MIGLIONICO.
Ribalta nazionale per il maestro panificatore miglionichese
Antonio Centonze, 50 anni, titolare da circa trent’anni del
locale panificio “Antico Forno”, meglio conosciuto con la
denominazione dialettale “Lu Furn Vecchj”, ereditato dal
padre Michelangelo che lo attivò nel 1969, impiantandolo “ex
novo”, al suo rientro in Italia, a conclusione dell’esperienza
di operaio emigrante in Germania. Prima l’approdo a Betlemme, in
Palestina, in Terra Santa (4-10 marzo 2014), quale testimonial
del progetto umanitario “Pane Nostro”, per insegnare a fare il
pane ai giovani palestinesi, con l’intento di offrirlo ai poveri
e ai bambini profughi, rinchiusi negli orfanotrofi. Poi, alcuni
mesi più tardi, l’udienza in piazza San Pietro, dal Santo Padre,
Papa Francesco (25 giungo 2014), quale panificatore lucano
benemerito. Nei giorni scorsi la celebrità certificata in piazza
“Plebiscito”, a Napoli, ove ha tenuto un laboratorio didattico
sull’arte della panificazione, nell’ambito dell’evento “FuturoRemoto
2016”, promosso dall’associazione culturale napoletana, “Spazio
Mediterraneo” che ha il fine di contribuire a riscoprire,
valorizzare e promuovere l’identità mediterranea dei paesi che
si affacciano sul Mediterraneo. Nella fattispecie, il maestro
panificatore miglionichese, col talento che gli viene
unanimemente riconosciuto, è salito in cattedra e, tra
l’ammirazione dei presenti, ha dato lezione di panificazione e
non ha mancato di sottolineare come tale lavoro debba essere
annoverato tra le “invenzioni più belle e redditizie fatte
dall’uomo”. Quindi, a chi gli ha chiesto di svelare i segreti
dell’arte di fare del buon pane, ne ha indicato due: “IL primo –
ha precisato – è rappresentato dall’utilizzo del lievito madre,
il cuore pulsante del pane, che gli conferisce colore, gusto,
leggerezza e maggiore digeribilità. Ogni giorno, ha spiegato, ne
impastiamo circa 15 chili, utilizzando farina e acqua fino ad
ottenere un impasto duro e corposo che, messo a riposare a
temperatura ambiente per quattro ore, coperto da un telo umido,
forma al suo interno degli alveoli che ne costituiscono la
mollica”. Il secondo, invece, non ha niente a che fare con la
tecnica della panificazione, perché riguarda un elemento
immateriale ed invisibile agli occhi degli osservatori: è
l’amore che bisogna avere per questo lavoro, così duro, ma anche
tanto creativo ed appagante. Si tratta di una prerogativa che
chiama in causa la vocazione per quest’attività lavorativa.
Nessuno te la può trasmettere, né insegnare: bisogna averla ben
radicata nel proprio codice genetico, come elemento distintivo e
farla crescere di giorno in giorno, sempre di più. Come un seme
prezioso che alimenta la terra. Fino ad identificarsi con la tua
stessa vita. Giacomo Amati |