MIGLIONICO.
Com’era da aspettarselo, l’amico Amati mi ha rivolto le solite
stuzzicanti domande sulla situazione politica del nostro Paese e, nello
specifico, sul ruolo che dovrà svolgere il Partito Democratico dopo il
recente insuccesso elettorale. E’ come chiedere di spiegare l’origine
del mondo partendo dal caos universale. In ogni modo non mi sottraggo
dall’esprimere le mie opinioni in merito.
Riguardo alla situazione politica attuale, non è esagerato affermare che
il termine più appropriato per definirla è proprio il caos inestricabile
che contraddistingue la normale attività governativa. Tralascio di
esprimere un giudizio sul modo con cui si è formata l’attuale
maggioranza di governo. Mi basta solo far rilevare che è nata senza un
progetto politico comune, bensì su un “contratto” rispondente a
interessi contrastanti e alternativi fra due diverse forze politiche.
Colpa di un sistema elettorale precipitosamente approvato, dopo la
bocciatura del Maggioritario proposto da Renzi, al solo scopo di
penalizzare le forze concorrenti. L’oggetto del contendere è il
Documento di Economia e Finanza (DEF) da approvare entro il 31 dicembre
2018. Il Governo a guida Salvini-Di Maio (Non me ne voglia il Presidente
Conte), ha presentato al Parlamento, e trasmessa alla Commissione
europea, un documento comprendente una manovra di bilancio che ammonta a
36,7 MLD complessivi, con 6’9 MLD di coperture e 15 di maggiori entrate.
Restano 14 MLD praticamente scoperti.
La speranza è che la distribuzione di notevoli risorse a favore dei
poveri, le agevolazioni fiscali per gran parte delle partite IVA e la
spesa in più per il superamento della riforma Fornero, possa innescare
un aumento dei consumi, e quindi delle entrate statali, a sostegno
dell’occupazione. Come usa dire, la speranza è l’ultima a morire. La
reazione, durissima delle opposizioni, non si è fatta attendere. In coro
hanno gridato allo scandalo. Per la mancanza di coperture sicure, temono
un aumento incontrollato del debito pubblico che porterebbe il Paese al
disastro economico.
Le preoccupazioni non sono (del tutto) campate in aria. Non pochi
economisti di fama nazionale e mondiale sono concordi nel paventare il
rischio di un collasso finanziario che danneggerebbe soprattutto i ceti
più deboli. Non nascondiamocelo, il problema è serio e non va in nessun
modo sottovalutato. Però una personalissima opinione la voglio esprimere
che, ahimè! Potrebbe far saltare sulla sedia gli amici del mio partito.
Va benissimo un’opposizione dura e inflessibile, ma si evitino toni e
atteggiamenti catastrofici capaci solo di alimentare paure e prefigurare
disgrazie imminenti. Le quali, unitamente alle previsioni pessimistiche
delle Agenzie di Rating, alle istituzioni internazionali preposte al
controllo dell’andamento finanziario, all’Ufficio parlamentare del
Bilancio, possono (e fanno) lievitare lo Spread più di quanto non è
lecito aspettarsi.
Concordo col ministro Savona quando afferma che la stabilità finanziaria
è direttamente collegata alla stabilità sociale; ma egli stesso
contribuisce a farlo aumentare con le sue affermazioni ipotizzando che,
se lo Spread supera i 400 punti, sarà necessario rivedere l’intera
manovra. Non serve comunque evocare le forti pressioni dei Fondi USA e
delle mani straniere sul debito nazionale (M. Del Corno), ciò che conta
è affrontare il problema con spirito costruttivo, pensando al bene
comune e al futuro dei giovani e dell’Italia, senza darsi traguardi
elettoralistici a breve termine.
I problemi da affrontare ,oltre a quelli indicati nella Legge di
Bilancio, sono tanti e di tale gravità che richiedono l’apporto di tutte
le forze politiche, ciascuna secondo il ruolo che il popolo a loro
assegnato col mandato elettorale. Per questo il mio giudizio sul Governo
è per il momento sospeso. Non condivido le ragioni di fondo di nessuno
dei due partiti sottoscrittori del “contratto”, ma voglio concedergli
una chance e una fiducia, condizionate a farci uscire indenni dalla
catastrofe annunciata. Sono convinto che la manovra non produrrà un
benessere generalizzato, ma sicuramente non ci condurrà nel baratro
evocato. Hanno il diritto e il dovere di governare; se falliscono il
popolo saprà giudicarli.
