Giacomo Amati

GIACOMO AMATI

31.01.2017

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MIGLIONICO
Ribalda nazionale per Antonio Centonze (Lu furn' vecchj')

MIGLIONICO. Ribalta nazionale per il maestro panificatore miglionichese Antonio Centonze, 50 anni, titolare da circa trent’anni del locale panificio “Antico Forno”, meglio conosciuto con la denominazione dialettale “Lu Furn Vecchj”, ereditato dal padre Michelangelo che lo attivò nel 1969, impiantandolo “ex novo”, al suo rientro in Italia, a conclusione dell’esperienza di operaio emigrante in Germania. Prima l’approdo a Betlemme, in Palestina, in Terra Santa (4-10 marzo 2014), quale testimonial del progetto umanitario “Pane Nostro”, per insegnare a fare il pane ai giovani palestinesi, con l’intento di offrirlo ai poveri e ai bambini profughi, rinchiusi negli orfanotrofi. Poi, alcuni mesi più tardi, l’udienza in piazza San Pietro, dal Santo Padre, Papa Francesco (25 giungo 2014), quale panificatore lucano benemerito. Nei giorni scorsi la celebrità certificata in piazza “Plebiscito”, a Napoli, ove ha tenuto un laboratorio didattico sull’arte della panificazione, nell’ambito dell’evento “FuturoRemoto 2016”, promosso dall’associazione culturale napoletana, “Spazio Mediterraneo” che ha il fine di contribuire a riscoprire, valorizzare e promuovere l’identità mediterranea dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nella fattispecie, il maestro panificatore miglionichese, col talento che gli viene unanimemente riconosciuto, è salito in cattedra e, tra l’ammirazione dei presenti, ha dato lezione di panificazione e non ha mancato di sottolineare come tale lavoro debba essere annoverato tra le “invenzioni più belle e redditizie fatte dall’uomo”. Quindi, a chi gli ha chiesto di svelare i segreti dell’arte di fare del buon pane, ne ha indicato due: “IL primo – ha precisato – è rappresentato dall’utilizzo del lievito madre, il cuore pulsante del pane, che gli conferisce colore, gusto, leggerezza e maggiore digeribilità. Ogni giorno, ha spiegato, ne impastiamo circa 15 chili, utilizzando farina e acqua fino ad ottenere un impasto duro e corposo che, messo a riposare a temperatura ambiente per quattro ore, coperto da un telo umido, forma al suo interno degli alveoli che ne costituiscono la mollica”.  Il secondo, invece, non ha niente a che fare con la tecnica della panificazione, perché riguarda un elemento immateriale ed invisibile agli occhi degli osservatori: è l’amore che bisogna avere per questo lavoro, così duro, ma anche tanto creativo ed appagante. Si tratta di una prerogativa che chiama in causa la vocazione per quest’attività lavorativa. Nessuno te la può trasmettere, né insegnare: bisogna averla ben radicata nel proprio codice genetico, come elemento distintivo e farla crescere di giorno in giorno, sempre di più. Come un seme prezioso che alimenta la terra. Fino ad identificarsi con la tua stessa vita. Giacomo Amati

Created by Antonio Labriola - 10 Luglio 1999 - Via Francesco Conte, 9  -  75100 Matera - Tel. 0835 310375