MIGLIONICO.
Sollecitato più volte dall’amico Giacomo, non mi sottraggo
dall’esprimere le mie opinioni sulla campagna elettorale per le elezioni
politiche del 4 marzo prossimo. Spero di riuscire a rendere pubblico il
mio intervento entro venerdì, ultimo giorno della campagna in atto.
Premesso che il mio giudizio, com’è noto, è comunque di parte, tuttavia
cercherò di fare un discorso il più possibile imparziale. Il primo dato
che caratterizza lo svolgimento della competizione attuale è l’effluvio
di promesse che affollano i programmi di tutte le forze in campo. Sembra
di assistere allo svolgersi di una lotteria con l’obiettivo di
assicurare un futuro di benessere proprio del “Paese dei Campanelli”.
Non mi soffermo sulle singole promesse, giacchè sono oggetto di una
propaganda quotidiana asfissiante. Quello che più colpisce, però, è che
sono oggettivamente irrealizzabili, per il semplice fatto che sono
estemporanee, formulate solo per buttare fumo negli occhi all’elettorato
e acchiappare consensi da ogni parte. E ciò è talmente evidente perché
sono quasi tutte disancorate da un progetto politico che guardi al
futuro dei giovani e del Paese in generale.
Un altro elemento che connota l’anomalia di queste elezioni è l’ambigua
riforma elettorale, rabberciata all’ultimo momento per ovviare ai
tentativi falliti in precedenza di realizzare un sistema elettorale
capace di assicurare governabilità e rappresentatività. Vero è che è
stata emanata con la fretta di correggere le carenze del cosiddetto
“Consultellun” ma, senza infingimenti, anche per favorire le coalizioni
dei partiti “tradizionali” e mettere fuori gioco quelli antisistema.
Con quale risultato? Se non quello di rendere incerte le elezioni,
poiché a contendersi la vittoria sono almeno tre poli, distinti e
incompatibili tra loro. V’è una tale confusione che getta nello
sconforto le persone più consapevoli e dissuade oltre un terzo degli
elettori di recarsi al voto. Che cosa c’è dunque oltre la siepe?
Leopardi direbbe: v’è un tale marasma che “per poco il cor non si spaura”.
Ma torniamo a un discorso più terra terra. E’ da dire che c’è davvero da
preoccuparsi. Non solo perché tutto si svolge in un clima di toni
esasperati e offensivi, soprattutto perché si assiste a una vera
“campagna del nulla”, come l’ha definita Marco Damilano; senza progetti
seri, intesi a “promuovere sviluppo, lavoro, occupazione per
modernizzare il Paese”. La verità non è che la maggior parte delle forze
in campo non è in grado di elaborare un minimo di progetti utili a
soddisfare i bisogni del popolo; si ha paura di mettere mano alle misure
da attuare, tale è la mole dei problemi da affrontare.
Meglio restare nel vago e far leva sulle necessità più elementari dei
cittadini, pur di non creare ansie e scontenti tra le varie categorie.
Una volta al potere ci sarà tempo per fargli accettare provvedimenti
anche impopolari. Occorreranno infatti risorse straordinarie da
destinare alla difesa del territorio, alla messa in sicurezza del
patrimonio immobiliare nazionale, alla cura e alla salute degli anziani.
L’accoglienza e l’integrazione dei migranti, e la minaccia, sempre in
agguato, del terrorismo jihadista comporteranno inoltre spese sempre
maggiori.
Occorrerà altresì affrontare la sfida dei cambiamenti climatici che
minacciano di sconvolgere l’assetto idrogeologico dell’intero pianeta.
Tutto questo, è evidente, comporterà investire risorse ingenti che
peseranno sull’economia del Paese. Nessuno ne parla. Meglio far finta di
non vedere, vivere alla giornata e promettere la luna nel pozzo. Non
vorrei con ciò creare timori esagerati o innescare sentimenti
catastrofici. E’ solo un richiamo alla responsabilità di chi si appresta
a governare il Paese, senza ignorare i problemi che ci attendono e
rimanere con i piedi per terra.
Se questo è, per il momento, l’atteggiamento di quasi tutti i partiti in
lizza, non per questo bisogna perdere la speranza e la fiducia in un
futuro più accettabile. Perciò è necessario che tutti si vada a votare
per scegliere tra i partiti e le forze più affidabili e responsabili,
che dimostrino di essere consapevoli di quello che c’è da fare. A questo
punto mi permetto di analizzare, non tanto le singole proposte, quanto
le motivazioni che spingono a preferire un partito piuttosto che un
altro. Sia pure di parte, come accennato, spero di essere il più
convincente possibile.
Votare per la coalizione di centro-destra non mi sembra opportuno, non
tanto perché Berlusconi è poco credibile ormai. Ha promesso la
rivoluzione liberale, ma non è stato in grado di realizzarla; ha
promesso di “rivoltare l’Italia come un calzino”, ma si preoccupato solo
di consolidare le sue aziende. Non parlerò delle sue faccende private e
delle pendenze giudiziarie. A tempo debito giudicherà la Storia. Né
accennerò alle promesse irrealizzabili e alle sue ultime sparate
elettorali.