Ben altre sono le mie preoccupazioni e riguardano il destino del PD al
quale mi onoro di appartenere. Dopo le recenti sconfitte elettorali
sembra precipitato in una crisi profonda e aver smarrito la sua stessa
identità politica e morale. “Perché tanti elettori gli hanno voltato le
spalle? -mi chiede con un pizzico di malizia l’amico Giacomo- cosa può
fare per recuperare i voti dei giovani e del ceto medio? A chi affiderei
la guida dopo il congresso”? Non si è trattata di una semplice
flessione, come usa dire in queste circostanze, ma di una vera débacle
che ha sconcertato e smarrito l’intero popolo Dem.
Non si dimezza in un breve arco di tempo il 41% dei voti conquistati
nelle ultime elezioni europee. I motivi sono molteplici e, per buona
parte, li ho evidenziati in precedenti interventi, gentilmente ospitati
su questo sito curato dal caro Prof. Tonino Labriola. Molte delle
responsabilità sono da attribuire a Matteo Renzi, alla sua inebriata
arroganza del potere e al suo atteggiamento egocentrico; ai suoi stessi
errori di gestione governativa e al comportamento di sufficienza con cui
ha trattato la minoranza del partito. Non esente però dalle colpe può
dirsi quest’ultima che, pur di fargliela pagare , non ha esitato a
demolire il suo progetto istituzionale e a piantarlo nel bel mezzo della
partita.
Cos’altro potevano fare i suoi elettori di fronte a uno sfacelo del
genere, per non farsi ammaliare dalle sirene dei 5Stelle e dalle
profferte di Salvini? La perdita è stata notevole e continua tuttora a
pesare sui sondaggi giornalieri. Lo sbandamento è stato tale che non si
è avuto neanche il coraggio di fare una sincera e opportuna analisi del
voto. La confusione inoltre ha impedito di fare una scelta ponderata
sulla strategia da assumere dopo la sconfitta. Si è preferito optare per
un’opposizione dura, anziché tentare di offrire anche un appoggio
esterno a un governo che accogliesse alcune proposte di riforme
indispensabili per il bene del Paese.
Purtroppo per me, le cose sono andate così come sappiamo. Allo stato
attuale, se si esclude la tenace opposizione in Parlamento, occorre
pensare al modo di recuperare i voti persi e rilanciare l’azione
politica del partito. Il buon Martina ce la sta mettendo tutta, animato
da lodevole entusiasmo e da buona volontà. Ha organizzato a Roma una
grande manifestazione che ha coinvolto migliaia di partecipanti da tutta
l’Italia. Si è adoperato per fissare la data del congresso entro il
prossimo febbraio. A proposito del quale, per la guida del partito sono
spuntate numerose candidature. Non di meno sono le proposte finalizzate
a modificare assetto, logo e il nome dello stesso partito. Si va dalla
proposta di Carlo Calenda di costituire un “Fronte Repubblicano”, a
quella provocatoria di Matteo Orfini di azzerare tutto e ripartire
d’accapo.
Secondo me non bisogna azzerare alcunché , né cambiare nome e immagine
del PD. Il termine “democratico” è condizione sufficiente a garantire
l’essenza e il valore autentico di un partito che si è proposto di
assicurare una gestione libera e democratica al suo interno. E’ questo
il vero problema che affligge il PD. Fino a quando il termine
democratico rimane un principio inapplicato, non si potrà parlare di
vera democrazia interna. Non è che le altre forze politiche usino gli
stessi strumenti, ma a me poco importa. Il primo problema dunque che il
congresso dovrà risolvere, una volta per sempre, è l’approvazione di
nuove regole per garantire una concreta gestione democratica.
Il che significa che andranno abolite le figure dei cosiddetti “capi
bastone” e date più opportunità di decisione ai singoli iscritti. Sul
piano valoriale, all’ultimo degli iscritti compete la stessa dignità del
primo dirigente. Sono queste le condizioni indispensabili per aprirsi
alla cosiddetta società civile, favorire l’ingresso nel partito dei
giovani e simpatizzanti, nonché il recupero dei consensi perduti. Le
sfide storiche che la società odierna e i mutamenti mondiali impongono
alla classe politica sono tali che non bastano più i termini
“cambiamento e trasformazione” a definirli, occorre operare una
“metamorfosi” totale per affrontare il sovvertimento che il mondo di
oggi richiede (Ulrich Beck).
