MIGLIONICO.
Dalla “società liquida” (senza legami profondi e duraturi)
“all’identità liquida”, ovvero alla persona incapace di
“mantenere a lungo una sua forma”. Ecco, allora, la “persona
liquida”, incapace di vivere “relazioni durature”, ma solo
quelle di durata effimera (anche quelle amorose), secondo la
“logica consumistica” fondata sulla semplice convenienza. Ne
deriva che al posto delle relazioni sociali si affermano i
“contatti nella rete”. La “rete”: ecco l’ultima frontiera del
rapporto sociale, col vantaggio che offre di “potersi connettere
e disconnettere con la stessa facilità”. Da qui la domanda: in
che società viviamo? Ebbene, secondo il sociologo polacco
Zygmunt Bauman, l’uomo vive in una società caratterizzata dalla
“modernità liquida”, dove vengono sempre di più a “mancare
quelle certezze che davano le strutture solide come lo Stato, la
famiglia e gli altri enti istituzionali”. Accade, allora, che in
una società sempre più segnata dalla flessibilità, l’individuo
“finisce per avere tutto il peso sulle sue spalle. Gli vengono a
mancare forme di solidarietà e punti di riferimento comunitari
che in passato aiutavano a condividere il fardello”.
All’orizzonte c’è il disimpegno, ma anche la visione a vedere
come “negativa ogni forma di legame che si proietti poco più
avanti del quotidiano”. Sta nascendo quella che il sociologo
polacco chiama “comunità guardaroba”, che funziona “a tempo”: i
suoi componenti stanno insieme fino a quando “qualcuno decide di
riprendersi il suo abito e andarsene”. In pratica, accade che in
una società di “modernità liquida” i piani a lunga scadenza
diventano poco attraenti. Di conseguenza, la logica del “carpe
diem” (di oraziana memoria) diventa la risposta più immediata a
un mondo “svuotato di valori”. Conseguenze: una realtà così
finisce col trasmettere soltanto incertezze e paure. Si avverte
l’esclusione, l’assenza di identità e l’indifferenza. E, persino
il tuo vicino “è uno straniero”. Serve un’inversione di
tendenza: c’è bisogno di pedagogia, di religione, di impegno
morale e di politica. Serve un ritorno al passato. Al
“rinascimento” dell’uomo. Giacomo Amati |