Giacomo Amati

GIACOMO AMATI

27.05.2016

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MIGLIONICO
Le età della vita vanno aggiornate

MIGLIONICO. Le età della vita vanno aggiornate. E va abbattuta la soglia dei 65 anni. Fino a poco tempo fa, a 65 anni si entrava nella categoria “anziani”. Oggi tale parametro non ha alcun senso: è solo un pregiudizio. Ne discende che va cancellato l’aggettivo anziano per i sessantacinquenni. A sostenere la validità di queste affermazioni è un’indagine Istat (Istituto nazionale statistica) che sottolinea come tra gli ultrasessantacinquenni ci siano “profili eterogenei per stato di salute e condizioni di vita. Sono state proposte varie misure dinamiche dell’invecchiamento di una popolazione. C’è un’età anagrafica e ce n’è una biologica. Nel secolo scorso, la speranza di vita residua a 65 anni era di 13 anni. A 65 anni si entrava così nel parametro “anziani”. Ma negli ultimi cinquant’anni è cambiato tutto. Oggi “13 anni sono l’attesa di vita di un uomo di 73 anni e di una donna di 75 anni”. In virtù di tale criterio, in Italia 6,5 milioni di persone di età compresa tra 65 e 74 anni non verrebbero più considerati anziani. Non si tratta di una “rivoluzione lessicale”. Ma di una “trasformazione in corso”. E, secondo i dati dell’Onu (Organizzazione nazioni unite) “per la prima volta nella storia dell’umanità, la percentuale degli ultrasessantacinquenni supererà, tra un paio di anni, quella dei bambini d’età inferiore ai 5 anni. E nel 2050 la percentuale degli over 65 sarà più del doppio di quella dei bambini”. Ne discende che, tra poco, “ci saranno più nonni che nipoti. Se il miglioramento delle condizioni di salute ha portato l’Italia al primato della longevità (dopo il Giappone) la mancanza di politiche a sostegno della donna che lavora incide sul calo delle nascite. Crescere un figlio ha un costo che molte giovani coppie, senza il sostegno della famiglia, non riescono a sostenere. La retta di un asilo nido è come uno stipendio”. L’indagine Istat, infine, informa che “in Italia su 16 milioni di pensionati, 7,2 milioni hanno un assegno inferiore ai mille euro al mese e il 17 per cento vive con meno di 500 euro al mese”. Giacomo Amati

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