MIGLIONICO.
Era inevitabile che si giungesse a tanto. Ogni atto, ogni parola
annunciavano quello che poi si è verificato: la disgregazione del Pd.
Prima però di rispondere ai numerosi quesiti che mi ha rivolto l’amico
Amati sull’evento appena consumato, rivolgo un caloroso saluto e un
sentito ringraziamento a Mimmo Sarli che ha la pazienza di leggere, da
Roma, le risposte alle “domande stillicidio” che mi pone, con la sua
arguzia di giornalista raffinato.
Caro Mimmo, mi fa immensamente piacere apprendere che puntualmente leggi
i dialoghi che si svolgono tra me e Giacomo, gentilmente ospitati dal
Prof. Labriola su questo stesso sito. Quale grande onore e quanta
soddisfazione nel paragonarmi a Giorgio Napolitano. Mi viene proprio da
dire: troppa grazia! Mimmo caro. Se almeno potessi aspirare al 10% delle
qualità del Presidente, ne sarei oltremodo orgoglioso.
Vengo quindi alla tua proposta: condensare le risposte con interventi
“brevi e concisi”, preferibilmente con cadenza quotidiana. A parte il
fatto che non ho il tempo di essere “breve e conciso”, sinceramente non
possiedo né le capacità, né le competenze che gentilmente mi
attribuisci. Non sono un giornalista di professione, anche se in diverse
occasioni mi avete attribuito, tu e Giacomo, l’appellativo di
editorialista, politologo, redattore, addirittura ispettore. Di questo
passo, cari amici, sempre a mia insaputa, mi nominerete Direttore del
Corriere (dei Piccoli), o di Repubblica.
Magari potessi scrivere ogni giorno; non mi è proprio possibile, non
perché devo fare il nonno, come ha affermato, con una punta di malizia,
il collega Amati (collega, s’intende, non più per compiti professionali,
ma per il ruolo comune di badanti of nipotini), ma perché mi mancano
qualità e motivazioni. Come hai notato, non commento le vicende
politiche interne agli altri partiti, non ne avrei il diritto ma,
occasionalmente esprimo le mie opinioni sull’area politica, la Sinistra,
nella quale ho riposto le aspettazioni e le speranze (perdute)
.
Caro Mimmo, è un ruolo che splendidamente potresti svolgere proprio tu,
per capacità e competenze, oltre al fatto che sei a due passi dal
Parlamento. A noi arriva solo l’eco del dibattito politico. A te invece
arrivano notizie di prima mano. Pensaci Giac… volevo dire Mimmo. A
Giacomo invece voglio fare un discorso diverso, più corposo, da “nonno a
nonno”. Caro collega, mi hai rivolto, ancora una volta, quesiti molto
tendenziosi, quasi a voler stuzzicare la mia suscettibilità. Riguardano
la logica (se di logica si può parlare) che sottende alla scissione del
Pd; sapere chi ha vinto e chi ha perso e, soprattutto, la fine che
toccherà al governo Gentiloni. Sono quesiti che richiedono un commento
più serio, senza ironie.
Con la scissione si è consumato senza dubbio un evento traumatico e
incomprensibile, non solo “all’insaputa” dei più, non compreso nemmeno
dagli stessi addetti ai lavori. O meglio, non sono apparsi chiari gli
obiettivi che si celavano dietro le dichiarazioni ufficiali, né degli
scissionisti, né di quelli che sono rimasti nel partito. Più volte ho
accennato all’allucinante contrasto interno tra la cosiddetta minoranza
dem e il governo Renzi. Per gli oppositori ogni pretesto serviva a
delegittimare l’azione dell’esecutivo, senza considerare che fosse
ostaggio di forze politiche oscurantiste e retrogradi; Renzi, da parte
sua, rincarava la dose, ignorando qualsiasi proposta dell’opposizione, e
assumendo atteggiamenti arroganti e provocatori.
La goccia, però, che ha fatto traboccare il vaso è stata la vicenda del
referendum sulle riforme costituzionali. Imperfette, emendabili, scritte
male, ma costituivano pur sempre un passo avanti per il Paese. Invece
no, bisognava in ogni modo bocciarle. Se si potevano capire (non
giustificare) gli obiettivi, inconfessati, dei partiti d’opposizione,
insensati apparivano i comportamenti della minoranza Pd. Era evidente
che dietro le motivazioni ufficiali c’erano motivi di natura tutt’altro
che di logica politica. Non le voglio attribuire tutte a risentimenti
personali o a intrighi di potere, ma gran parte di essi ha giocato un
ruolo decisivo nel provocare la spaccatura.
