 
A STACCIA (03)
Quant’è bell
a sciuquà a stacc.
Sciuquariedd ca nan s paj nudd.
Na pesc-ca chiattarrol,
nu fussariedd e mienz matton ch mestr.
Tutt a turn a uardà,
a crtcà e abbatt l man.
Quatt solt, nu button, nu cacarron,
s’accummenz: do l si è acchiat inda u Uaddon?
Chiattann chiattan, dritt dritt a nu spicul,
fasc cadè u matton sop a u fussaredd.
Tutt…. a me
.
 

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'

 
DON MARIO (04)
E moo, ci jè cuss,
nu n’aspttann a Don Mchel,
sapim sol ca tenev a squadr d Cristo Rè a Pstizz,
semp meggh d cudd ca snè ggiut, patr’Alfons.
I m so mis subbt a disposizion.
Dopp nu mes… tutt l uagnun appriess a Hidd.
Ha mis lu pais sottasop,
viecch, irann, pccninn, uagnedd e femmn irann.
E uà a parlà mal d don Mario,
pur l cumunist… u voln bben.

 

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'

 

L’Altar' (05)
Na spadd' d' terr' d' nu tum'm'n' e mienz',
a na cost', sott' a torr' dret' a u muruagghion',
quann' s' và a lu turchian'.
Mette a dimora na faf', nu cec'r',
na bella chiandaredd' d' p'mm'dor',
pur' lu jav'licch'.
Invoca con il giusto Salmo il Signore,
affinchè avvenga il miracolo,
il raccolto che gioverà alla famiglia.
Zuopp' zuopp' a nu cuost'
s' n' ven' da dret' au muragghion',
con il frutto della terra.
Il libro dei salmi sott' a lu vruazz',
È idd'…. G'sepp' Lambascion'.
 

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'

 

A pil' (06)
E… men', men' sempr'.
Manc' papà s’arr'cord'
da quann' men'.
Ristoro per i viandanti,
gli accalorati ed animali.
S’arrcrej u ciucc ca ven' da fòr
s’arrcrej u mul' car'ch d' lion'.
L' femm'n' vonn' a r'c'ntà la dòt'.
Mengarusria, fasc' cert' sc'cocch'
ca so quant' a josc e crà.
E l' pastnach' a màzz', bel'l dulc'.
U mied'ch' a mosch':
fascit'l' mangià a l' crietu'r ca fasc'n' ben.
Pur' u m'lon' d’acqq s fascev' arr'fr'sh'cà
a menzannott' prim' d' mangià.
A pìl' tant' cannun' d’acqqua freshc,
ma u meggh' cannon e cudd' ca t' chich',
viv', t’arrcrij e nan' t’abbott' mich'.
 

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'

 

U' PUSULON' (07)
Quant’è bell' u pusulon' dret' a u quastiedd'.
Iè d' ncment', bell' lisc' lisc' senza spigul',
iè tuttì attunnuat.
La staggion', a la cuntror', t’àssiett' e s' stà bell' frisch', frisch'.
Specialmente se men' na vav' d' vient',
e lu chianton' d' la maul' t' t't'chesc(i)' dret a l' recch'.
Quant’è bell' u pusulon' dret' a u quastiedd'.
S ved' la Mambrrar', u Conch', Frannin', a Purtucedd'
ci t' spuost' picca picch, Sant V'las, Montacut', Mont'
e ci t’aggiust' n' picch' l’uocchì pur lu muar'…
Quant’è bell' u pusulon' dret' a u quastiedd.
L' uagnaredd' sciochn' ch' l' cing'nnel',
l' uagnun' na partit' al cart'… 10 lir'.
Quant’è bell u pusulon dret' a u quastiedd'.
Ci fai tre pass chiù 'nnanz', appuggiuat' a u pont',
s ved' la vienov', Maria Carmenia, la pila, la stanzionì, l’ulm'.
A cantunier, la Tr'n'tà, a curv d' Stancaron'
E ci si furtunuat' pur' l’automobb'l' ca camin'.
Quant’è bell' u pusulon' dret' a u quastiedd'.
Ci aspiett' n' picch', ven' jedd':
Uei Marieeee, a v'nì staser'?
Cont' fino a dieci e… ssinnn'.
L’ecotelefono ha funzionato.
Quant’è bell u pusulon dret' a u quastiedd'.
Tanta ggent' ven' e uard' a campagn',
dd’à 'ngè cudd', a u cuost' cuddolt'.
Cudd' ca fasc' fum', 'mborn' l' fich'.
Quant’è bell u pusulon' dret' a u quastiedd'.
Pur' d' viern' è bell', è r'parat' da lu vient',
u sol' bell' call' call', t’assiett' sop' a u 'ngment' angall'sciut',
e t’arr'crije u culariedd'.
Quant’è bell u pusulon' dret' a u quastiedd'.
T parev'…
Arriv' idd' e 'nda l’angul' s' mett' a piscià.
Quant’è bell'… u pusulon'... dret' a u quastiedd'.
 

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'

 

M' MANCH'N' (08)
Quant' cos' m' manch'n':
Sop' e sott' ndà a chiazz',
sciuta-v'nut da u' quastiedd',
corr' a v'dè a bedd' quann' fasc'n a palat',
quann' s 'sfasc'n l' ruagn' a lu funtuanin',
quann'… ciocch' la zìt',
quann' s’accòcch'n' l' can',
la banna cozzavuffl',
la bann' n'dà chiazz',
la banna frastera,
la campa'n d' l’arlocie,
la campan' d' m'nz juorn',
e perché no, la campan' du muort' e chedd d' lu mutuciedd',
e aspiett' la campan' ca dà l' 'nduocch'
vuò sapè ci è mascul' o femmn',
la campanedd' d' l' putrustant',
u' vient' d' la f'caredd',
dà la man' a… lu muort',
la trocch'l' e u trucculon',
u scettabbann',
a sfott' qualcun 'nda chiazz',
il Mosè quann' jess' u Suant',
l’addor' quann' spar' la battarì,
l’addor' d' lu ciulisc(i)',
la senzazzion' d' chedd' ca m’à uardat',
passà vicin' a na cantin' o bar e s'ntì… julm' a mest’Attigl',
la campanedd' du l'lluattar',
è abbasciat' lu pesc(i)' a la chiazz',
u rrumor' d' cudd' ca venn' l' piatt',
u fual'gnam', cu muetr' 'nda sacch' pron't a pgghiart' a ….m'sur',
a p'zzca't a lu vuecch' ass'tta't a u psuul' da chies' e ca t' disc(i)'
a u pusul' t’aspet't, se ciàrriv'.
 

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'

 

U VULPIN (09)
Il nerbo… del bue,
salato, curato e attorcigliato.
Na mazzat e sciev sc-camann,
currenn ch tutt u pais.
Brsc-con e P-ppin a uardia,
ern i chiù ftus.

L PNNACCH
(10)
Sono il fiori della cannazza.
Quanta neggh sflat, a chil,
l purtav a Trumbett ch desc lir.
Srvev al bianchsciatur,
a fa u pnniedd.
Dopp bianchsciat,
s vdev pur a cas,
a sflazzch du pnniedd.

U MZZON
(11)
Aa… pont d lu spingul,
ngèr u mzzon.
Ma fa trà na buccunat?
Trav, t scallav u muss
e tarrcrjav.
Nann parlam quann,
turnann da lu quastiedd,
s sntiev l’addor d la scarett amrcan,
cu lu nas, lu sciev dret dret,
figne ndo u barr a u funn a u funn,
t mttiev a lu cuost
e ch la cot d l’uocch,
picca prim ca la scttav….
…M fa trà na buccunat.

