MIGLIONICO.
Referendum anti-trivelle del 17 aprile. Come votare? Il tema è
stato al centro dell’incontro dibattito che s’è svolto ieri sera
(venerdì, 18 marzo), a cura della locale associazione culturale,
“La Fucina”, nella sede ubicata in vico “Madonna delle
Grazie”. Nel corso del dibattito, che è stato sapientemente
introdotto dal prof. Domenico Lascaro, sono state messe
a confronto le ragioni del sì e quelle del no. In particolare,
il relatore Lascaro ha osservato come il referendum costituisca
un “esercizio importante di democrazia”, precisando che i motivi
del sì e del no siano entrambi validi in quanto sottendono
questioni legate sia alla tutela dell’ambiente ed alla
valorizzazione del turismo sia allo sviluppo economico ed alla
difesa dei posti di lavoro. Da qui la domanda: è possibile
trovare un punto di equilibrio per risolvere il problema nel
modo più soddisfacente possibile? Da parte sua, Giovanni
Finamore, vigile urbano in pensione, ha precisato che
“dovrebbe essere la classe dirigente, cioè il potere politico a
prodigarsi per cercare i giusti equilibri e stabilire i limiti
di compatibilità tra lo sviluppo economico e la tutela
dell’ambiente, al fine di tutelare l’interesse generale dello
Stato italiano. Spesso, però, la classe politica è latitante
sotto questo aspetto e dà l’impressione di voler sfuggire a
quelle che sono le proprie responsabilità”. Giuseppe Clementelli,
ha osservato che il referendum anti trivelle “riguarda solo le
attività petrolifere presenti nel mare italiano, cioè entro 22
chilometri dalla costa e non quelle sulla terraferma”. Quindi,
s’è chiesto: “Saranno fermati i giacimenti in attività quando
scadranno le attuali concessioni”? Infine, Vito Simonetti
ha spiegato che “votare sì non serve soltanto a fermare le
trivelle, ma anche a chiedere politiche di messa in sicurezza
del territorio e nuovi investimenti nell’utilizzo delle energie
rinnovabili (fotovoltaico che sfrutta l’energia solare e pale
eoliche che utilizzano l’energia del vento)”. A favore delle
ragioni del no, è stato osservato come smettere di usare gli
impianti entro le acque territoriali italiane significherebbe
sia perdere gli investimenti fatti fino a oggi e quelli futuri
sia perdere numerosi posti di lavoro. A conclusione dei lavori,
Lascaro ha ricordato che “per estrarre petrolio, le compagnie
petrolifere devono versare allo Stato Italiano dei diritti, le
cosiddette “royalties”, ma queste sono molto basse, tra il 7 e
il 10 per cento del valore di quanto si ricava dall’estrazione”.
Giacomo Amati |