E’ tornato di nuovo sulla “ruota panoramica” per rimettere insieme un
agglomerato di destra il più disgregato possibile, solo allo scopo di
riacciuffare il potere perduto e condurre nuovamente il gioco in prima
persona. Come accennato, votare per una tale coalizione sarebbe un
delitto di lesa maestà. Pensare di conciliare le pretese
antieuropeistiche e populistiche di Salvini e Meloni con il moderatismo
(almeno apparente) di Forza Italia e dei componenti la “Quarta gamba”
(Noi con l’Italia), sarebbe “follia sperare”, come suole dirsi. Ammesso
che possano raggiungere davvero la maggioranza assoluta, il secondo
giorno si dissocerebbero per far prevalere, ciascuno, il proprio potere.
Addio a stabilità e continuità di governo.
Votare per il Movimento 5Stelle? Ancora più azzardato. Non perché i suoi
rappresentanti siano, in effetti, privi di esperienze di governo, o
indegni e impreparati, ma solo per mancanze organizzative e
programmatiche. Oltre all’atteggiamento ondivago che hanno assunto, a
giorni alterni, riguardo all’Euro e l’Europa, non dispongono di una
struttura democratica interna: bastano pochi voti, on line, per
designare ogni sorta di candidati. Né hanno un organismo politico in
grado di controllare l’operato degli eletti nelle diverse istituzioni.
Secondo le convenienze, hanno pronto un nuovo Statuto. Si gloriano di
una strana figura di garante, Grillo, che decide da solo, secondo i suoi
ghiribizzi. Ciò che maggiormente sconsiglia di votarli è il loro
arrogante atteggiarsi, che li fa sicuri di diventare il primo partito e
di ottenere da Mattarella l’incarico di formare il nuovo Governo. Anche
senza maggioranza parlamentare, pur di governare da soli, farebbero un
appello a chiunque condivida il loro programma. Ogni desiderio è lecito.
Ma dove stanno l’arroganza e l’inaffidabilità? Certamente nel fatto che
non sono disponibili a sostenere un Governo che assicuri al Paese la
stabilità necessaria per risolvere i più urgenti problemi da cui è
gravato. Troppa grazia Sant’Antonio!
Trascurando i partiti più piccoli che, grazie a questa legge elettorale,
sono proliferati come funghi, accenno alla nuova formazione di Sinistra
alternativa che, su suggerimento di Grasso, si è imposto il nome di
“Liberi e Uguali”, (In sintesi Lue, chiedo scusa Leu). Nata dalla mente
geniale degli scissionisti Dem, Bersani e D’Alema in primo luogo, ha
chiamato a raccolta quello che rimaneva della galassia della Sinistra
radicale (Si, Rifondazione, Sel, ecc.) con l’obiettivo di formare un
nuovo soggetto politico che avesse il beneplacito di Giuliano Pisapia;
subito emarginato e sostituito da Pietro Grasso, il quale non vedeva
l’ora di scendere anche lui in campo. Con quali risultati?
Per alcuni versi positivi: unire sotto un unico simbolo il multiforme
arcipelago delle formazioni della Sinistra radicale. Fatto oltremodo
encomiabile. Ahimè! Il vero obiettivo dei dissidenti è di far pagare a
Renzi i suoi errori di strategia, soprattutto la colpa di averli
retrocessi a semplici componenti di minoranza, senza alcun potere
decisionale. Non esitano a definirsi alternativi al Pd e a proclamarsi
unici eredi della vera Sinistra.
Anche loro non hanno alcun progetto concreto da proporre, se non
ripetere all’infinito formule vuote di contenuti: lavoro per i giovani,
abolizione delle tasse universitarie, reddito assicurato per le
casalinghe e reimpiego per gli over cinquantenni; e via di questo passo,
senza accennare minimamente alle coperture necessarie. Sperano di
superare il Pd, ma sono posti a meno del 6% nella media dei sondaggi. Se
si considera inoltre che tra i due soggetti mandati in avanscoperta,
Grasso e Boldrini, non v’è un minimo di convergenza, emergono chiare
l’inaffidabilità e l’inutilità della loro proposta. Un voto a “Liberi e
Uguali” significa davvero votare la Lega di Salvini.
Non rimane che parlare del Pd. Tralascio di menzionare nel dettaglio gli
errori commessi da Renzi, prima e durante il suo mandato da Presidente
del Consiglio. Accennerò solo agli atteggiamenti da lui assunti negli
ultimi anni di attività politica, come del resto sono documentati dalle
mie molteplici prese di posizione su questo stesso sito. Non gli ho
risparmiato le critiche più cogenti che toccano il suo egocentrismo
senza limiti, la sua arroganza, il mancato rispetto per le minoranze e
la voglia di attribuirsi in prima persona i successi del Governo.