L RUAGN
(12)
Arrvav cu ciucc,
do casciett chien d ruagn,
cumba Cicciell u frnacial da Jrottl.
Zzol, zzledd, cucm e cucumicch,
pur lu scarfudd e…
su ordinazione, u pdal.
Tnev pur cudd… ruagn,
ch tant vuccaredd,
mttiev ummier e da na sola vocc…
s v-vev.

BENIT (13)
All tre d la doppmangiat,
passav Benit,
ch na tavl d pan call,
passav da indachiazz
c’è addor d pan call.
Non tutti se lo potevano permattere,
s campav d’addor.
Ma da quann è vnut u bbacil…
A mè… a mbastà,
a lu pprim o al dò.

L’ACQUA FRES-SCH
(14)
E c’è jè mo na v-vut d’acqua fres-sch.
La zledd appnnut a u chiuv,
nnanz a fnestr.
U call da ser d luggh, cè jè meggh,
d na v-vutt a zledd.
Nu vaas cu lu rrumor, arrazzend.
E c’è jè mo na v-vut d’acqua fres-sch.

ANTUNI’
(15)
Nan sacc si s’ausa ancor,
al tiemp mi, si.
U juorn d Sant-Antuon,
( masc-cr e suon ),
u sant d l vèstie,
si bardavano i cavalli i muli e pur lu ciucc,
parevn bell ch l strisciolin e l cocc ross al recch.
Tre gir attur a chessie,
e po’… tutt for a fatjà.
E nan è frnut ancor.
U zappator devot,
offriv a u sant u purciedd,
s tagghiavn la cot e l rrecch
e scev libbr cu pais,
s chiamav ANTUNI’.

U CHCOMBR
(16)
Sap bell u chcombr,
tuort e stuort,
tnev a varv d nu spuntunacch.
L’annuscev da fòr Pasqual Suillo,
stev d cas a pon a pont du zampill,
sott a u Direttor.
S mttev ndà chiazza cuert,
a nu cuanton sop al scal.
Nu panaron chin chin ca subburrav d chcumbr.
Desc lir, u funtanin a purtat d man,
na lavat e… tracch nu muozzch.
A ser a cas, papà l purtav
e a rutedd inda nzlat d pmmdor,
n picca d’uoggh n picca d’acqua e pan a volontà.
Che cena… u mmangià dla sèr.

A SRNAT
(17)
C’è bella cos,
na srnat fatt a mstier.
Cicc, tatt e palumm.
La soavità del violino,
l’accompagno della chitarra,
na vosc, ca t cant l’amore.
E’ ver ca cert volt,
t’abbuschav nu vacil d’acqua.
Ma la soddisfazione er assà,
quann chedd aprev u scurin dret a u vitr
e cudd ca t dev nu pacchett d nazional.

A NCASA’
(18)
L ferje s l so nvtat l mlanis.
E’ buscì.
Da secul e secul u migghiunuques
S và a ncasà.
Non ch nu mes ma ch tre mis.
Ci nan ten l’uort, s l’affitt,
iacch tutt l frutt, a disposizion,
men la vign.
Dal fich fasc tutt cos
ca servn d viern, quann nan ngè nudd.
L pèr, l chtogn, l pmmdor, u javlicch,
l prunedd l casc-cavedd.
E do l mitt chedd’aria bell du mes d sttiembr.
Stellin è accis u rrizz,
suc e spachiett p tutt a cumbrsazion…erm vìnt.

A FE’R
(19)
Do volt all’ann s fasc a fèr,
abbasc a u mulin,
quanta bbarracch, tutt cos, s venn, pur u ciucc.
A pruvvist cu viern,
pannett, magl, calzniett,
a lan chedda vèrgn,d pècur,
chedd ca ponge quann t mitt a magl.
Attient al zignr… tenn la lamett sop a niedd,
tagghn a mariol e t frecn l solt.
Pur nù naccattamm u purciedd,
u crscemm cu ciulisc, a canigghiata, a saltoscn,
calaprisc e scorz d mlun a volontà.
L’ann appriess saccdev
e nger da mangià tutt l’ann.
Quanta crstian, saccattavn a spuletta bianca e nera,
u dsc-tal e l’ach, a spingula irann e chedda pccnenn,
gnuommr d fil d tutt clur, ch rcamà.
T rtrav stanch muort,
cuntent ca a vist, tutt ciò can-an sapiev.

A TELEVISION
(20)
Oh… oh… nan spngit
Tutt nnanz a u tabbacchin
d Lcrezia Vntur,
Vcienz Abbriol ten a television
E l venn pur.
Nu scquatlon ch nu vitr a specch
s vetn l cr-stian ca caminn e parln,
è com nu cinm pccninn.
S vet u Pap, a partit d pallon, a cors d l cavadd,
ma uard n picch, c’è cosa bell.
S l’è accattò Gigin Frescur e scemm dà,
t vi-è purtà a sedia, snò stiev ambiet.
Poo a democrazia cristian poo le acli
e poo tutt quant.

LA FIC
(21)
I canosch sol quatt qualtà d fic.
La fica jettata, bella corposa cu lu mmel ncul.
La fica ross, quann l’apriev t’arrcriav, sol a vderl.
La fica gnor, ross da indr e bella sapurit.
E poo la reggina delle fiche… la fica cantan,
indescrivibile, quann aprèv u cul, com na vocca ross.
Cu pdcin mman, plufft mmocch, u sapor can an s pot disc,
sct-tav sol u pdcin.
S mbornn, ch la mell, jettat, la puup,
e com sapn l spachiett cu uc- cuott.
In genere u mangion d fic, pappaculumbriedd,
scett sol u pdcin,
sol accussì s veet ca sì migghunuques.

LA CRICCA
(22)
So uagnun d josc,
chidd ca vonn vist picca picca a uerr,
e chidd ca l’ann sntut da a mamm e attan.
Nzomm chidd ca so nat ndà ventr da vacc.
L’amisc d l’amisc nuostr,
l’ann patut, murenn, prdenn l’uocch e cuddolt cu spauiend.
So uagnun nat cu roccarroll, cu bucbuc,
cu volare e ciao bambina.
Quann n salutamm dscem cià.
Ch l viecch erm ropacazz e scustumat.
Mmadonn ci assevn iosc da sottaterr,
scurament s prucuav da sul...

ME’ DITT SIN
(23)
C’è bella sciurnata jsc.
Uagliè n mmà fa zit?
T gghiè dà a rspost.
Quanta volt a passà nnanz a vtrin da cas,
m’è vist, sacc.
Inda chessie, a prggssion,
a passegg nnanz a Mclon,
l’eggh tuccat cu iuvt.
Nudd, c’è disperazione.
Meggh fatt curagg e ndà strett d Maggior…
L’eggh affrrat e l’eggh dat nu uas.
Nan m’è ditt nudd, com se l’avess fulmnat,
m’è ditt sol n vdim nota volt,
m’è dat nu vas e snè scappat.
C’è bella sciurnata aiier ser.

NATAL
(24)
Quant i er bell,
a matin d Natal,
u custumin nuov, a cammsol bianca,
e vai, dov? A dà u buon Natal
a tutt l parient, cumbar e cummar.
Buon giorno e buon Natal,
desc lir ern asscurat e quann t’cchiav ch l cuggin:
quant’afatt? Ducientrenta lir,
allor m fazz notu-ggir……
Do cumma Nuzziell, buon giorno e buon Natal,
vien chiù tard ca gghiè sfrang.
Dopp menz’or: a sfrangiut.

