MIGLIONICO.
Puntuale come “Non v’è lungo giorno che non segua la notte”, l’amico G.
Amati, dopo la pausa estiva, mi sollecita un giudizio sull’attuale
situazione politica in Italia. Ho voluto intitolare questo mio scritto
con un verso tratto da un Carme del meridionalista Giovanni Oliva,
scritto a suffragio dei “martiri” dell’11 settembre 2001, di cui oggi
ricorre il 16° anno. Ma che “c’azzecca” – potrebbe dire qualcuno – con
la situazione politica attuale?
C'entra, invece, perché il verso, per certi aspetti, ha a che fare con i
quesiti che mi pone Amati, e anticipa parte del mio giudizio, allorché
rivolge un “accorato invito alla ragione dei Potenti, per farsi unità di
costruttori del comune bene”. E’ il sogno dello Storico Oliva che mira a
produrre miti consigli nelle menti dei responsabili della politica.
Ma restiamo con i piedi per terra; passiamo dalla poesia alla prosa per
affrontare i temi che mi sottopone l’amico Giacomo. Esprimere un
giudizio sul momento politico attuale è davvero un’impresa titanica. Non
esagero nel dire che l’opinione più diffusa è il segno di un sentimento
di frustrazione che investe la generalità dei cittadini che si sentono
traditi dalla classe politica italiana. Ed è anche la mia opinione. Non
si può non convenire sul giudizio che la gran parte dei nostri mali
derivano dall’incapacità dei politici di risolvere, almeno in parte, gli
annosi problemi del Paese. Non si tratta, però, solo di incapacità; i
motivi veri vanno cercati nella prassi deleteria di perseguire posizioni
di potere, individuale e collettivo, a danno degli interessi comuni.
E’ la ragione per la quale si verifica una proliferazione di piccoli e
grandi partiti, effetto di scissioni a catena, che bloccano ogni
tentativo di riforma, capace di far uscire il Paese dal “pantano” in cui
è caduto. E’ il caso non solo del sistema elettorale “imbalsamato”, cui
accennerò in seguito, ma di tanti altri provvedimenti che necessitano di
essere approvati e che non vengono mai a soluzione per i veti incrociati
dei partiti, “l’un contro l’altro schierati”.
In sintesi, Giacomo mi chiede se sono del parere che “un’alleanza ampia
e plurale, unita e innovativa…allargata e senza divisioni” può
rappresentare un nuovo laboratorio politico, alla stregua di quello
messo in campo da Berlusconi in Sicilia, possa servire a risolvere i
problemi dell’Italia. Veramente la risposta è già contenuta nella
domanda; è come se Gigi Marzullo chiedesse agli italiani: è meglio
vincere un bel premio alla lotteria, o pagare una grossa multa per
eccesso di velocità? E’ evidente, caro Giacomo, che gli italiani hanno
bisogno di partiti o di alleanze politiche innovative, unite e coese,
che assolvano i compiti che i cittadini gli affidano.
Anch’io in altri scritti ho auspicato la formazione di due aree
democratiche alternative; una cosiddetta “moderata” di centro, l’altra
progressista di sinistra, capaci di assicurare alternanza e stabilità di
governo. Ma è solo un auspicio. La realtà è un’altra cosa. E’ vero che
Berlusconi si è inventato il “Quadrifoglio”, ma non è una nuovissima
proposta politica. E’ il solito espediente per vincere le elezioni, per
ora in Sicilia, e chissà anche alle prossime politiche. Il Paese ha
bisogno di ben altro. Non basta mettere insieme un’alleanza elettorale,
dalla Lega di Salvini ai “Fratelli” d’Italia; occorrono sodalizi
politici che condividano ideali e valori comuni. E’ questo l’obiettivo
dell’ex cavaliere? Me lo auguro.
Altro discorso va fatto a sinistra. E qui siamo alle dolenti note.
Sembrava che tra le tante formazioni radicali, alla sinistra del Pd,
stesse per nascere finalmente un gruppo unitario con finalità e
strategie condivise. Ma così non è. L’Art.1, ideato da Bersani e D’Alema,
pretende di avere la supremazia sugli altri; Sinistra Italiana e il
gruppo minoritario di Civati rivendicano la loro primogenitura. Si
sperava che Il “Campo progressista” di Pisapia riuscisse a fare il
miracolo, ma il cammino è risultato oltremodo accidentato. Anch’io avevo
auspicato la nascita di un’area democratica, coesa e unita da comuni
obiettivi, in concorrenza e non alternativa al Pd. Forse anche questo
auspicio svanirà nel nulla. Tutt’al più assisteremo all’ennesima
alleanza elettorale sull’esempio delle destre.
