MIGLIONICO
La sinistra: guida ragionata di un arcipelago alla deriva

MIGLIONICO. Non ho la pretesa di illustrare tutti gli aspetti di una molteplicità di frammenti di quella che è stata una sinistra unita, raccolta prima intorno al PCI e, in seguito, al PDS e PD. Desidero solo esprimere il mio disappunto nel vedere un patrimonio ideale e politico che ogni giorno va inesorabilmente in frantumi. La delusione di un fedele iscritto a PD che si vede vieppiù sfumare il sogno di una sinistra democratica in grado di affrontare e risolvere i gravi problemi del Paese.

Un sentimento che alberga in tanti iscritti ed elettori che hanno creduto, e forse ancora credono, in una compagine politica che gli dia certezze e speranza di un riscatto sociale. Non farò un’analisi di ciò che è accaduto negli ultimi decenni nel panorama della sinistra italiana. Chi volesse conoscere il mio pensiero può consultare i molteplici scritti gentilmente raccolti dal Prof. Labriola nell’”angolo della politica” di questo stesso sito.

In questa sede, dati gli innumerevoli spezzoni che compongono il panorama della Sinistra, mi limiterò ad accennare solo quelli che hanno la pretesa di rappresentarla interamente. Alla fine cercherò di illustrare le prospettive di quelli che intendono uscire dal tunnel in cui sono caduti. Dal punto di vista storico, oltre alle forze tradizionali di comunisti e socialisti, sono da annoverare il Psiup, il PSD, il gruppo del Manifesto e i gruppuscoli della sinistra radicale. Dopo la caduta del muro di Berlino, seguita dalla svolta di Achille Occhetto, che ne cambiò simbolo e nome, avvenne la drammatica scissione di Rifondazione Comunista dal PCI.

Similmente a un processo di partenogenesi cellulare, da Rifondazione Comunista sono emersi SEL, Comunisti Italiani e, ironia della sorte, è risuscitato il PCI. Insomma l’arcipelago è in continua trasformazione. Dal nucleo centrale del PD, dal cosiddetto zoccolo duro, si sono staccati pezzi consistenti, individuali e di gruppo, a cominciare da Civati che “balla da solo”, Fassina e D’Attorre, che hanno dato vita alla S.I. (sinistra Italiana).

Il gruppo più numeroso, di cui Bersani è il capostipite, non passa giorno che non minacci di dare il benservito al segretario Renzi. In più occasioni ho analizzato le cause che hanno generato la radicale contrapposizione d’idee tra maggioranza e minoranza dem, per cui mi astengo dal farlo in questa sede. C’è solo da dire che, chi più chi meno, tutti hanno motivi sufficienti per criticare le prese di posizione e le scelte sbagliate del segretario PD e del governo da lui stesso presieduto.

Il vero dilemma, però, non è la diversità di opinioni che possono sussistere in un partito politico; i problemi sorgono quando le divisioni dipendono da rivalse personali, dalla conquista del potere e dal perseguimento dei propri interessi. Secondo il mio parere, però, la causa di tutto, sulla quale ho più volte insistito, è la mancanza di reale democrazia e di regole condivise all’interno di tutti i partiti del nostro Paese, compreso il PD. In assenza di norme chiare, è gioco forza che ogni minoranza aspiri a imporre le proprie ragioni.

A questo punto apro una parentesi e accenno alla situazione della Sinistra francese in vista delle elezioni politiche di fine aprile per eleggere il successore di Francois Hollande. Il candidato che vincerà il ballottaggio del domenica 29 gennaio, sia Hamon che Valls, esponenti della composita Belle Alliance populaire, dovrà vedersela con due altri concorrenti, Emanuel Machon e Jean-luc Mucheohn, che non hanno aderito alle primarie dell’Alleance. Quale potrà essere il risultato, è facile immaginare. Tre candidati di sinistra contro due grosse formazioni di destra (Marine Le Pen vs Francois Fillon) che i sondaggi danno di sicuro al ballottaggio finale; mentre la Sinistra a stento raggiunge il 15%.

Con questi numeri la Sinistra, anche con l’affermazione dell’ex Primo Ministro Emanuel Valls, uomo d’ordine e di grande rigore economico, è destinata a perdere già al primo turno e lasciare che Destra ed estrema Destra si contendano la vittoria. E’ lecito ora chiedersi: che cosa centra la situazione francese con la nostra? Che cosa sta succedendo alla Sinistra, non solo in Francia, in Europa e nel mondo intero?