A RCCHEST
(25)
Do volt all’ann s mont a rcchest.
A u Cruggiufiss e San Pietr.
E ci so chidd ca stonn pttat?
Verdi, Paisiello, Rossini, Mascagni.
A casc e u mestr sop,
vièva stuppà l campan d l’arlocie,
snoch u mestr Falcicchio, s ncazz.
Qunt ier bell l tromb d l’Aida,
tre da navann e tre da nolt.
Oltr a l piezz d’opr,
ogniettant, musica da camera… Wagner
e cumba Mchlin c fascev u strolch:
tutta musica di Uagner.
Nan s sntev d vulà na mosch,
pur na cazzat d nuscedd, dev fastidio.
Nuscedd can nan fascn rmor, l castagn a lu prevt,
a summent e u stracchin d Mchel Lmbascion.
Quann a ser sunav a bbann e passav u cuarr,
stuppav l’opr, tutti in piedi rivolti verso il Santo,
attaccava il Mosè, ma la banna nostr dret a u cuarr,
sunav nata cos.
C’è mmisch e mbruoggh, ma er bell accussì, bellassà.
E poo cumba Pietr, ch l callin e cunfiett.
Sop a cap du mestr, ncaccagghiav:
caach e viv lu mestr.

U VNTSE’ D CCRON
(26)
Giust giust al sei d la ser, s rtirn da u bbacil.
Cu vntsè d Ccron,
Sop al vangr, tutt’afflat, l fatjatur.
Tutt chin d polv, inda u nas, inda l rrecch,
stanchi, affaticati e contenti,
d purtà uppan a cas e… turnat viv.
Chiù d’agnun nan è turnat.
Bbona sèr cumba Vcienz, bona sèe Gsepp.
Fuscenn a cas, nu salut, na sciaqquat,
u cambio pulit, subbt ndà chiazz,
anzi do cudd ca disc ch prim:
uèh che è cuott, arrust arrust.
 

Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'
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PASQUAREDD (27)
U juorn dopp Pasqua,
specialmente se la sciurnat era bell,
s scev fòr a mangià la fritt,
jov, furmagg, n picc d salzizz e…
assà mddic d pan, pur n picc d mier.
S stev nziem al cumpagn, da a matin a sèr.

A MADONN DA PURTUCEDD
(28)
A sttiembr,s fasc na festa fòr.
A u cuost d lu conch.
Chidd ca stonn ncasat,
nv-tescn l parient ca stonn ndà u pais.
S’accit u meggh jardiedd,
s fascn l rcchtedd cu-urrajut,
e mier a volontà.
Ma prim d nvtà u vcin abballà,
s và a chessia e a prggssion.
Don Dunat ch l’acchial e u baston,
la banna cozzavuffola, Pppin a uardia e Giuann u uardabbosch.
Sott al do cers, s vènn a birr, a gazzos, a spum,
e ngè pur Gsepp u nusciuddar.
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A FRASCH
(29)
C’è jè na frasch d cers, nudd, na frasch e bast.
Eppur iè na cosa paisan,
ca tutt sapn e ca tutt aspettn.
C’è s disc, è mis u cuanniedd a vott.
E’ ngignat ummier paisan.
Cert volt, se a commission…… accussent,
inzomma ci ummier è buon,
nan c’è bsuogn da frasch.

U PUSTUAL
(30)
Mmadò cè cosa bell, u pustual da SUTAS.
Ci vulev scì a Sammchel, a fntan d nòsc, all barracch,
basta chiù appiet, pursal pursal,
s paj e subbt s’arriv,
a sèr aspttav ca arrvav e subbt a cast.
Cert volt ,quas spiss, t viè purtà umbrell,
chiuvev da indr.

U CUANNIZZ
(31)
A pnzà iosc,
addò stevn d cas chiss crstjan?
Ern furtnat chidd ca tnevn u cuannizz.
Ngèr a fnestr u fnstriedd, pur la logg.
Ngern pùr chidd pauriedd ca stevn ndà nu sottacantin,
gnur gnur d fum,
la lusc a ptrolie e l’aria ca trasev da a port d cas.
U cuanniz er u cierm da cas,
fatt d cann mis fitt fitt,
mantnut dal trav e sop, l’irmc afflat ammstier,
fascevn a pàrta lòr quann chiuvev.

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MO’ ME’ VNUT (32)
E… c’è ghièffà, i so fatt accussì.
Aièr m chiam a cummuaredda Nunzia,
na poetess a livello nazionale,
ca m dedica na poesia.
E ci so ì, ì nan so nisciun,
sol u cumbar d San Giuann
cudd ca tè battzzat.
Mi sono commosso, abbruvugnat
E m so fatt na bella chiangiut.
Mò t mitt pur tu da Rom,
appen tèggh vist,
cè vol da mè, Mimm Sarl,
t’èggh tuccat cudd nierv… bell,
u nierv dù rrcùord èh,
e m so fatt nolta bella chiangiut.
Arrcurdatv èggh ditt… bella.

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 U SICCH (33)
U pùzz, nu sicch, appen cal e ialz,
chiangenn chiangen, ma chin d’acqua fresc-c.
D muss da ind, aah c’è arrcrij,
aggiov a u cuannanosc e pur a ventr.
Sciett l’acqu ndà l pmmdor,
poo nata calat.
S’è spzzat a zoch, addie sicch…
Noo ngè a lop, na rrutulat e na ggrat,
u sicch torn chiangenn e rtenn,
c’à rrcrjart ancòr, nata volt.


A TRAINEDD
(34)
Nu trainiedd, seza mul, senza spond, serv… eccom.
A Pppin Cascion, a u Muaranglar, a u Capitan,
e àl spadd d Gsepp e Colin.
Iun nnanz a trà e guidà,
e natedduje da dret a spèng.
S trascnavn quintal e quintal
d iran, faf, cicr e casciett d pmmdòr
e addò l mitt l casciett d’uv
Aggirav u pais
ndà l tonz, sop a rizz, nghianat e scnnut,
viern e statje, camnav semp.

A TARTURUEDD
(35)
Quann assern, èr na cosa nòv,
u fultùr da birr.
Fascemm a palat c’àvern iùn,
ch dù s fascev nu sciuquariedd,
iun ndà l’olt u spuàach mmienz,
s’arrutulav s trav,
fascev nu frusc frusc
ca fascev bèn a recch,
ièr nu sciuch stuodch,
ma l’èr fatt ì.

FRANCHIN L’AMICH MI’
(36) 
So turnat e nan ngèr chiù,l’amich mì.
Ch la pellicul so turnat ndrèt,
propt com fascemm a u cinm.
Qunt’erm bell, giuvn sfuttient e rompapazz.
Srvzievul, a adacquà l’alì a cumbà Cciell,
a accoggh l cicc a cumma Iangiulin,
a fa srnat p l’olt,
ma semp… p nu pacchett d nazional.
Quann s fesc zit, tutt la Cricc s fesc zit.
La gioia sua era condivisa.
Tutt scemm a passà da sott a cas d jedd,
quant’erm bell.
Nan ngè chiù, no, no
è rumast na cosa bell ind. Urrcuord…

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 MEST P-PPIN (37)
E’r scarpar, inda chiazz sott’arlocie,
l’artièr tutt dà scevn, a chiacchiarà,
a crtcà, a cuntà u fatt com’èr.
Quann sfulcevn a vott,
u prim mmier scev dà.
A commission giudicante,
idd, mest’Attigl, Nucenz, cumba leon,
na sciacquat d vocc e… cudettaaaa.
La frasca era inutile.
Non solo, gli artieri si davano voce,
pur quann s vèvnà pigghià a puria.
Mest Pepp prendeva gli ordini
che poi l passava a don Antonio,
sale inglese per tutti, alle sei de mattino dopo.
Ma alle nove l vdiev d scì scappann,
com u ciucc d l zign


A COZZAVUFFL
(38)
A cozzavuffla bianca, chèdda pent crchiat e u cap-rron.
M piasc chedda bianca.
Dopp chvut cac-c l corn, attaccat a cannazza vavos.
Naccòggh assà, quant’abbast ch na mangiat.
Inda nna tajedd, na spruzzata d’acqua,
nu piun d farin e ch cupierch na menza spàs.
Dopp dù iuorn na bella lavat,
quann stonn tutt dafòr,
subbt ndà l’acqua frvent
a fa cosc ch nu quartd’òr
cunzat nbianch, uoggh aggh e ptrsin.
C’è arrcrie quann sùch e ven tutt mmocch.