A cominciare dal fenomeno della globalizzazione economica e sociale,
occorrerà ridefinire il lavoro in una prospettiva di condivisione dei
posti di responsabilità, ripensare il Welfare in modo che la gente abbia
reddito e diritti sociali anche quando non lavora. Il che non ha niente
a che fare con la promessa del reddito di cittadinanza ipotizzato dai
5Stelle. Si tratta invero di riconfigurare il capitalismo e il suo
obsoleto sistema di lavoro, asserisce Richard Sennett, sociologo di fama
mondiale. Sono questioni riguardanti il futuro stesso del sistema
capitalistico globale, connesse direttamente alla redistribuzione del
reddito e al tema strutturale dell’automazione e delle sue conseguenze
sulla forza lavoro.
Questioni che pur apparendo lontane dai nostri interessi immediati,
avranno un peso rilevante nella formazione di un nuovo progetto
politico. Non per questo bisogna sottovalutare i problemi pressanti che
riguardano la nostra società. Mi riferisco al fenomeno immigrazione,
alla difesa del territorio (ponti compresi), all’ecologia, alla
realizzazione di una seria meritocrazia (mi perdonino gli amici del PD,
non posso non plaudire alla Ministra Giulia Bongiorno che sembra aver
preso seriamente a cuore la delicata questione); per non parlare di
scuola ,sanità, mezzogiorno.
Si tratta di una visione del futuro completamente di rottura col passato
e protesa a favorire l’innovazione sociale e umana, più che la tecnica e
il capitale. Come si può notare, sono questioni di straordinaria
complessità e urgenza che ogni forza politica, degna di questo nome,
dovrebbe affrontare con serietà e determinazione; ciascuna secondo i
propri principi. Non si tratta di un libro dei sogni, ma di impegni non
più rinviabili, da affrontare, sia pure con gradualità, con coraggio e
progetti concreti. A questo immane compito è dunque chiamato l’imminente
congresso del PD prima che si continui ad accapigliarsi sul futuro
candidato premier.
Per prima cosa si dovranno indicare priorità, metodi e contenuti da
sottoporre all’approvazione di tutti gli iscritti. Sul piano
strettamente politico, una cosa dev’essere chiara al gruppo dirigente
attuale: l’illusione di pensare che il sovranismo dilagante e il Governo
in carica siano fuochi di paglia o fenomeni transitori che possono
crollare al primo stormir delle foglie. L’emozione collettiva che li ha
fatti proliferare non potrà essere rimossa con la propaganda o la voce
grossa. Occorre riflettere, programmare, unirsi, agire.
“A chi affideresti la guida dopo il congresso”? Mi chiede ancora Amati.
E’ questo il vero dilemma che l’amico m’invita a sciogliere. Premesso
che è inopportuno parlare di segretari prima di definire priorità,
contenuti e ruolo che il partito dovrà indicare nella fase congressuale,
provo comunque a esprimere la mia opinione e fare una proposta che potrà
sembrare scandalosa ai dirigenti attuali. Sembrava tutto fermo fino a
quando non è emersa la candidatura di Zingaretti, il quale con coraggio
ha fatto notare gli errori commessi da Renzi e da tutto l’apparato
storico del partito. In caso di elezione a segretario, ha promesso di
operare un vero cambiamento di rotta, sia nel metodo che nella gestione
del partito.
Dalla “Piazza Grande” ha solennemente affermato di voler fare una vera
apertura ai gruppi intermedi della società e a quanti hanno a cuore il
bene dell’Italia, siano essi anche i sostenitori dei 5Stelle. Renzi l’ha
subito bloccato sostenendo che il Governatore del Lazio farebbe bene ad
occuparsi dei problemi della regione che gli ha dato il massimo del
consenso. Gli contrappone l’ex ministro Marco Minniti, la testa più
lucida del PD, che gli sembra il più adatto al ruolo. Lui stesso sembra
ormai rinunciarvi, ma prepara con tenacia la quarta Leopolda.
Da poco si è fatto coraggio Matteo Richetti e si proposto, sperando
negli ex sostenitori di Renzi. Gli ha fatto subito eco Francesco Boccia,
ma sembra non crederci nemmeno lui. Martina tentenna ma non troppo.
Spera nel ravvedimento collettivo. Ha fatto capolino anche l’ex ministro
del lavoro Cesare Damiano, ma per ora rimane in ascolto. Calenda (grande
coraggio: è saltato sul carro dei “perditori”) ha avanzato la
candidatura di Gentiloni che, dignitosamente , attende che la situazione
maturi da sola. A dire il vero un pensierino l’avevo fatto anch’io, ma
da una verifica anagrafica ho scoperto di aver superato l’età.
