MIGLIONICO.
Caro Giacomo, rispondo agli ultimi quesiti che mi hai rivolto,
riguardanti le vicende interne al Pd, non nelle vesti del “politologo”
che, bontà tua, mi hai affibbiato, ma come semplice tesserato. La
risposta la dovrebbe dare, con più autorevolezza, un giornalista
neutrale, e non uno che vive le tensioni dall’interno. In ogni modo ci
provo. L’occasione mi è data dalla Direzione che si è svolta due giorni
fa a Roma, che ho seguito dall’inizio alla fine, per oltre quattro ore.
Apre i
lavori Matteo Orfini che subito cede la parola al segretario. Questi
inizia con una relazione molto ampia sulla situazione economica e
sociale del mondo attuale, dall’America di Trump, fino all’Europa e ai
paesi mediorientali. Senza dilungarsi oltre, affronta le questioni
politiche interne al Pd, sostenendo la necessità di tenere unito il
partito allo scopo di contrastare la ventata di populismo e l’avanzare
delle destre estreme che minacciano la tenuta democratica dell’intera
Europa.
Ammette i
suoi errori, ma non si fa sfuggire l’occasione per togliersi qualche
sassolino dalla scarpa nei confronti dei suoi detrattori. Dichiara che
sosterrà il governo Gentiloni, fino a quando esso avrà la forza di
resistere. Demanda all’assemblea plenaria, da convocare già per
domenica 19 p.v., la decisione di stabilire modi e tempi del prossimo
Congresso (presumibilmente entro aprile). Non ostenta la solita
baldanza, ma si presenta piuttosto dimesso e propenso all’ascolto. La
“tempesta perfetta”, paventata alla vigilia, sembra essersi allontanata.
Iniziano
gli interventi in un clima (quasi) disteso e totalmente sgombro da
tensioni. Esordisce Cuperlo con i suoi modi garbati e corretti. Fa
notare a Renzi i suoi errori, ma richiama tutti al senso di
responsabilità e a far prevalere la ragione sui sentimenti di rivalsa.
Lo seguono a ruota Bersani, Rossi, Orfini, Orlando, Fassino, Speranza,
Martina, Serracchiani, Emiliano e molti altri. Ognuno non risparmia
critiche né a Renzi, né al suo Governo. Tutti, però, lo fanno con
spirito responsabile, preoccupati di evitare qualsiasi forma di
scissione e ben disposti a fare proposte costruttive. In particolare
Fassino, con la sua indole raziocinante, avverte di non sottovalutare la
situazione complicata che impegnerà tutto il partito nei prossimi mesi;
infatti, accenna ai probabili referendum e alle elezioni amministrative
che si svolgeranno in molti comuni e province importanti. Emiliano non
ha peli sulla lingua nel contestare a Renzi le sue manchevolezze, ma lo
fa con garbo e senza la minaccia di carte bollate.
Orfini e la
Serracchiani difendono l’operato del segretario e propongono subito il
Congresso per dare un nuovo corso alle politiche del Pd. Il ministro
Martina, vera sorpresa per tutti, difende la politica agricola del
Governo e solleva non poche questioni da affrontare all’interno del
partito. Speranza e Rossi, molto correttamente, aggiungono un contributo
decisivo al dibattito, senza provocare lacerazioni insanabili.
Un cenno a
parte merita l’intervento di Bersani perché, oltre a fare una disamina
realistica e preoccupante della situazione economica e politica
d’Europa, e dell’Italia in particolare, avanza delle proposte di buon
senso riguardo alle scadenze future del partito: preparare una nuova
legge elettorale, celebrare il Congresso in tempi non molto ravvicinati,
possibilmente nel prossimo autunno; sostenere il governo Gentiloni fino
alla scadenza naturale della legislatura, per completare l’azione
riformatrice del Governo.