U LLAMPION
(39)
N-gnsò dù ndà chiazz sott’arlicie,
propt quann s và a u muragghion.
Fascn lusc a pòst e a chiazza-cuert.
So d fièrr, nò d ghis… boo sacc.
Sciuquamm atturn atturn,
quanta volt avìm sucuat l mnnaredd.
N sim appuggiat cu pèt da dret,
quanta volt avìm pruat a scalà a cìm,
ci t’angappav Brs-con,
na varràt d vulpin nan t la luav nsciun.
Pùr l can s devn appuntament… ch nà pisciat.

L FNTANEDD
(40)
E ci mlv’è ddisc, ca na tonza d’acqu,
ten la forz d uarì l’urg a u stomch e
u culariedd russ d figghm.
Purtamm a mbrustulà u puorch,
quann fascev call, s rtrav bell pulit pulit.
U bell jè, da dov nev chedd’acqu?
A cnquata metr, a mont, ngè u muraggion,
addov scttavn tutt cos: a mnnezz, u cuantr,
quann s pulzav a stadd.
Tutt dà scev a frnesc.
Quanta volt vnenn da Santantuon,
d muss ndèrr n sim arrcriat.
S’abbuvuravn pur l pecur d Gsepp u puastor.

SAN-DIEDO’R (41)
Semp Hidd, c’è sé nvtat stavolt,
vòl spustà a tèch d San Diedòr.
Dòmmà, ca fàsc u trramot,
s scaten u dulluvio.
Ma dài sono stupidate, non succede niente,
chiudiamo la chiesa e ci facciamo aiutare dagli scout.
E così è stato, nan è succièss nudd,
ma a cacàzz ca avìm pgghiat, er assà.

CAM-NANN PAIS PAIS
(42)
Senz fà nudd,saggirav u pais.
Do stà d cas cudd, dà stà d cas chedd,
cì chedd ca ten a figghia bbon!
E càmin, c’è bella rìzz c’ann fatt,
pùr do fil d chianch ch camnà lisc,
tu daddà e i daddò.
A sèr a na cert’òr, quann nu camnamm u pais,
u megghiaddòr da dov vnev?
Da chedda cas ca s scnnev… mbunn mbunn,
a cas du pavriedd.

U GNUMMURIEDD
(43)
C’è ngvol affà nu gnummuriedd?
Ci vuole arte competenza e amore.
Ch la ndram, na ndrucchulat na-ggrat,
na vultat cu cuacch e iè fatt… enò,
cumma Chechell mttev prim u fect
poo u cuannanosc po u pulmon
e all’ultm a zepp, prim d’arrutulà ch la ndram e fa u cuacch.
L’èr mbarat a sròch, Rchètt d Jrottl.
E poo ng pnzav Antonie a mburnà
e trarl a u mument giust,
russ russ ch n pìcc d sàl.
E c’è t mang u paravìs.

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A FRASCH
(44)
C’è jè na frasch d cers, nudd, na frasch e bast.
Eppur iè na cosa paisan,
ca tutt sapn e ca tutt aspettn.
C’è s disc, è mis u cuanniedd a vott.
E’ ngignat ummier paisan.
Cert volt, se a commission…… accussent,
inzomma ci ummier è buon,
nan c’è bsuogn da frasch.

U PUSTUAL
(45)
Mmadò cè cosa bell, u pustal da SUTAS.
Ci vulev scì a Sammchel, a fntan d nòsc, all barracch,
basta chiù appiet, pursal pursal,
s paj e subbt s’arriv,
a sèr aspttav ca arrvav e subbt a cast.
Cert volt ,quas spiss, t viè purtà umbrell,
chiuvev da indr.
Mercoledì


U CUANNIZZ
(46)
A pnzà iosc,
addò stevn d cas chiss crstjan?
Ern furtnat chidd ca tnevn u cuannizz.
Ngèr a fnestr u fnstriedd, pur la logg.
Ngern pùr chidd pauriedd ca stevn ndà nu sottacantin,
gnur gnur d fum,
la lusc a ptrolie e l’aria ca trasev da a port d cas.
U cuanniz er u cierm da cas,
fatt d cann mis fitt fitt,
mantnut dal trav e sop, l’irmc afflat ammstier,
fascevn a pàrta lòr quann chiuvev.

U SICCH
(47)
U pùzz, nu sicch, appen cal e ialz,
chiangenn chiangen, ma chin d’acqua fresc-c.
D muss da ind, aah c’è arrcrij,
aggiov a u cuannanosc e pur a ventr.
Sciett l’acqu ndà l pmmdor,
poo nata calat.
S’è spzzat a zoch, addie sicch…
Noo ngè a lop, na rrutulat e na ggrat,
u sicch torn chiangenn e rtenn,
c’à rrcrjart ancòr, nata volt.
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A PRMAVE’R
(48)
Dò sarcn d’erva fres-sch sop a u ciucc,
l’èrv… c’è addòr ca fascev quann passàv.
Ma cudd’addor s sent ancor josc?
L fìl d’èrv nu l scemm a sflà
fascemm a sona sona.
L fèmmn tutt a u sòl, cusèvn e munnulavn,
fascevn chiacchr e t…àgghiavn.
L crietùr tutt scappann e fuscenn,
sciucuavn senza pericul.
C’è addòr ca fascev a prmavèr,
l jaddnedd com sapevn,
l’addòr du macchion da scnestr,
arrvav figne da Maria Irazie.

A NA’CH
(49)
Stèv appnnut giust a u cièrm dà càs
sòpa sòpa a u llìett.
Ch do zòch a lu trav o al vòcchl.
Nu zuquariedd a purtat d man,
quann u nìnn d nòtt chiangèv,
tràv, s’ànnacav e sàcquitav.
Ngèr pùr a nacaredd a pdàl,
quann la mamm rpzzàv,
u nìnn chiangèv, cu pet annacav.

U FRRUA’R
(50)
S sntèv da luntàn, u martiedd e l’àncudn.
U’armonia di dò nòt, ndìnn ndìnn,
la battuta ripetuta più volte sòp a ngùdn,
giùst u tiemp-rùss, ch vdè
comè vnut u fierr fàtjat.
E po’ l nòt dvntàvn tre,
quann abbattev u martddòn,
e vèvn aggì a tiemp, prìm iùn e po’ l’òlt.
T’àttràv e scìev a vdè.
Na ptè gnòra gnòr, ma l’addòr
d cùdd cuarvòn, ancòr jòsc
u vòch acchiànn.

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U FALGNA’M
(51)
So arrvat l tavl, cu lu càmio d Biesìn.
E subbt ndà chedda mors,
ca nan è d fièrr ma d tavla tòst.
Nnànz e drèt ch nà chianozzla lògn,
l bàmbuggh ndèrr, iàlt miènz mètr.
dà fa u stpòn e lu cuascion,
pur l spadd du liett,
a figgh d cumba Rocc, cà saddà spusà.
Mècc a còt d ròndn e a còll d pesc calla call.
Ma l’addor dl tavl e da coll v l’arrucurdat?
Zi Giuà, ma fa a trocchl, pront a trocchl.

