MIGLIONICO.
Le nuove disuguaglianze. Si diffonde il fenomeno “Neet”. Il
termine indica una fascia di popolazione di età compresa tra i
16 e i 24 anni: si tratta di giovani che non hanno un impiego e
non studiano. In Italia il fenomeno è conosciuto come “Né né”;
invece, in Spagna è indicato con l’espressione “Ninì”. Chi sono
veramente? A questa domanda risponde il giornalista Dario Di
Vico che, nel suo articolo “Né studio né lavoro: ecco come
vivono”, scritto per il “Corriere della Sera” (10 luglio 2016),
spiega che “dietro questi giovani c’è quasi sempre un percorso
accidentato di studi con bocciature e interruzioni, un basso
livello di autostima ed una forte dipendenza dal contesto
familiare di provenienza. Dove e come passano la giornata?”
Ebbene, il giornalista precisa che in Italia tra i giovani “né
né” ci sono anche quelli che si dedicano al volontariato, coloro
che fanno sport, le babysitter e i laureati in cerca di prima
occupazione. Per quanto riguarda il primo gruppo (volontariato)
“è chiaro che la scelta di fare volontariato nasce come opzione
di ripiego, ma è pur sempre una scelta sorretta da una robusta
rete valoriale. Il gruppo degli sportivi, invece, comprende
parecchie figure, dal frequentatore delle palestre al tifoso
ultrà. Lo sportivo vive in un mondo in cui gli aspetti della
competizione più dura riempiono la giornata e diventano una
piccola filosofia di vita. Mentre il volontario interpreta tutto
nella chiave del “noi”, lo sportivo si trova più a suo agio
usando la prima persona singolare. Sia chi fa volontariato che
chi pratica dello sport non si sente un “Neet” perché ha una
vita attiva e non si sente un “fantasma”. La “terza tribù di
Neet è costituita da quella che si arrangia con i piccoli
lavori. L’occupazione prevalente è la “babysitter”, figura
richiestissima, dotata di una propria identità sociale. Infine,
il quarto gruppo dei Neetè quello dei già laureati in cerca di
prima occupazione. Poi, ci sono i Neet che non si sentono
“adeguati ai ritmi della vita contemporanea: hanno la tendenza
ad auto-isolarsi e a non emanciparsi dalla famiglia. Sono
demotivati sul futuro. E’ lo zoccolo duro dell’apartheid
generazionale”. Giacomo Amati |