La risposta la dà Bernard Guetta, giornalista esperto di geopolitica: ”Il rapporto di forza tra capitale e lavoro si è capovolto quasi del tutto dagli anni 80 a oggi, a vantaggio del primo. Nel dopoguerra la situazione era favorevole alla Sinistra che rappresentava la stragrande maggioranza dei lavoratori. La minaccia sovietica e il potere dei partiti comunisti costringevano governi e industriali a fare concessioni sociali al mondo del lavoro”.
E’ stato il momento dello Statuto dei lavoratori, della conquista del welfare, del diritto allo studio e di tante altre vittorie conseguite dalla classe operaia, sia in Italia che nel resto d’Europa. Ma il crollo dell’Impero sovietico, la delocalizzazione delle produzioni industriali, l’introduzione massiccia della robotica e la globalizzazione senza regole “hanno affrancato il capitale dalla paura delle rivoluzioni”, e hanno costretto i lavoratori a ridurre il patrimonio dei diritti conquistati. Di conseguenza la Sinistra, tutta la Sinistra, non è più in grado di imporre il compromesso sociale che era la sua stessa ragion d’essere e le attirava i voti dei salariati.

Essa però non ha tradito. Purtroppo si è indebolita sempre più, visto che le soluzioni che si prospettano sono molto difficili da difendere. Una delle tante possibili è da riporre nell’unità dell’Europa. L’ascesa di una potenza pubblica di dimensioni continentali è la sola che potrebbe negoziare col capitale “una nuova tregua sociale”; e competere con gli altri stati-continente con cui trattare a condizioni reciprocamente vantaggiose.

E’ lo stesso discorso che fa Eugenio Scalfari, articolato in tre distinte proposte: 1- lotta comune contro l’ISIS; 2- perseguimento di una politica economica di crescita e nomina di un unico ministro del Tesoro, finalizzate all’aumento della produttività, sia da parte delle imprese, sia dal versante dei lavoratori; 3- unico modello del fisco e abolizione di gran parte del cuneo fiscale.

Peccato che l’UE non sia più nell’agenda di molti paesi europei. La Sinistra, dunque, sia francese, italiana o a più ampio livello, si trova quasi a un punto morto. Potrà uscirne soltanto se vorrà superare “le frontiere del passato” e riunire sotto un’unica bandiera i sostenitori di un nuovo sistema sociale. Se non vogliamo essere costretti a scegliere tra Thatcherismo e Nazionalismo, tra “Destra pura e dura contro Destra estrema” e, aggiungo io, tra il leghismo e il “poraccismo” grillino, sarà indispensabile reinventare la Sinistra, partire dalla realtà per trasformarla, “riportare in auge l’utopia e rimettere l’immaginazione al potere”.

Volendo volgere lo sguardo oltreoceano, chi ha beneficiato della crisi mondiale della Sinistra è stato Donald Trump che, quasi inopinatamente, ha conquistato la presidenza americana. Gigi Riva, non il campione del calcio italiano, ma il noto giornalista dell’Espresso, l’ha definito “cafone globale, aggressivo e familista da far paura”. In realtà la situazione è più complessa e merita un’analisi più seria, che spero possa soddisfare i quesiti che mi ha sottoposto l’amico Amati.
Nel 2016, la paura e la rabbia – scrive Martin Wolf, commentatore economico del Financial Times – sono diventate le emozioni politiche predominanti quasi in tutto l’Occidente democratico. La paura riguarda l’impoverimento crescente e i cambiamenti culturali, la rabbia si manifesta contro gli immigrati e le élite indifferenti. Insieme, tali sentimenti hanno alimentato il riemergere del nazionalismo e della xenofobia. Questo stato di fatto, associato all’ambizione incontenibile di un demagogo come Trump, ha portato l’America ad eleggere un Presidente che considera nemici gli avversari, piuttosto che cittadini, e pretende di rappresentare il popolo contro gli stranieri e i traditori. Chi ha avuto modo di ascoltare il discorso d’investitura del neo Presidente è rimasto certamente sbigottito e incredulo per il modo con cui è stato pronunciato, e per essere risultato pedestre, deludente, minaccioso e arrogante.