U SUA’RT
(52)
Elegante,u mètr atturn a u cuodd,
l’àch cu fil bianc appzzddàt mbiett è propt u suàrt.
Nan parlam quann mèn cudd fièrr nnanz a pòrt,
chin d carvun appzzcat.
Quann t piggh a msùr a lu cualzon,
inda a ngnaggh, nan t tocc l… srvezie,
u mètr aa pònt tèn nu stuozz d plastca trasparent.
Tutt’àppnnut, fiurìn di juòmmn, giùvn elegant in posa.
L uagliun apprèndist tutt a mnà u sopramman.

L’ADDO’R
(53)
I, o nù, ierm capasc,
clà munacedd al’uòcch,
a quala uagnedd appartnev.
L’addòr cà fasc l’òmmn,
quann nanz làv… tre volt a u juorn,
attìr la fèmmn a… l’ammasòn.
L’addòr d l’òmmn tràs ndà u nas dla femmn
Và a tdcà, chedda cosa,
can an sàcc c’è jè du crviedd
e s cumbìn u fàtt…

L’ARLOCIE
(54)
S sènt figne ndà u cònch,
da Sammchel a u chianlòstr,
e quann u viènt è a favòr
pur a fntan d mànn.
Cìtt uagliè cà mmà sènt.
L’òr ch turnà a u paìs.

L CA’PUNT
(55)
Ngsò a iùn, a quàtt, a sé e iòtt dèsctr.
A iùn cù pummdòr frisch,
u rrìest com l fà l fà so sèmp buon.
C’è pacienz a fàrl,
ma quànn so cuott, cì l’à fàtt l’à fàtt
sò semp buon.
Cù ciulìsc, s làvn l piatt,
s fàsc a canigghiat ch l jaddin e u puorch.
Mò s iàcchn già fàtt,
u duìsct nan è d carn, ma d’àttòn.
So buon u stess, ma u ciulìsc nan è cùdd’ddà…

STELLI’N
(56)
Bòngiòrn, addò sciat josc, Armand e Stellin?
mang contènt a mezzogiorn, èr la rspost.
A Frannin, a prcallina fin è vnut Stellin,
tùtt l jurn ca Dì a crjat,
sòtt a iacqq e so a vient, ch chedda sèciènt
chiena chien drròbb, dà scèvn sèmp.
Fìn a quànn u dstìn… ha vlùt accùssì.


DONNA VINCENZINA
(57)
C’è bella fèmmn, tnèv a varv, a mèstra mè.
M’à mbàrat l’A B C, ci josc sacc scrìv è iopra sò.
A tuttquant dscèv, strazzò,
nel senso più buono e mai offensivo.
A la fèsta dell’albero,
tutti in fila per due e ammàn ammàn.
Sempre vigile e attenta.
L’eggh evùt figna tèrz elementare.
La bàse della vita e dell’istruzione,
cà mà dàt s,vèt josc.

U BUACIL
(58)
La prima volt ca so ggiùt, mà purtat papà.
E’r u juon de la prima pietra,
so giut ca vulev sntì sparà a mìn,
c’è delusion, m’aspttav na calcàss d Salamon,
invèc nu cuòlp stuòdch, sùrd, e tutt a abbatt l man.
Ngèr pur De Gasperi e mienz munn d crstian bùon.
Vònn sbarrat ch tanta ngment e fièrr, Vradn.
L’àcqq ca s’àccoggh è assà arriv fign a Jrottl.
Nganalat per bèn, arrìv a Metapont e Scanzan,
pùr a Taranto ch nu tùbb, cà ì tràs san san ambìet.
Sèrv a l’àgricoltura e pùr a u stabblmènt.
Jòsc quant’è bbèll, s và a pscà, stònn pùr l pàpr
e tùtt chìdd auciell ca venn da l’Afrch.
P nàn dìsc quanta uagnun e uagnedd
s so spusat e s so fatt la cas.
U pnzìèr và a l’àmich mì d’infanzia,
cà è mùort, Dòrin.

U MUE’S D’AIUST
(59)
U muès d’aiust, gioie e dolori.
Ngèr na bell’ausanz, d’òvunque scièv a fa a spès,
nan s paiav, a aiust mmà pàià.
Pùr l’àffitt da càs, da ptè, da stàdd, d l’ùort,
scadèvn tutt u juòrn d Santa Marì.
Quanta ggènt scèv chiangènn, sfratto immediato.
Quanta scùs, chiòv la càs,
nan egghèccuolt nudd.
A màggior part però pajàv.
Nùdda scritt, tutt’à vòsc
O na strngiut d man.
A pàròla dàt èr lègg
E cì nan la mantnev u sapèv tutt u pais. Cc’è fìur.

RRAFAE'L, (60)
c'è jommn. Quant m vulel be'n.
L prim fich d fntan dnosc,
nu panaro'n m mannav.
Le nostre idee erano molto diverse,
Ma... L'unita'd'intendi era uguale.
E va'fancul u dstin, s' n'è ggiu't.
S' n'è ggiu't no't amico'n.
Quanta volt n sim attaccat,
Ma alu'tm n strnge'mm se'mp a ma'n
e... N'a'bbrazza'mm.
Rrafae'tu ca vit tutt cos...
Da da'sso'p na'nt'cazza'.
Na'nn e'chiu'cuss… u munn nuostr
.

ULLU’AT (61)
Oggi si chiama lievito-madre.
Na vòlt, l fèmmn, s l passàvn
iun l’òlt, inda u pàìs.
Cummà Rusì c’è tien ullùat?
Èra bòna crìanz, mètt inda u stèss vàrvàtt,
natavolt a past ch ffà ullùat.
Ullùat camnàv pàis pàis.
Mò stèv a Sant’Angl e mò u vdièv a u tùrchian.
S’àccucchiàvn a fàrin d fàrr
e a fàrin dù juran cappell.
C’è addòr e c’è sàpòr… cùdduppàn.

U PO’NT
(62)
Ngèr pùr iùn ca s chiamav Cicciell u pont.
Era il muretto per l’affaccio sotto e
godersi il panorama, stèv au cummènt.
Quant’ària fres-sch
e quanta volt tnviè scappà cu vient fòrt.
E quanta prsùn scèvn dà a ssprà…
S vdèv a vienòv, sotta l vign
ubbuacil, tìmmr e Pccian.
Quann sparavn a Sant Rocc a Jrottl.
E’r nu bell punt d’osservazion.
Assttàt po’ a u psùl a u cùost s stèv in santa pàsc,
nisciun t rumpev l’àcchiett.

SOTT A’RLOCIE
(63)
Sòtt a’rlocie tutt’àssttat àll scàlun da chèssia,
giùvn e viècch a crtcà chìdd ca pàssn.
Nàn t dìch ci pass na fèmmn n pìcca suspuett,
apriti cielo, urrusuàrio d tutt ciò caffàtt.
Pòvre jèdd.
A sfòtt a cudd ca è pìgghiat na sciuvulat,
“ c’è nan t riesc ambìet.”
Pùr a cùdd ca l’è cadut la scarett dammàn,
“ e c’è nan s capasc d tnè a zcarett ndà dù dèsctr.”
Chèss è la chiàzz.
Fascevn bùon na volt l fèmmn,
nan s fascevn vdè, scèvn drèt ch drèt.

U UARVIE’R
(64)
Cù vangtiedd sott, t mbarav a nzàpunà.
Sèmp attìent attìent quann cadevn l capìdd,
sùbbt vièv a pùlzà.
Chè odio chedda machnett a man,
pzzcàv e nàn putiev disc nudd,
chiangìev e basta.
E’r bell a vdè quann u mèstr
afflàv u rrasùl ch chèdda currèsc appnnùt,
sctàcch, sctàcch èr u rrmor ca fascèv.
S scèv addo u varvièr pùr p lèsc u giurnal,
ma sprattutt càvè u cualendario...
profumàto e ch l fèmmn a nùt.

