MIGLIONICO.
L’emigrazione crea delicati e complessi
problemi sociali e psicologici di
adattamento alle nuove realtà civili e
culturali in cui le persone, spesso, sono
costrette ad inserirsi in modo traumatico.
Questo fenomeno sociale, con tutti i suoi
riflessi di ordine culturale, umano e
psicologico, è il nucleo tematico al centro
del romanzo, “All’ombra di un ficus”, di
Pippo Bellone, ed. “Amico Libro” (2014),
Montescaglioso. L’autore (59 anni), nato a
Sambuca di Sicilia (Agrigento), ma che da
alcuni anni vive a Montescaglioso, nel suo
libro, a carattere autobiografico,
strutturato in dieci capitoli, per
complessive 93 pagine, racconta una storia
vera. La sua storia, però, richiama alla
mente del lettore tante altre storie di
lavoratori meridionali che, spinti dal
bisogno e dalla speranza di trovare un
lavoro con la prospettiva, spesso illusoria,
di vivere un futuro, si sono trovati
bruscamente a contatto con un ambiente
diverso, per molti aspetti diametralmente
opposto a quello d’origine. Siamo alla fine
degli anni Sessanta. Il protagonista del
romanzo è ancora un bambino di dieci anni ed
è costretto a lasciare, unitamente alla sua
famiglia, il suo paese natio, alla volta
della Svizzera. “Questa nuova esperienza –
osserva la dottoressa Rosa Fioriniello –
sarà contraddistinta da molteplici aspetti
emotivi che innescheranno nella mente del
bambino svariate dinamiche psicologiche,
mettendone in luce la sofferenza interiore.
L’autore vive un turbinio di emozioni”. Da
una parte c’è l’incontro con un mondo
estraneo e sconosciuto; dall’altra resta
forte il rapporto con il passato, con il suo
paese d’origine. “Ogni emigrazione –
sottolinea Fioriniello – è segnata da
passaggi dolorosi: il distacco, il viaggio,
l’arrivo e l’inserimento in una realtà nuova
ed estranea”. L’autore soffre per la
nostalgia: evoca i luoghi a lui più cari,
ricorda i suoi amici e decide di ritornare a
casa, nella sua Sambuca, alla ricerca della
propria identità. Ma la disillusione è in
agguato: l’emigrante immagina che il tempo
si sia fermato, ma non è così. “Davanti alla
scoperta che il suo paese non l’ha aspettato
e non ha sofferto come lui – spiega la
professoressa Margherita Lopergolo – il
protagonista resta deluso fino al punto da
sentirsi nuovamente straniero: estraneo nel
suo paese. Ma in suo soccorso,
fortunatamente, arriva la nonna Peppina, la
“Mamma Grande” vestita sempre di nero, con i
capelli di un bianco candido, sempre
raccolti”. Ed è a questo punto che per il
protagonista comincia un nuovo “viaggio”: è
quello che avviene nella sua vita interiore.
E’ un libro coinvolgente sotto il profilo
emotivo: si legge d’un fiato, dalla prima
all’ultima pagina. Giacomo Amati |