Chi si aspettava un’analisi organica e ragionata dei problemi interni ed esteri, che un capo di stato dovrebbe fare in simili occasioni, è stato deluso e ne è rimasto sconcertato. Tra gli “strafalcioni” che ha già messo in campo e quelli che si annunciano, prevedibilmente copiosi, sono da segnalare la dichiarata xenofobia, il razzismo appena celato e, sul piano economico, il protezionismo spinto, con la minaccia dei dazi sull’importazione di prodotti stranieri e, non per ultima, la firma già apposta sul decreto per uscire dal TPP con l’Oriente asiatico. Tra parentesi, a nessuno è sfuggito la forma provocatoria e offensiva usata nei confronti degli ex Presidenti presenti al suo esordio.

Sul piano internazionale, si profila l’isolazionismo in politica estera che si rende concreto con l’intenzione di sconfessare l’accordo con l’Iran sul nucleare e l’atteggiamento di sfida che lancia al mondo intero. Per usare un’espressione di Beppe Severgnini, sembra voler dichiarare guerra alla Galassia. Il riavvicinamento, inoltre, a Vladimir Putin desta non poche perplessità. Il Premier russo non aspettava altro: da tempo aspirava ad avere le mani libere per dirimere le questioni con gli ex satelliti sovietici, mettendo a dura prova la sicurezza della stessa Europa.

A questo punto è lecita una domanda: può un demagogo di tal fatta, paragonabile ai tanti affabulatori del recente passato, trasformarsi in un dittatore pericoloso? E’ difficile ma non impossibile. E spiego il perché. Il popolo americano ha una lunga tradizione democratica ed è amante della libertà. Il potere di decisione del Presidente è sì sproporzionato ma, allo stesso tempo, ha molti contrappesi che ne limitano la portata, come il Congresso, i tribunali e i media. Tuttavia, tranne i mezzi d’informazione e la magistratura che hanno da parte loro un’ampia libertà, il Parlamento è espressione totale della maggioranza che sostiene il Capo dello Stato.

E’ pur vero che già nei primi giorni dall’insediamento è nata una prima forma di “resistenza democratica”, soprattutto per iniziativa di migliaia di donne che rivendicano le pari dignità e la libertà civile. Eppure, demonizzare il “cowboy dal biondo parrucchino” scatena la reazione uguale e contraria dei suoi elettori. Tra i provvedimenti annunciati in campagna elettorale, alcuni sono già stati emanati: la Direttiva per bloccare la riforma sanitaria di Obama, lo stop ai profughi dalla Siria e dai paesi esposti al terrorismo, compresa l’Italia; il via alla costruzione del muro per arginare gli arrivi dal Messico; la cancellazione del trattato di libero scambio con l’Asia-Pacifico, il TPP (Trans-Pacific Partnership).
Un’altra delle sue perle: ha bloccato i fondi per l’aborto, circondato da soli uomini e in forma solenne. Un bel quadro dei tempi più bui! Soprattutto a livello internazionale, molti altri troveranno presto applicazione, come lo svincolo dai patti internazionali, il ritiro dei soldati dalle crisi di guerra e l’uscita dalla Nato. Tutte misure che, unite all’autosufficienza petrolifera, gli permetteranno di raggranellare una gran mole di capitali per ridurre le tasse, finanziare le opere pubbliche per creare posti di lavoro, con effetto calmierante sul piano interno.

Per sua fortuna sta incassando un insperato e, quasi incomprensibile, elogio da parte di Bernie Sanders, senatore della sinistra democratica in Parlamento, che plaude all’uscita dal TPP. Incassa inoltre l’esultanza dei convenuti a Coblenza che ne hanno esaltato nientemeno che la “difesa della libertà”. Se si escludono gli effetti deleteri che la sua politica, certamente produrrà a livello internazionale, è bene non pronunciare a priori giudizi catastrofici prima ancora che le sue riforme raggiungano gli effetti desiderati.

Sarà opportuno analizzare di volta in volta e in modo asettico i fatti, allo scopo di non creare scoraggiamenti e allarmismi che potrebbero nuocere ai rapporti internazionali. Bene ha fatto Papa Francesco a dare un giudizio di attesa e si è detto disposto a valutare le azioni solo quando saranno compiute. Le premesse, però non sono le più ottimistiche
.
Faccio a questo punto una virata di 180 gradi per tornare ai fatti di casa nostra. Renzi è appena uscito dalla pausa di riflessione e annuncia di rimettersi in “cammino verso il futuro”. Si è detto obbligato a riprendere il lavoro per non apparire pavido per abbandono del “campo di battaglia”. L’obiettivo è rimettere in sesto il partito, dargli più forza e nuove energie per affrontare i gravi problemi che il Paese è chiamato ad affrontare; sostenere in contemporanea il governo Gentiloni e preparare il congresso del PD che, oltre a rinnovare l’intero gruppo dirigente, predisponga un piano d’interventi efficaci per rilanciare l’economia del Paese.