U FRA’BBCATO’R
(65)
Aahh càlc, èr u mèstr ca chiamav.
L’avìèv prima squagghhià, l pzzùn inda u jàvt.
T vìèv stà attient ca nu scqìccl t cìcàv l’ùocch,
cumba Mclìn n sap ancùna còs.
Po’ ch lu cuppìn la vièv ambastà ch la rèn
e sùbbt ndà callaredd scìev addò u mèstr.

U CRUGGIUFISS
(66)
Mimììì, risuonò alto, sonante e disumana,
a vòsc d don Donato, cosa combinii.
Si stava iniettando un liquido per distruggere i tarli.
Collaboravo con l’uomo delle Belle Arti.
Lottavo già dentro di me con l’acciajomo ligneo,
c’è ambrssìon, l’òmmn stàv nnanzammè ngròsc.
Quànn u spùrtusav ch l’àch u dscèv:
nàn t preoccupà nàn t fàzz mal assà.
E cè ièr na pngiuta d’àch ch ciò ca lèrn fàtt.
Volevo tirare una protuberanza,
mi disse che era un ex voto, pelle vera.
Il grido era disumano, ma il sorriso…
con i cinque denti allascati,diffondeva pace e serenità.


APPNNUT A CO’T (67)
Povra femmn,
quann vnèv da fòr,
stànca mòrt, appnnut a còt.
E jidd, cà s’ànnacàv sop u mmast.
Nàn è giust…
E nàn è giust pur mò,
tà dàt u disct
e t s frcat tutt u vrazz.
Attiènt ca a zoch s spezz…

Z LI’N
(68)
Michelino hai trascritto il battesimo?
Gnarsì signor àccprevt.
Sèmp accussì, mai don Donato.
Il messale in latino, u tnev ncàp,
tutt a memoria.
Quanta volt, assttat a cud vànghtiedd
sott a campanedd ndà sacrstia,
la mèss, idd la dscev e idd
s la sntèv, tutt in latino.
Sòl i u pòzz aprezzà
ca, so stàt ndà l prievt.

NUANTANOV’ANN
(69)
Z Còla Marìn, tànt tnèv quann murì.
Campàv sùl, stèv a Sntanicol,
indà na casaredd ca s ngnanàvn dù scalun.
Quann’èr u tiemp, tutt li juorn,
na volt psìll e na volt pastèppsìll.
Campò nuantanov’ann, u chiù vècch dù paìs.

U PA’LES
(70)
Scàrpar com a papà mì, èr,
stèv d càs ndà u Cumment e,
tràscnàv l pàcc
da u pustàl, abbascàmmulin, a pòst.
Quann ng fù l’armstzio, dret a u cuastiedd,
ch nu curtuddàcc, vulev accit u miedch a mosc.
S mttì mmìenz papà,
nòn nàufascenn e accussì fù.
Pauriedd ,èr sciut sèmp cacànn,
l’èr fatt vèv tanta iuggh d rìcn.

L CERA’S (71)
E c’è so coma-josc…
Pccn-nnedd, bèll sapurìt, sùcòs,
li strufunnamm sòp ùppàn,
e uppàn dvntàv rùss, nò, gnùr.
Quann t l’ fascìev sòpa l’arvl,
t nguacchiav tutta la cammis.
E poo quannèrn bèll inda a cànn, spaccat nquàtt,
ch nà rosa ross sòp,
u scìèv… o l mannav a rielà a chèddd.

A PIZZ
(72)
A pìzza napultan è iuna sòl,
chedd cà quann scèmm a Napul
s mangiàv da zì Teres,
u sùch d pmmdòr e a muzzarell.
Fu fatt n’èccezion in onor da reggin
A pìzza Margherit.
Urriest è tutt irass ca còl
da cudd cuannanòsc,
cà nan s’àbbengh mìch.

A FCCA’ZZ
(73)
A fccàzz nàn è LA PIZZA.
A fccàzz è fccàzz e bast. Frnìtl
Ngè chedda bianch ch l’ùoggh,
chedd cu pmmdòr e iuoggh,
ch n pìcch d’arìen.
S còsc a u furn, ndà turtìer
e pùr ndèrr, sopachianch.
Ng pnzàv Orazio
A farl còsc a u punt giust.
Ah… m’èr scurdàt,
nà specialità migghiunucues,
a fccàzza iàscm.

U FURN D MIE’NZ
(74)
A u fùrn d mienz ngèr Manuèla Pisciotta,
bèlla femmn, aduquat e bòna,
còm uppàan ca mbùrnav.
E’r a furnara nostr.
Quann s nscì… commàffà,
noo è vnut Orazio p’parol e la mgghèr
da u fùrn d Sant Nicol.
Nsciun, sapèv attunnà uppàn coma’idd,
dèv u ndacc nmìenz e a cròsc.
L stìzz d sdòr ca culavn da mbàcc,
l tègn ancòr josc ncàp chìdd mumìent.

U PALUMMIEDD
(75)
Quann na femmn, parturèv ncàs, clà mammàn.
E’r bbòna usanza e… azzètt,
rìelà iun o dù palummiedd.
S fascèv na tazz d bròt, ala mamm,
specialment ci èr prmaròl.
Brot lggier, sèrv a rprstnà le vecchie funzioni e
favurì l’abbiètòr e l’abbunnanz du llàtt.
C’è snvèffà d nu mazz d fior.

L’ALMA A U MUORT
(76)
Ogni anno il due novembre…
E no chess l’ha ditt idd,
l principe De Curtis.
La notta prim d l’alma a u muort,
tutt a culcuà subbt.
Ièssn l muort da sottatèrr e
vonn camnann paìs paìs,
a matina subbt prim ca fasc iuorn,
s vonn a pruquà nata volt.
E propt u muatin subbt
s va a chiang sop
a cùdd muntòn d terr.
L crsantem, l crùott appzzcat,
ch chiàng e ch prià l’àlm d chidd ca sò muort.

U SCUAFALIETT
(77)
Valladdìsc a chiss bell giuvn,
c’è jè u scuafalìett.
Com s’àrrcriavn, mammanonn tòi
e mammarànna tòi,
quann s scèvn a còlch.
Po’ assì u mònch e ulùltm,
u monch elettrch.
U muarit cà vulev stà call call,
e’r l’occasiòn giust… ch fa l tmpiest.
Cumba Nicol Amati, mestr custor, discèv:
A nott… s fascn l crietòrr.

SCAPPA’NN E FUSCENN
(78)
Quann l vèch iosc, accussì èr ì.
All’uocch du vuècch èr propt
còm i l vèch iosc.
Tè tè sèmp scappànn e fuscenn,
nàn s stanchn mìch.
Fùscn pùr quann nàn è ncssario,
e nàn s stanchn mìch.
Quann càtn e s sfàscn l scnocchr e la càp
sùbbt a u sptàl, sarìng e c-ruott.
Nù aggiustamm la còs
tra nù e nù… ch na psciat.
Nu vècch ziàn mì dscèv:
l crìetur ci nàn s fascn la càp e l scnòcchr
sò stuodc.

L CHIANT D FIC
(79)
Do mmaggì josc mbà Nicò,
nàaa, cè còs, ngè bsuogn d disc, affìch.
Bèll pursal pursal, a nghianat d San Mchèl,
quant’è bèll fntan d nòsc.
C’è aria frèsc-ca, bell du mèsttiembr.
Tè tè, quanta bèll chiant d fìch,
chèdda è ròss, chedda è iettat,
e chedd è cantan.
Hao! Nan t l fascenn tutt tu mò.
Mamma mè c’è còs,
l chiànt quann lu vetn, trmlèscn ca paùr.