A parte gli scherzi, numerosi sono i concorrenti, ma poche le proposte
nuove in campo. Tutti parlano di rinnovamento, di rifondare il partito
dalle fondamenta, aprire ai giovani e alla società civile, difendere i
più deboli, e via di questo passo. Di mozioni nero su bianco ancora non
se ne vedono. Per me sono tutti degni di assumere il difficile incarico,
ma per ora non ho preferenze per alcuno; il che equivale a dire che non
preferirei nessuno dei proponentisi. Sono tutti idonei al ruolo; insieme
però rappresentano il passato. Nell’immaginario collettivo,
costituiscono una riserva preziosa per futuri incarichi di governo, ma
non sarebbero adatti a far uscire il PD dalle secche in cui è
precipitato. Oltre a definire strategie e progetti nuovi, rispondenti
alle necessità della società attuale, il partito ha bisogno di una reale
discontinuità di gestione che faccia dimenticare gli errori commessi.
Serve invero una guida inedita, imprevedibile, quasi uscita dall’ombra,
ma capace di unire, riappacificare, sedare appetiti e protagonismi; in
una parola una personalità carismatica intorno a cui stringersi per
lottare uniti. Ebbene un tale personaggio ha fatto capolino tra la folla
dei contendenti e si è proposto con estremo coraggio per affrontare la
battaglia della sua vita. Si chiama Dario Corallo: laurea in Filosofia
morale, trent’anni, ma cosciente dell’immane lavoro da fare per
rimettere in piedi il partito. E’ giovane ma non digiuno di politica. E’
componente della segreteria nazionale dei “Giovani Democratici” e ha
svolto diversi altri incarichi a livello locale.
E’ proprio quello che ci vuole. Persona non compromessa con la gestione
precedente. Giovane, autonomo intellettualmente, culturalmente
preparato, non legato ad alcuna corrente e portatore di un progetto che
si può definire del “nuovo che avanza”. Intende davvero svecchiare gli
ingranaggi inceppati dell’apparato di partito. Le sue idee sono invocate
da ogni parte, ma che finora non hanno mai trovato applicazione:
ascoltare le istanze della base per farle “ascendere ai piani alti” del
palazzo in cui si decide; i circoli devono rappresentare “l’orecchio che
da terra traduce la realtà a chi la rappresenta”. Per questo, egli
afferma, c’è bisogno di una modifica sostanziale dello statuto che
accolga l’ansia di rinnovamento che giunge da ogni anima del partito.
Sostiene, inoltre, la necessità di sopprimere la norma dello statuto che
prevede i doppi incarichi: chi ha cariche politiche non può
contemporaneamente assumere compiti amministrativi. Pertanto chi detiene
la carica di segretario non potrebbe candidarsi a quella di Premier.
Sarà una pura illusione, ma non vedo altra strada per far uscire il
partito dalle difficoltà in cui s’è cacciato. Da parte degli interessati
si dirà: è ancora molto giovane, ha poca esperienza, non ha nessuno
dietro che lo sostiene, è un illustre sconosciuto; s’illude di voler
cambiare una realtà ormai consolidata. Proprio per questo in questo
momento rappresenta la carta vincente.
Un fenomeno simile si sta verificando in molte altre parti del mondo.
Giovani finora sconosciuti, senza esperienze politiche, ma dotati di
coraggio ed entusiasmo autentico, stanno surclassando i vecchi dinosauri
del potere. Un esempio per tutti: le cosiddette “ragazze della prateria
americana”, capeggiate dalla giovane Alexandria Ocasio-Cortez (28 anni
di origini portoricane), stanno mettendo a dura prova gli appetiti dei
politici più influenti del Partito Democratico americano. E’ un
movimento inedito che coinvolge anche moltissimi ragazze e ragazzi
italiani, vogliosi di partecipare alla battaglia ideale e politica per
sconfiggere l’indifferenza e la rassegnazione paralizzante.
Non mi rimane che rivolgere un “consiglio disinteressato” a tutti i
candidati segretari: siate responsabili, fate un passo indietro e
sostenete convintamente l’unico candidato che davvero può restituire al
PD nuova forza e un rinnovato ardore per affrontare la dura battaglia
che abbiamo di fronte. Infine, se mi posso permettere, faccio un
accorato appello a tutti i giovani delusi dalla politica attuale:
approfittate di questo momento di ritrovata passione politica per
avvicinarvi fiduciosi al nostro partito e sostenere Dario Corallo,
simbolo di un ambizioso progetto di “metamorfosi” sociale che solo uno
come lui, uno di voi, può realizzare. Termino col mio solito slogan:
chiedo scusa se mi sono dilungato troppo, ma non ho avuto il tempo di
farlo più breve.
Miglionico 16.10.2018
Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it) |