Giacomo Amati

GIACOMO AMATI

13.07.2016

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MIGLIONICO
Chi era veramente Adolf Hitler? (prima parte)
 

MIGLIONICO. Chi era veramente Adolf Hitler (1889-1945) che si affermò come leader politico in Germania dopo la I guerra mondiale, su posizioni nazionaliste e antisemite? Ce lo spiega Pietro Citati in un mirabile articolo, “Visionario dell’odio. Il mistero di Hitler”, scritto sul “Corriere della Sera” (11 luglio 2016). “La parabola del dittatore tedesco, da giovane, era un emarginato. Poi, diventò capo assoluto di una nazione. Considerava i nemici come insetti da schiacciare – scrive Citati – ma disprezzava anche il suo stesso popolo. Da giovane era goffo, solitario, divorato dall’ansia. Poi scoprì che la sua oratoria elettrizzava le folle. E cominciò un’ossessiva corsa verso la distruzione”. Da adolescente trascorreva il tempo a disegnare, dipingere, leggere, scrivere poesie, dedicando la sera al teatro di prosa ed all’opera. “Stava alzato fino a notte inoltrata: la mattina dormiva fino a tardi, e il giorno fantasticava ad occhi aperti sul suo futuro destino di grande artista; fantasticava, come avrebbe fatto sempre, anche quando aveva tutto il potere tra le mani. Aveva un solo amico, August Kubizek, il quale racconta che il primo bisogno di Hitler era quello di parlare, parlare, parlare, davanti a un piccolo o un grande uditorio. Faceva arringhe su tutto: i difetti degli impiegati statali, gli errori degli insegnanti, le cattive esecuzioni operistiche, i brutti edifici di Linz (sua città natia)”. Quando si arrabbiava, con i suoi scoppi di collera, atterriva chi gli stava intorno. “Nel settembre 1907 andò a Vienna per sostenere un esame all’Accademia di Belle Arti: fu respinto due volte e riversò la sua ira sull’umanità intera, colpevole di non apprezzarlo. Non volle mai imparare un mestiere. Nell’autunno 1909, rimase senza denaro. Dormiva in un dormitorio; mangiava nei refettori dei conventi; spalava la neve per strada e si improvvisò facchino alla stazione. Ma teneva tutti gli altri a distanza, non tollerando che qualcuno occupasse un posto nella sua misera vita. Quando ricevette l’eredità dal padre, nell’aprile 1913, partì per Monaco. Leggeva fino a tarda notte, alla luce di una lampada a petrolio. Ogni due o tre giorni dipingeva un quadro e cercava di venderlo, procurandosi di che vivere decentemente. Prendeva in prestito libri alla biblioteca. Li leggeva nel caffè, dove aveva giornali a disposizione, o nel frastuono delle birrerie. Camminava fino allo sfinimento per le strade e i parchi di Monaco. Era chiuso in se stesso: nascondeva la propria vita a se stesso e agli altri e rifiutava qualsiasi amicizia. Non aveva alcun interesse ideologico e politico. Sino alla fine della I guerra mondiale, non fu né antisemita né anticomunista. Forse era vicino al partito socialdemocratico, al quale, più tardi, dedicò un odio senza tregua e senza remissione”. Fine prima parte. Giacomo Amati

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