L PETTL (80)
Nàn vech l’òr ca arriv Natal,
tègn nu sfìl d pettl.
Inda na tajedda tutta gnor,
chièna d’uoggh frvent,
s mett la pettl a sfrìsc.
Ch nu zìpp bèll pulit,
s’aggìr e rggìr e jè fàtt.
Bella calla, calla ca t scàll la lèngua,
c’è sapòr, noltùn e noltùn ancor… ancor.
Nu bell bcchièr d mìer, ah…
Com m sènt bèll,
u vàrvatt è vacant,
s’àccoggh l’ultma pàst,
ch fa la crosc inda ciumunèr.

AFFACCIAT A FNSTREDD
(81)
Affacciat a fnstredd, ngèr jedd,
e jidd da sòp al scàl,
a cheddolta vann a cinch mètr.
Citt, citt s parlavn d’amòr…
ca po’ sntèvn.
C’è còs ajèr… e josc.
Lèggh vist ajer, josc e josc ancor.
Quant’èr bella jedd
quànn s’affacciava a fnstredd,
sop a cudd buasilch prufumat,
ca l stèv sott a lu iagnariedd.
Era amore romantico… ma nàn sacc,
com’è giut a frnèsc.

A VOTT
(82)
A’l tiemp antich, m dcèv papà,
alu cuastiedd, inda l’angul
sott a torr, ca jè cadut.
Ngèr na votta chiena d’acqua.
A cè srvev? Srvev d viern
quann nzop fascev u chiatriedd.
L crstian ca nàn stevn buon ca càp,
scevn dà, nu cal e ialz inda l’acqua fredd
subbt dopp inda na cupuert d lan
e s uarìvn da ogne màl.

U CUATNIER
(83)
C’è mstièr, nàn sacch ci è buon o brutt.
Accumunzàm. Vièv a lavà quatt o cingh vutt,
ch la catèn d fièrr ìnd e l vieva nzulfà.
L vieva carcà e attaccà sop alu traìn,
dòpp t mttiev sòp ch lu sch-usciacch.
Scìèv fòr terr, è sciuocch, luntan vcin a Lecc.
Mancàv da càst, na summàn… e quann arrvav
quas semp nzuppat d’àcqq,
ch na pomp viè travasà.
E dòpp… ci u dazzier vulev, putìev vènn.

CHEDD…
(84)
Dovvà cumbuà Mmì,
ngnan ca teggie disc na cos.
Cummuà Jraziè, tègn cè ffà,
e ngnàn nu mumuent.
Vòch sòp e accummuenza a cèrn,
…cè vol chess da me.
So tropp giovn p capisc cert cos.
Lu sì èvut lu cualendario da u varvièr.
Lo guarda e… stà scusciulent
tèn l iamm ca so com nu zìpp,
auard qua, m fàsc vdè nu muacciamon,
brutt, gnùr, plus, m so appaurat ,
e m n so scappat.

EGGH LASSAT… TUTT CO’S
(85)
Tutt na vòlt eggh lassat tutt cos,
la vita mè è cangiat tutt na volt.
Lu dstìn mì, èr gia scritt,
e lèggh accuntantàt.
Felicità teggh’acchiat e non t lass chiù.
E… già, a famiggh prim d tutt còs.
Mimì fa l’ommn, mi ripetevo spesso,
tièn famiggh e accussì è stat,
i so uagnon sèrio.
E mò da vecch m vèn a pcundrì,
m vèn d’arrcurdà tutt cos, quann’ì èr vèrd.
Nàn sacc ci pùr alòlt l vèn la stessa pcundrì.
Ci pùr a lòr,
l piasc arrcurdà quann’èrm giuvn.
I nàn mabbrvògn mich, e lòr ssàcc…
Eppùr ghià acchià agniun
ca s’adda vulè arrcurdà comammè.

DOPP D CRA’
(86)
Dòpp d crà cè vèn… pscrà,
uffa semp a na manèr st sciurnat.
Cè v crdìt, pùr a stà
senza fa nudd è nu problèm.
Senz art né part, dòvvà,
nàn t puot accustà manch a na suttàn.
Ch cè facc t prsiènt,
so nu bell uagnòn, e poo…
stà cangiann u tiemp,
u chcombr stà ammaturann, mett pression.
L scìdd so spuntàt e so vulàt.

U FRASCIE’R E L’ASSUCAPANN
(87)
S’appzzcàv la carvunedd,
s fascèv nu bell fuoch.
Attient a fumaròl,
c’è puzz ca fascèv ndà a càs.
Tant ca t’angallsciev, ca àl
fèmmn s fascèv a salzizz
àl iamm e pùr a lu cucuì.
E quann t ièr angallsciùt,
sòl tànn s mttev l’assucapann,
ch l rrobb sòp.

CI PASS L’ANGL
(88)
L’uocch stuort, fasc ch fa appaurà,
tutt accèr al’àmich nemich.
E tu ch fart meggh d idd:
ci pass l’angl cu panariedd e disc ammenn.
A paur èr passat,
da cheddolta vann.
Parapatt e pasc.

A SCUTEDD (89)
Nu tascappan, na scutedd,
na fèdd d pàn e na buttugliol d mìer.
Inda scutedd ngèr
u mmuangià du fatiatòr.
A past ca avanzav la sèra prima,
chèdd ier e t vièv arrangià.
Ièr pùr furtunat, ci stièv a uardà
accudd alu cuost, na ruedd d pàn,
dù p-parul o du alì sfritt.

NA PA’LT D FICH SDDE’TT
(90)
Addò scèv scèv, u cruiatùr,
s’abbusc-cav do fich sddètt.
Pùr quann scèv a scòl,
la merendina… èrn, sèmp, fich sddètt.
Na pàlt d fich, do fàf o cìcr arrstut,
s vdèv bella chièna chièn,
t fàscièv pùr l’amisc.
T vnèvn appriess e t vululevn bèn.
L’apptìt èr assà.
C’è cos, du cìcr arrstut e ièr ricch.

NU MU’SC-CH D’U’V
(91)
Quann vunnumavn, aspttàv
quann arrvav u ciùcc ch l varlacch
ca èrn chin d’ùv e u pàtrun
ca t rielav nu musc-ch d’ùv.
A ìun a ìun o affunnàv nu muozzch
inda chìdd àscn ca scuppuiavn mmocch.
T’àggiuav figna all’ùltm,t mangiav pùr
cudd’ascnicch pccninn, pccninn.
Pùr idd chin d such.

U DISCT NCUL
(92)
U dìtt antich, a cannlòr
tutt l jaddin fascn l’òv.
Mammanonn tutt l matìn,
mttev u disct ncul a jaddin,
s’asscuràv ca il prezioso uovo stev cassì.
U uàdd, s chiamav cacafè,cantav
quann a jaddin s sfurzav.
Cacafè fascèv pùr da uardjan a vtrin,
nan putev trasì nsciun, s’ammnàv.

U CIURNICCH
(93)
U iuràn dòpp psat vnèv vntlàt,
mìs nda l sacch e inda u cstòn.
Prim d sfarnarl,
vnèv passat da u ciurnicch.
S fascev u iuràn mndìdd,
ca s dèv al jaddin.
U ciurnicch èr cudd
ca crnèv ogneccos,
ca t dèv u iuràn pulit.

QUANT’E’ BELL A SCOL…
(94)
T piasc a gì a scòl, siiin, bràv.
C’è buscìa irann ch’eggh ditt,
m gghiè ggì a cumbussà.
Vòl scttà u sàgn da ngann
cudd ca l’ha invntàt,
adda sci cacann da a matìn a sèr.
S’àdda sccà a lengua a cudd strunz.
Aooo!!! a frnut mo.
I sacc lèsc e sacc scriv
e sacc fa pur lu cunt, stabbè.

