MIGLIONICO.
Il “cuore” della poesia lucana, quella
sociale, politica e della civiltà contadina
prodotta da Rocco Scotellaro (Tricarico, 19
aprile 1923-Portici, 15 dicembre 1953), il
poeta sindaco di Tricarico, è al centro del
saggio, “Io sono uno degli altri”,
della dottoressa miglionichese Silvia Mele,
27 anni (maturità scientifica, laurea in
Scienze dell’Informazione e Letteratura
italiana contemporanea), ed. “Ermes” di
Potenza. Il volume, strutturato in tre
parti, per complessive 270 pagine, racconta
la vita, le opere, la poesia del poeta
tricaricese e rappresenta uno spaccato della
società e della storia di Basilicata, di cui
descrive usi, tradizioni e costumi in un
periodo storico compreso tra gli anni Trenta
e i primi anni Cinquanta del Novecento, il
secolo scorso. Una società caratterizzata
dalla povertà economica e poi lacerata dalle
miserie e dalle ferite della seconda guerra
mondiale. In pratica, nel libro c’è la
descrizione degli aspetti tipici e
costitutivi di un ambiente economicamente
depresso e sofferente. Ed è in tale conteso
sociale che il giovane poeta lucano invoca
lo sviluppo economico e il riscatto della
gente tramite un efficace processo di
istruzione e di alfabetizzazione culturale.
Per comodità di studio, l’autrice di questo
bellissimo saggio letterario, che dovrebbe
arricchire la biblioteca di ogni nucleo
familiare lucano e che dovrebbe essere
oggetto di studio degli alunni tra i banchi
di scuola, divide la produzione poetica di
Scotellato in tre fasi: la prima prende in
esame tutte le poesie scritte nel periodo
1940-1945; la seconda, invece, prende in
considerazione i versi poetici scritti tra
il 1946 e il 1949; infine, nella terza fase
sono comprese le liriche prodotte dal 1950
al 1953. La sua prima poesia, datata 1940, è
intitolata “Lucania”, come la denominazione
ufficiale della regione (in tal modo, il
fascismo ne richiamava le origini, legate
all’antico popolo dei Lucani, il quale si
era insediato nella regione nel V secolo a.
C.). Nella prima fase ci sono poesie che
Scotellaro dedica alla descrizione del suo
mondo, delle sue radici e della natura che
lo circonda. In particolare, il poeta
descrive il suo paese natio, “nido e
prigione”, in tutte le sue forme e
manifestazioni, con le sue persone e le sue
cose. La seconda fase della sua produzione
poetica è quella della “sofferta presa di
coscienza di sé e dei problemi del
Mezzogiorno. Le liriche sono a sfondo
politico: nei versi si manifesta una nuova
volontà del poeta, “una nuova forza di
ribellione, la lotta per gli ideali e la
protezione nei confronti di un popolo
vittima di abusi e di ingiustizie, colpito
dalla fame e dalla miseria”. In particolare,
nella poesia, “Noi che facciamo” (1946),
Scotellaro esprime il suo dissenso nei
confronti dei padroni che si “professano
fratelli nelle chiese, ma nello stesso tempo
vogliono mantenere le loro posizioni di
privilegio e di dominio sulla povera gente”.
La terza fase è quella della poesia in cui
il poeta dice che è venuta “l’ora dell’amore
e della morte”. La poesia della “protesta” e
della “speranza” lascia il posto a quella
della delusione, della sofferenza e della
rinuncia. E’ la poesia degli ultimi anni
della sua vita, ove si “affaccia,
insistente, il presagio della morte”. Una
morte per infarto che colpisce il poeta
all’età di trent’anni. Ma che non distrugge
la sua poesia: una poesia che ci riporta
indietro di sessant’anni ma che è ancora
viva, attuale, capace di parlare al cuore
dei lettori.
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