Egli stesso non si sottrarrà alla competizione per portare a compimento tale obiettivo, con senso di responsabilità e senza risparmio di energie. Belle parole e ottimi propositi, che però si scontrano con una realtà complessa e complicata. Proprio due giorni fa è stato emesso il parere della Consulta sull’Italicum che ha ulteriormente complicato il quadro politico. Occorrerà fare una nuova legge e renderla omogenea a quella per eleggere il Senato. Il Mattarellum potrebbe essere un’accettabile soluzione, ma “l’avviso ai naviganti” annuncia burrasca.

Che Renzi o chi altri si aggiudichi la leadership, ciò che conta è che il partito ne esca unito, rinnovato e compatto, soprattutto con nuove regole condivise da tutti. Tutto bene dunque? Nient’affatto. I fermenti che covano a ogni livello sono a dir poco incandescenti. Emiliano e il resto della compagnia, con a capo Bersani, non vedono l’ora di mettere sotto scacco il “giovane scout” di Firenze. Agli occhi del Pugliese, la colpa di Renzi è essere andato a sbattere, a 300 all’ora, contro un muro. Per questo meritevole del “ritiro della patente di guida”. Tutti gli altri gli rimproverano l’arroganza, gli errori commessi e, soprattutto il tentativo di volerli “rottamare”.

Su questi argomenti ho già espresso il mio giudizio, per cui mi astengo da aggiungerne altri. Il discorso da fare è più ampio e richiede argomenti a più alto livello politico che esulano dal terreno ristretto di un solo partito. Alla diaspora del resto della sinistra ho già accennato. Ognuno coltiva legittimamente il proprio disegno elettorale e politico.

Le novità più attuali e degne di attenzione sono il congresso di Sinistra Italiana, che si riunirà a Rimini dal 17 al 19 febbraio prossimo e, udite! L’assemblea dei comitati del NO organizzata da Massimo D’Alema. Il congresso di Rimini della S.I. da cui Arturo Scotto spera di uscire segretario, si propone di attuare ben cinque “rivoluzioni”: a- rivoluzione degli investimenti pubblici; b- rivoluzione dell’inclusione e della piena cittadinanza; c- rivoluzione ecologica; d- rivoluzione del lavoro e dei diritti e delle tutele delle donne; e- rivoluzione dei diritti di libertà e democrazia. Concorrenti privilegiati sono Fassina, Vendola, D’Attorre e il “lupo solitario” Civati. Insieme si preparano a fare le barricate contro Pisapia che, con la sua iniziativa, minaccia di pestare loro i piedi.

Fuori dai confini del PD, D’Alema si prepara a organizzare - l’assemblea si tiene oggi a Roma – una rete dei comitati del NO al referendum che si è raccolta intorno a professori, costituzionalisti e intellettuali, allo scopo di raccogliere intorno a sé anche i delusi del PD e del movimento 5 Stelle. “Né con Renzi, né con Grilli” sintetizza Anna Falcone, “prima donna” dei comitati. In sintesi l’obiettivo è costruire un nuovo centro sinistra. Ottima idea, ma di Nuovi ne abbiamo già visti tanti. Speriamo che quest’ultimo sia il più nuovo in assoluto e non sia dettato dai soliti risentimenti personali. In tal caso perderebbe immediatamente di valore. Nulla dunque da eccepire; ma il discorso come accennato, è più ampio.

Veniamo al dunque. Il quadro non può essere completo se non si accenna a due diverse iniziative facenti capo a Giuliano Pisapia e a Yanis VaroufaKis . Il primo esordisce con la proposta di realizzare un “Campo Progressista”, novità politica in fase di costruzione. Il secondo, con la sua originale proposta, va oltre i confini dei singoli stati europei e si avvicina a un disegno di stampo transnazionale. “non sarà un partito – afferma l’ex sindaco di Milano – ma un “Campo” da creare partendo dalle città, e soprattutto dalle primarie. Per costruire un’alternativa alla Destra e a Grillo, senza dipendere dal destino di Renzi”. In queste parole c’è tutto il programma del suo ideatore.