TAL E QUAL (95)
Quann eggh vist in television
l’arriv du pustalicch, tutt a fa fest
e abbatt l man.
Tu nan ma vist, ma ngèr pur i.
A stessa fest ànn fatt a nù,
quann turnamm da Irassan, ca ierm vnciut.
A cinchcient sunann s’affacciò
sop a strada Quarant
ch la bandier dell’Olimpia.
Dunat Cucchiarin dret
E dret ancor Antonio Pace.
Chin chin d sciuquatur, stanch ma cuntient.
Nan ngèr l’altoparlant ch la canzon, the champions,
ma la bbann ca sunav e
Nucenz ca abbattev fort l piatt.
L’ntèro popolo in festa, coma jòsc.
Josc e tànn, bell, bellassà.

U PUASSARIEDD (96)
c-lì, c-lì, quanta volt è vnut
sop a lu balcon chin d nev.
e… i ca mttèv a tagghiol.
N fascev dù o trè,
èr u mmangià d la ser.
Nànn m so mica pntit,
d ciò chèggh fatt,
tànn èr accussì e bast.
Iosc l’tchèsc cu vcin d cas,
ca mègn uppàn da fnestr,
ch darl da mangià e… nàn vòl.

U CIUCC CARDON
(97)
Qanta vòlt avìm cantàt
u ciucc cardon, da crìetur.
Pùr iosc u vuless cantà,
a cì, so tutt sùrd.
Vònn tutt ch l rrècch attappat,
ch chidd, purquarì.
Nàn rsponn manch a mamm ca dìsc:
com t sient figgh mì.
Attient ca s mòr, t’acciaffn sòtt.
Addò t vèn da dìsc… c’è pccat…

IE’RA-BBUON
(98)
Vìt ca u collocator cerch fatiatur…
Iera-bbuon… vulèss a Madonn.
Quanta vòlt avìm ditt stà paròl.
Tùtt ciò ca nàn putièv avè,
ièra-bbuon…
A cùdd mument èr tutt bbuon,
pùr, sòl u pnzier,
ca ngèr agniuna còs da fa.
Eppure ièra-bbuon, volesse il cielo…
T fascèv sntì nolt’un, fòrt,
nda càp e nda l vràzz.

S’ASSMMEGGH
(99)
Pensierino della sera
Ngè bsuogn d scì a sfott
chìdd c’ànn, foors… ànn studiat,
ch disc a ci è figgh.
Ma sciat vìnn… a Migghiunch
s’assmmeggh e bast.
Senza spènn solt e tiemp.

A GNO’STR
(100)
Addò stà cchiù a gnòstr,
assttat a l scalun,
sòp a u vangtiedd,
a iòt cudd vntciedd,
ca vèn da l fntanedd.
Ngèr cumma chedd,
cumma cheddolt,
tutt l crietùr atturn.
Uèi mà cunt a storia
d cudd ca scev a lliòn.
Nò t gghè cuntà ciò
ca è succiess nda chiessia.
Na pàlt d summent d mlòn,
na v-vùt a u cùchm,
s’è fatt menzannott,
sciamnà culcuà.

U FRASCIE’R
(101)
U pèt du frascièr e u frascièr
ch la carvunedd, appzzcat,
stèvn giust giust mmienz a cas.
Quann fascev fridd,
tutt’atturn ca s’angallscevn.
L femmn fascevn a calzett, rpzzavn.
Nu ca fascemm u ciuciariedd
e l’arrustemm, sapèv bèll,
non solo, fascemm pùr l dspttucc,
n’ascn d sal ndà lu fuoch,
sparav e l femmn s scallavn.
E’rn palat asscurat,
ma èr bell accussì.
C’è dvertment.

QUANN VOCH
(102)
Quann vòch a Mgghiuonch,
vòch a casa mè.
E chèdd ca mmà spustat tutt còs,
uagliè ddò là mis?
Ghià addummanna semp.
Quann i nangèr ha chiamat u frabbcatòr
e à spustat u munumènt,
ha aggiustàt u cuastiedd, la chièssia.
Ha fatt na còsa bbon,
so crsciut l crietùr,
tant ca na l canosch chiù.
C’è na fatt d cumba Uèl?
L’èggh mis sottatèrr. E cumba… u stèss.
Mantient fort ca tocch a tè mò

INFARINATI DI CULTURA
(103)
Mi sono inebriato, affascinato
della bellezza culturale, che l’amico e prof
ha inculcato ed educato
all’arte dell’insegmamento, i propri figli e non solo.
Ed io, a tornar nel tempo
andavo a casa sua:
Marià com s fasc cuss probblem? E cussu tèm…
Com’è bello oggi sentire i suoi discepoli,
declamar versi a me inaccessibili.
Come è bello sentr la prole dirmi:
a casa nostra si parlava miglionichese.
Chissà cosa avrebbe detto, pensato,
o farsi rivoltar le budella,
nel leggere alcuni miei scritti vernacolesi,
mi avrebbe detto: uagliò vattin da ddò…
Sono sicuro, mi avrebbe abbracciato e detto:
il dialetto, fa parte, della nostra cultura.

I BAMBINI
(104)
I bambini, teneteli stretti con mano,
con la stessa mano che hai dato.
Quando finalmente libero, correvi,
correvi senza paura tra pantaloni e gonne.
Schiamazzi che oggi non sento più.
Le grida di gioia che oggi non sento,
come le rondini che si rincorrono.
Maledetto visore, preferito
nel guardar in faccia il genitore.
Ti ha rubato la paura,
il timore che ti inpediva di far male.
Oggi immerso fra mostri in treddì,
la fantasia è realtà.
I sogni, le visioni, non esistono più.
Si sparava con la bocca, oggi no,
si spara e basta.

POVERETTO
(105)
Non dir mai, poveretto,
ha tanta saggezza che,
gronda di beltà da capo a piedi.
Tu vedi quello che io vedo, gli stracci.
Ma non vedrai mai quello che
ha dentro, la saggezza.
E’ la ricchezza della vita,
quello che tu oggi non hai.
Non puoi averla, non ti spetta.
Non hai vissuto il tempo pieno,
la vita d’ogni giorno.
Se anche a te, il fato vorrà,
un bel dì anche a te, darà.

SCRIVO PER NON DIMENTICARE
(106)
Dicevano: bevo per dimenticare,
io scrivo per non dimenticare.
Che cosa ne sarà della mia,
della nostra infanzia.
Ecco perché sono qui.
Raccontare e domani, chissà,
se sarò in grado di rileggerle.
Quante risate e quanti rimpianti,
in compagnia di uno come te,
che, magari a suo tempo, mi ha schivato.
Piacerà anche a lui,
rimembrare il tempo che ha scordato.
E con la mano tremante,
fare in cantina,
cin cin col vino.

VORREI CANTAR
(107)
Vorrei cantar le gesta di chi
nel gran castello ha vissuto.
Sarebbe stato bello guardar
dall’alto di una astronave aliena.
Le congiure, i tradimenti, gli amori.
Vedere artigiani costruire
spade, alabarde e scudi.
Veder respingere chissà quanti assalti
alla grande fortezza, inespugnabile.
Raccontarlo oggi e dire: io c’èro.
Ma non posso.


Ci a l'sciut', appr'zzat' e cr't'cat', si nu vuer' m'gghiunucues'

 
 
 
 

Created by Antonio Labriola - 10 Luglio 1999 - Via Francesco Conte, 9  -  75100 Matera - Tel. 0835 310375