Queste ultime, almeno, dimostrano di essere più furbe e lungimiranti.
Ciò che più ha ferito il mio ottimismo è stato l’atteggiamento ambiguo
di Pisapia che si è fatto strattonare a destra e a manca e ha smarrito
il suo obiettivo originario: raggruppare in un unico “campo” i
democratici veri che non si ritrovavano nel Pd di Renzi. L’ultima sua
irritante affermazione: “mai col listone del Pd”., è il segno del suo
ondivago atteggiamento.
E’ vero che la forzata alleanza di Renzi con Alfano in Sicilia ha
ulteriormente indispettito Bersani e company, ma caro “el me Giuliano”,
non rischi di vanificare il tuo progetto “progressista” se ti uniformi
troppo al volere di Bersani? Non ti sembra di essere già passato dal
“Campo del progresso” a quello minato degli articoli uno? Difendi la tua
autonomia e, stai pur certo, alla fine tutti capiranno. Lo capirà anche
Renzi che ha il dovere, non solo l’interesse, di rispettare e
confrontarsi con le idee altrui, per cercare soluzioni condivise, per
far ripartire l’economia del Paese.
E’ vero che i dati Istat delle ultime settimane preannunciano un ripresa
economica impensabile dopo anni di recessione, ma molto rimane ancora da
fare per innescare un nuovo processo di occupazione e sviluppo. Si dice
che le imminenti elezioni siciliane costituiranno un significativo test
per le prossime politiche; senza dubbio è vero, ma a livello nazionale
la posta in gioco è ben altra; si tratta del governo di tutto il Paese e
non di una sola parte di esso. Considerate la innumerevoli questioni da
affrontare e risolvere, bisognerà cercare le soluzioni più efficaci per
formare governi stabili e autorevoli, capaci di assicurare continuità e
uniformità di gestione.
Riuscirà la classe politica attuale, in perenne conflitto, sia
all’interno che all’esterno del proprio ambito, a trovare la giusta
soluzione del problema?
Difficilissimo, ma non impossibile. Un minimo spirito di ottimismo serve
a non far perdere definitivamente le speranze, col rischio di
precipitare ancor più nell’ingovernabilità. Il primo grande atto di
responsabilità che questa classe politica dovrà dimostrare di fare
proprio, se non vuole screditarsi definitivamente agli occhi
dell’elettorato, è quello di approvare subito una nuova legge elettorale
che assicuri la tanto sospirata stabilità di governo. Non si tratta di
una semplice riforma da aggiungere alle altre, ma di uno strumento
indispensabile perché si possa assicurare un governo in grado di durare
e di operare efficacemente. Si riuscirà a trovare, dopo infiniti
tentativi, la quadratura del cerchio? Staremo a vedere.
Considerato che le situazioni cambiano ad ogni piè sospinto, in diverse
occasioni ho ipotizzato, nel merito, le soluzioni più disparate; ora mi
appresto a proporre l’ultima che, secondo il mio modesto parere, può
servire a risolvere il problema. La proposta è la seguente: fermo
restante il premio di maggioranza da assegnare al partito che superi il
40%, nel caso che ciò non si verifichi, che rimane da fare? Dato per
scontato che, con l’avvento di un sistema tripolare, generato
dall’affermazione del M5S, sarà difficile che un singolo partito possa
raggiungere tale soglia, la soluzione ideale sarebbe che ciascuno dei
tre maggiori contendenti (Pd, 5S e Fi) superasse il 30% per andare a un
ballottaggio a tre.
Al più votato andrebbe il premio di maggioranza per garantire la tanto
auspicata governabilità. Ma è pura utopia. Potrebbe sicuramente
verificarsi una seconda ipotesi, che solo due di essi raggiungano il
30%; in tal caso si darebbe seguito a un ballottaggio a due. Difficile,
però, che venga accettato da tutti, in particolare dai partiti minori. A
questo punto sorge il problema delle alleanze. L’esperienza passata ci
ha insegnato che le grandi “ammucchiate” hanno prodotto solo
ingovernabilità e fallimenti di ogni genere.