E’ vero che Renzi si è assunto non poche responsabilità con i suoi
errori e i suoi atteggiamenti non proprio ispirati all’ascolto, al
rispetto reciproco e al senso della realtà; ma farsi reciprocamente una
lotta senza esclusione di colpi, è stato un vero delitto. Non sono
bastate la Direzione allargata e l’Assemblea generale a rimarginare le
ferite. Ogni pretesto è stato decisivo per mandare tutto all’aria. Sono
purtroppo prevalsi i risentimenti personali, la volontà di far pagare
all’altro le responsabilità di una frattura che era già stata messa in
conto, scritta in anticipo.
A Renzi bisognava far pagare i suoi errori, la sua sicumera, l’arroganza
e la voglia di rottamare il vecchio apparato dirigente. La minoranza
doveva espiare la colpa di voler fare fuori “l’extraterrestre”, anche a
costo di bocciare le sue riforme, positive o negative che fossero,
mettendole in ridicolo con giudizi pretestuosi; per non parlare del
sarcasmo al vetriolo di D’Alema, che non vedeva l’ora di togliersi
qualche sassolino dalla scarpa. A queste condizioni era follia sperare
in una riappacificazione. Si è consumato un vero sommovimento tellurico
i cui effetti si protrarranno per parecchio tempo. Per usare le parole
di Achille Occhetto, “si è trattato non di una semplice scissione, ma di
una catastrofe cosmica, una vera conflagrazione; non è solo la fine del
Pd, si esaurisce un intero campo magnetico; è l’intera galassia della
Sinistra che si mette in movimento: a cominciare dal sindacato più
grande, la CGIL, dalle giunte locali, dal cortile degli intellettuali,
fino alla dirigenza della Rai”.
Come si può notare, è piuttosto arduo rispondere alla seconda domanda di
Amati, quella interessata a sapere chi ha vinto e chi ha perso in questa
assurda battaglia. Secondo me, non c’è stato alcun vincitore; unici
sconfitti: il mondo della Sinistra e l’Italia intera, che si vede
vanificare l’illusione che le forze democratiche potessero continuare il
lavoro di risanamento del Paese. Purtroppo, così si lascia campo aperto
ai populismi più retrogradi e pericolosi per la tenuta della stessa
democrazia.
Per chi è rimasto fedele al partito resta la speranza che possa
svolgersi un congresso vero (si dice) tra i diversi candidati scesi in
campo, (Orlando, Emiliano, la Salerno e Renzi) ognuno con un progetto
alternativo di governo, ma ispirato a una visione comune del mondo e
della vita. Non importa chi sarà il vincitore, l’essenziale è che si
riesca a indicare ai giovani una strada per il futuro e convincere
l’elettorato a votarli per la bontà delle proposte e per la fattibilità
del progetto politico, sperando che la galassia si ricomponga intorno a
un minimo di programma comune.
L’ultimo quesito riguarda il destino del governo Gentiloni. Non credo
che debba cessare prima di settembre, per due ragioni: in mancanza di
una legge elettorale che, a essere ottimisti, potrebbe essere emanata a
primavera inoltrata, si potrebbe tornare al voto già dai primi di
settembre. Non penso però che possa succedere; non perché i nostri
parlamentari temessero di perdere il vitalizio, (non sono così tanto
attaccati alla lira; chissà!), soprattutto per un motivo più nobile (si
fa per dire): riguarda ragioni di “strategia politica”. E’ il periodo in
cui va fatta la legge di stabilità che si annuncia di “lacrime e sangue”
per la mancanza di coperture finanziarie. Pertanto, quale partito
avrebbe il coraggio di togliere le castagne dal fuoco al Governo in
carica, a pochi mesi dalla scadenza della legislatura?
Gentiloni può stare “ sereno” e dormire con “sette guanciali”; prima del
febbraio 2017 non gli potrà accadere nulla. Così si spera. Ma, ahimè!
Forse l’è tutto da rifare, come usa dire in Toscana; In queste
ultimissime ore affiorano fatti sconvolgenti che, a dirla con le parole
del Poeta, generano all’orizzonte “nubi rossastre, simili a stormi di
uccelli neri che annunciano sinistri pensieri”.
Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it)
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