MIGLIONICO.
In centomila chiusi nelle loro stanze. Ragazzi che si ritirano
dalla società. Sono i più fragili tra chi non studia né lavora:
i più esposti sono i maschi, educati alla regola del successo.
(Fonte Corriere della Sera del 7 novembre 2016). “Ritiro sociale
è un’espressione ancora poco nota. La utilizzano psicologi e
operatori delle Onlus per definire i comportamenti del segmento
più fragile dei giovani – scrive Dario Di Vico –che non studiano
e non lavorano. Per avere un’immagine immediata di cosa
significhi il ritiro sociale si può pensare a un ragazzo
barricato nella sua cameretta con le tapparelle abbassate, il
computer sempre acceso, musica e libri, il cibo consumato lì in
una segregazione auto-imposta. Riguarda per lo più maschi
primogeniti e il primo sintomo è la rinuncia a frequentare la
scuola. Motivo: la pressione della società che chiede una
competizione alla quale il giovane risponde negandosi”. Il
fenomeno è conosciuto anche con l’espressione “il corpo in una
stanza”. Si tratta di “ragazzi-fantasma” che hanno alle loro
spalle iter scolastici accidentati. E il genitore maschio di
fronte al ritiro sociale del figlio si scopre impotente e cede
spesso alla tentazione di squalificarlo. “Lo considera un
fannullone, un incapace, un disfunzionale”. Sono ragazzi senza
fiducia in se stessi e nelle istituzioni. La colpa? Secondo la
psicologa Katia Provantini andrebbe ricercata, sebbene in parte,
nel comportamento dei genitori che spesso fanno credere al
figlio di essere un genio. Ma il “mancato riconoscimento sociale
e l’eclissi del mito del talento alimentano senso di sfiducia e
disprezzo per un sistema che non li accoglie. Molti giovani di
oggi crescono nel rinforzo narcisistico di essere persone di
talento. Ma, poi, quando la collettività non restituisce loro
quell’immagine ideale, si apre la frattura”. Giacomo Amati |