Ben vengano le liste comuni, ma composte solo da poche forze affini
(due, al massimo tre) che condividano ideali e programmi ben definiti,
resi manifesti agli elettori prima del voto. Ribadisco: liste comuni i
cui componenti siano eletti col sistema delle preferenze. In questo modo
potrebbe accadere che almeno una di esse raggiunga il 40% - o il 30, per
attuare il piano B, ovvero il ballottaggio – per risolvere una volta per
sempre il problema.
Se l’ipotesi del “Quadrifoglio” del “cavaliere” – mi piace definirlo
ancora cavaliere, nonostante abbia perso il cavallo – risponde alle
esigenze di cui sopra, non si può non plaudire all’iniziativa, purché
non sussistano fini reconditi. Sarebbe un ottimo inizio per stimolare la
diaspora dei piccoli gruppi a federarsi in raggruppamenti coesi e
unitari, allo scopo di amalgamare gli “arcipelaghi alla deriva”. Servirà
l’esempio di Berlusconi a far rinsavire il fronte delle sinistre? Me lo
auguro perché, come è noto, è il campo nel quale mi rivedo; soprattutto
perché sarebbe un bene per l’intero Paese.
Ma, come di sopra ho accennato, la confusione a sinistra è totale. Renzi
non ha mai accennato a una pur minima autocritica per i tanti errori
commessi; con Bersani, D’Alema e compagni si è consumato, anche per
motivi personali, uno strappo difficilmente ricomponibile, che spinge
questi ultimi a fare di tutto per “farlo fuori” dalla scena politica.
Avevo sperato che Pisapia potesse portare tutti a più miti consigli, ma
il progetto sembra essersi arenato. La rabbia è ancora più cogente se si
pensa che gli ultimi sondaggi prevedono che un eventuale raggruppamento
di sinistra raggiunga addirittura il 40%.
Che rimane da fare, allora? Non resta che far ricorso alla fantasia. Di
sopra ho accennato alla necessità – ipotetica – che si formassero due
aree politiche coese e alternative ( una Destra moderata e una Sinistra
di progresso); a condizione che ciascuna forza interessata rinunci a
alla propria sovranità e autonomia, a favore di un organismo superiore
cui demandare la gestione unitaria. Saranno capaci i piccoli e grandi
esponenti della Sinistra di rinunciare agli interessi personali e di
partito, per costituire un unico raggruppamento? Un’area così concepita
richiede alcune condizioni di base per potersi davvero realizzare. Oltre
alla rinuncia di sovranità, cui ho fatto cenno, occorre che l’obiettivo
ultimo non sia finalizzato solo al conseguimento del successo
elettorale, ma dovrà protrarsi oltre, per costruire un progetto unitario
da sottoporre all’approvazione di elettori e cittadini. Servirebbe, in
altri termini, un reale confronto di idee e di programmi da condividere
preventivamente, prima di pensare al leader o ai candidati premier.
Quest’ultimo sarebbe eletto in un secondo momento, per mezzo di vere
primarie e democraticamente gestite.
A queste condizioni, sì che si potrebbe davvero formare una, e una sola
lista plurale e vincente, eletta col sistema delle preferenze,
rispettosa delle peculiarità individuali e del patrimonio ideale di
tutte le forze in campo. E’ possibile ipotizzare una cosa del genere
senza compromettere l’autonomia di ciascuno, e senza generare forme
antistoriche di pensiero unico? Il rimedio è unico e solo: costruire
regole democratiche, disciplinate per legge, all’interno di ogni singola
area e di ogni singolo partito; rispettose delle minoranze interne e
garanti delle decisioni della Maggioranza.
Saranno pure utopie le mie, ma non vedo alternative alla deriva cui è
destinata la situazione italiana. Una riforma elettorale su basi
maggioritarie, verso cui sembra inevitabile che si vada, non può che
generare eterna ingovernabilità e la paralisi di ogni necessaria azione
riformatrice. Soprattutto aumenterebbe il rischio di ingrossare i
populismi di ogni genere e alimentare i rigurgiti nazionalisti;
pericolosi per la tenuta democratica e lo svolgersi di una normale
gestione del sistema politico. Chiudo col mio solito slogan: chiedo
scusa per essermi dilungato troppo, ma non ho avuto il tempo di essere
più conciso.
Miglionico 11.09.2017
Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it) |