L’obiettivo
è evitare incertezze e sensazioni d’instabilità che generano sfiducia a
livello internazionale. Le stesse preoccupazioni di Orlando che
suggerisce di convocare da subito una conferenza programmatica per
sgombrare il campo dalle tensioni e pensare seriamente a ripensare a una
nuova politica per rilanciare l’economia del Paese. Tutto lasciava
presagire che, col clima che si era instaurato, ogni minaccia di
scissione fosse tramontata e che si potesse giungere a ritrovare
l’auspicata unità, invocata da tutti gli iscritti. Ahimè, nel giro di
qualche minuto il sogno era del tutto svanito.
Renzi nella
sua replica si dice subito disposto a replicare correttamente alle
critiche ricevute; invece il tono cambia repentinamente e risponde per
le rime a chi lo aveva criticato. Annuncia altresì l’immediata
convocazione dell’assemblea del partito, per decidere tempi e modi del
Congresso e, quasi certamente, le dimissioni da segretario. Al termine
della breve replica, i parlamentari, a causa di impegni istituzionali,
abbandonano la seduta per recarsi nelle sedi.
Come per
incanto si presentano due mozioni da sottoporre al voto della
Direzione, alternative fra loro. La prima, della maggioranza, riguarda
la richiesta di tenere subito il Congresso; la seconda, presentata dalla
minoranza, invita a rinviare il Congresso in autunno e impegnarsi a
sostenere il governo Gentiloni fino al termine della legislatura. Ma,
cosa del tutto anomala, quasi provocatoriamente, la seconda mozione
prevede una serie infinita di adempimenti paragonabili a un programma di
governo di lunga durata.
Come
volevasi dimostrare, tutto era stato deciso in anticipo da parte delle
due contendenti. A che cosa è servito convocare centinaia di
partecipanti, senza poter decidere nulla, giacchè tutto era già stato
deciso? E’ stata sì una discussione interessante, ma solo di pura
accademia, senza un ordine del giorno su cui dibattere e prendere
posizione. Da qui un sentimento di frustrazione e di amarezza che ha
preso il mio animo, nel vedere il partito perdersi in chiacchiere
evanescenti e vedere le speranze di riappacificazione sciogliersi come
neve al sole.
A questo
punto mi viene da chiedere: a che cosa servirà l’assemblea già
convocata per domenica prossima, se tutto è ormai deciso? A ratificare
solo le dimissioni del segretario e stabilire la data del Congresso, da
tenersi, per giunta, con le vecchie regole? C’è da rimanere davvero
sconcertati e amareggiati. E’ tutto il partito che ha perso il senso
della realtà.
In ogni
modo un richiamo sincero e sofferto mi permetto, da fedele iscritto, di
rivolgere al mio segretario, anche se destinato a infrangersi nel vuoto:
caro Renzi, non ti sembra di esagerare? E’ vero che la minoranza non
vede l’ora di farti fuori, ma che cosa ti sarebbe costato accettare
qualche suggerimento che non avrebbe minimamente stravolto la linea del
partito? Un Congresso richiede tempi distesi per coinvolgere gli
iscritti, e mettere in campo strategie e programmi validi per il futuro
del Paese.
La fretta
si sa non produce mai nulla di buono. Hai certo perso un’occasione
preziosa per ricucire lo strappo ormai quasi insanabile che si è aperto
nel partito. Pensaci, fai ancora in tempo per rimediare. Meglio una
conferenza programmatica per definire un programma, sia pure essenziale,
per rafforzare il Governo e dare nuovo alle riforme. Il Paese non può
più aspettare; ha bisogno di provvedimenti inderogabili finalizzati a
creare lavoro, mettere in sicurezza il territorio, stabilire nuovi
rapporti con l’Europa e contenere il flusso indiscriminato degli
immigrati.
Decidi che
cosa vuoi fare da grande, caro Renzi: se correre per la riconferma di
segretario o per la candidatura alle primarie per la guida del Governo.
Secondo me, l’una dovrebbe escludere l’altra. Non si può pretendere di
prendere due piccioni con una fava. Riguadagneresti la stima e il
consenso perduti, e ne guadagnerebbe il partito e l’Italia intera.
Miglionico
15.02.2017
Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it)
|