Non gli ho inoltre risparmiato l’accusa di aver trascurato del tutto
l’organizzazione interna del partito. Né ho sottaciuto la faciloneria
con cui ha fatto mille promesse che non ha potuto, forse saputo,
mantenere. Mi riferisco innanzitutto al progetto della “Buona Scuola”
che, all’inizio sembrava la panacea di tutti i mali dell’istruzione;
alla fine è naufragata per mancanza di fondi ma, soprattutto, per la
ferrea opposizione dei sindacati di sinistra e della minoranza interna.
Diverso però è il giudizio sulle reali condizioni in cui hanno operato i
Governi a guida Pd. Evito di accennare al breve periodo del Governo
Letta, condizionato totalmente dalle truppe berlusconiane, e mi soffermo
qualche minuto in più sul periodo Renzi-Gentiloni. A parte la riforma
del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, la concessione degli 80 Euro e altri
piccoli provvedimenti messi in atto, su cui si può essere o no
d’accordo, ciò che, nel bene e nel male, ha caratterizzato il Governo
Renzi è stato il tentativo, fallito, di dare al Paese una nuova veste
istituzionale.
Mi riferisco alla volontà di porre mano alle riforme che il paese
attende da decenni: superamento del bicameralismo perfetto, riduzione
del numero dei parlamentari, abolizione del Cnel, approvazione di una
legge elettorale atta ad assicurare stabilità e governabilità, ecc. Il
tentativo com’è noto è fallito. Non tanto per l’inconsistenza delle
riforme messe in atto, quanto per la carenza di comunicazione e
l’infausta decisione di sottoporle al giudizio del popolo mediante
referendum. Com’è noto, però, il popolo le ha bocciate. Quale popolo?
Quello fomentato da D’Alema e compagni, con la scusa che non erano
scritte in Italiano perfetto o quello sobillato da Berlusconi e Grillo
che non vedevano l’ora di far fuori a tutti i costi il nemico Renzi?
Nonostante i clamorosi errori commessi, è certo che l’ex Premier aveva
posto le basi per riportare il Paese oltre la grave crisi del 2008.
Operazione continuata da Gentiloni fino agli ultimi giorni del suo
mandato. I risultati, anche notevoli, non sono mancati: si è rimessa in
moto l’economia, la produzione industriale è cresciuta oltre le più
rosee previsioni, l’occupazione ha raggiunto i livelli precedenti la
crisi. Decine di categorie del pubblico impiego, dopo oltre dieci anni,
hanno finalmente ottenuto il rinnovo del contratto di lavoro; sono stati
conseguiti indiscutibili successi riguardo alle politiche per l’infanzia
e l’adolescenza, ai diritti civili, delle donne, della famiglia e
l’inclusione sociale. Non meno indicativi sono il piano nazionale contro
la violenza e le politiche per la sanità e la salute. Solo per citare
quelli che mi vengono in mente al momento di scrivere.
Tutte conquiste passate inosservate per il clima di contrapposizione
politica generato dalla perenne campagna elettorale, in atto da mesi nel
Paese. Non va però sottaciuto il merito di Gentiloni di aver recuperato
la perduta credibilità internazionale e aver affrontato con tenacia e
responsabilità i disastri geologici e umani che hanno devastato l’Italia
negli ultimi due anni. Né va inoltre dimenticata l’opera dei ministri
più rappresentativi, quali Padoan, Calenda, Minniti, Del rio,
Franceschini, Pinotti e altri che l’hanno affiancato senza risparmio di
risorse e di energie.
Certamente non tutti i problemi sono stati compiutamente risolti; molto
rimane ancora da fare per portare l’Italia ai livelli più progrediti dei
paesi europei e mondiali, ma il percorso è tracciato; senza illudere
ingannevolmente i cittadini con la promessa di realizzare il paese
dell’Eldorado, ma restando con i piedi per terra. Sarà possibile in tal
modo consolidare quello che è stato già fatto, su cui ancorare le
conquiste future. Ciò significa assicurare una continuità di progresso
all’insegna della stabilità di governo, senza traumi e salti nel buio.
Per questo è da apprezzare il cambio di atteggiamenti di Renzi che,
dismesso l’abito dell’arroganza e della presunzione, guarda con più
realismo a come salvare il processo d’integrazione politica europea,
dare credibilità nuova alle politiche di uguaglianza e meritocrazia che
sono il lievito del progresso democratico.
Spero che con queste mie note sono riuscito a fornire ai probabili
lettori elementi concreti su cui riflettere per fare una scelta motivata
del partito che più degli altri merita il voto. Avete già capito per chi
mi appresto a votare. Rispetto però tutti quelli che faranno una scelta
diversa, purché sia frutto di una riflessione personale, non dettata da
sentimenti effimeri e imposizioni propagandistiche e demagogiche. Ultima
nota: rinnovo l’invito a tutti di non disertare le urne per evitare che,
con la nostra astensione, altri scelgano per noi.
Miglionico 27.02.2018
Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it) |