MIGLIONICO.
Lettera aperta alle maestre della scuola primaria di Miglionico.
Il senso di questa comunicazione è riconducibile all’idea di
promuovere un confronto sul dilemma dei compiti a casa per i
bambini che frequentano la scuola a “Tempo pieno”. Alcuni
genitori, in merito, esprimono il loro disappunto, perché alcune
insegnanti in servizio nel plesso miglionichese assegnerebbero
agli alunni parecchi compiti da svolgere a casa, dopo aver
lavorato a scuola per ben otto ore. Da qui le lamentele e la
richiesta di una scuola “senza compiti a casa”. A tal
proposito, sembra che alcuni genitori siano intenzionati ad
inviare alla dottoressa Elena Labbate, dirigente scolastico
dell’istituto comprensivo “Don Donato Gallucci” di Miglionico, e
per conoscenza anche al sindaco Angelo Buono, una petizione
volta a chiedere una scuola che si faccia carico di non
assegnare i compiti a casa. Sulla base di quali ragioni? Ebbene,
quelle più significative sono essenzialmente tre. La prima: per
una questione di “igiene mentale, i bambini – affermano alcuni
genitori - non possono essere sovraccaricati di compiti che si
trascinano fino alle ore serali”. La seconda: ai bambini, di
fatto, viene preclusa la possibilità di svolgere altre attività
formative: ad esempio, quelle musicali, ginniche, religiose,
ludiche e ricreative. I numerosi compiti da svolgere a casa
“costringono ad abbandonare sia lo studio di uno strumento
musicale sia il nuoto, eccetera”. La terza: al fine di evitare i
conflitti familiari, i genitori, già stanchi e stressati dalla
giornata lavorativa, si sostituiscono ai figli e i compiti li
svolgono loro. “Le attività didattiche e il metodo di studio –
dicono i genitori – si insegnano a scuola. Perché certi
insegnanti vogliono demandare a noi quello che è un loro compito
essenziale: insegnare ai bambini a studiare e ad imparare? “Lo
studio – spiega il pedagogista Raffaele Mantegazza – non può
sostituire il lavoro in classe. La didattica si fa a scuola. E’
assurdo caricare di compiti i bambini come se fossero dei muli”.
E ancora: i risultati dell’apprendimento dipendono più dalla
qualità dei programmi e dalla preparazione degli insegnanti e
non dalla quantità dei compiti. Dopo chei bambino sono già stati
otto ore a scuola, quando ritornano a casa, sono “stufi di
compiti: sono svogliati, distratti e aiutarli a finire è
un’angoscia. Di fatto ai nostri bambini viene tolta ogni
possibilità di rilassarsi”. Da parte loro, le insegnanti
invocano il principio della “libertà di insegnamento” e
sostengono che i compiti a casa sono utili: servono a promuovere
l’autonomia dei bambini ed a formarsi un metodo di studio
individuale. Chi ha ragione? Come sempre la verità sta nel
mezzo, nel buon senso di trovare una soluzione che tenga conto
delle esigenze di tutti. La scuola e la famiglia sono chiamate a
collaborare e ad interagire, prevenendo le situazioni di
conflittualità. E poi, bisogna tenere in debita considerazione
ciò che, in materia, affermano le leggi vigenti. Ad esempio,
l’articolo 31 della “Convenzione sui diritti del fanciullo”
riconosce al bambino “il diritto al riposo e al tempo libero”. E
una circolare ministeriale raccomanda agli insegnanti di “non
assegnare compiti scolastici da svolgere a casa, soprattutto per
il giorno successivo a quello festivo”. Perché non tener conto
di questi documenti giuridici? E perché non avere la
consapevolezza che la “libertà di ciascuno finisce quando
comincia quella dell’altro”? Giacomo Amati |