La sua rete si va costruendo fuori dall’influsso diretto del PD, ma non contro di esso. Una Sinistra aperta e rivisitata, inclusiva, non esclusiva. Egli spera nel contributo di Gianni Cuperlo, Piero Bassetti, Arturo Parisi, Franco Monaco; soprattutto nella società civile e i corpi intermedi come associazioni e fondazioni. Mezza Sinistra e il Manifesto hanno rizzato le antenne. L’attenzione e la curiosità è molta. Ma lievita anche la preoccupazione di gran parte delle altre sinistre che temono un coinvolgimento di Renzi in un’alleanza alternativa alla Destra.

Pisapia comunque assicura che non entrerà in un dibattito interno al PD. “l’obiettivo è riunire, non Spaccare”. Il suo “Campo” non è un “centro sinistra” ma un “sinistra-centro” (col trattino), ha voluto rasserenare i suoi compagni di strada, ambientalisti e SEL. Nessuna preclusione con tutti quelli che ci stanno e che si riconoscono nei valori democratici.

Quale giudizio da parte mia? E’ ancora presto per emettere giudizi. “Essa (iniziativa) – scrive Damilano – non solo potrebbe non coincidere, ma addirittura entrare in rotta di collisione con il movimento centrifugo delle minoranze piddine. Perché Pisapia ha votato SI’, ma da fuori, Bersani ha votato NO da dentro. E ciò può bastare per definire il caos”.

SE i propositi sono sinceri e i programmi concreti, l’iniziativa non è da prendere sotto gamba. Ciò che va preventivamente precisato sono le regole per definire i rapporti con i probabili alleati. Se la “messa in campo” non aspira a diventare l’ennesimo partitino di sinistra, ma vuole riesumare il vecchio Ulivo, sarà bene stabilire norme chiare per eventuali primarie; soprattutto pretendere che ciascun partito che vi aderisce si dia regole democratiche al suo interno. Né sarebbe sbagliato ipotizzare un Consiglio al di sopra dei partiti, con compiti consultivi e di controllo. Gli stessi capi-partito rinunzierebbero a buona parte della loro sovranità e autonomia. E’ utopia la mia? Può darsi, ma senza fantasia e immaginazione non cambierà mai nulla.

Quasi a suggellare e completare l’iniziativa di Pisapia, arriva la proposta di YaroufaKis. L’ex ministro greco lancia anche in Italia il suo movimento, denominato Diem25, acronimo di Democracy In Europe Movement. L’obiettivo è riunire i Progressisti di tutta Europa, dal britannico Corbyn al movimento spagnolo Podemos. Anche lui non pensa di fondare un nuovo partito, ma di creare un raggruppamento transnazionale di tutti i Progressisti: socialisti, marxisti, liberali e perfino “conservatori illuminati”, perché la Sinistra da sola, sostiene, non è in condizioni di affrontare le sfide europee e mondiali che si profilano nei prossimi anni e che, da soli, gli stati non potranno affrontare.

Sul piano economico egli fa l’esempio sella povertà in crescita in tutto il continente europeo, del debito pubblico in costante aumento, della crisi delle banche, dell’ondata migratoria. Su quello propriamente politico, cita l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, l’avanzata dei nuovi fascismi e dei corrispettivi nazionalismi che minacciano l’integrità europea.

Per non parlare del neo “Buffalo Bill of America” che con le sue idee protezionistiche e isolazionistiche può innescare un sentimento rinunciatario all’insegna del “si salvi chi può”. Per questo occorre cercare risposte nazionali a problemi transnazionali. Così non avrebbe senso affrontare il cambiamento climatico, gli effetti negativi della globalizzazione, la finanziarizzazione delle produzioni, su base nazionale. Sono tutte questioni che nessun paese da solo potrà mai risolvere.

VaroufaKis ci tiene a far sapere che il suo è un movimento europeo vero, non una federazione di gruppi nazionali. L’obiettivo è il contrario dell’atomizzazione identitaria; aspira a una grande alleanza europea tra Progressisti di diversa estrazione, in opposizione sia all’establishment economico che li ha creati, sia alle reazioni nazionalistiche come quelle dei vari Le Pen, Trump, Farage, Orban o Kaczynski. Non creare l’ennesimo partito di sinistra, ma offrire alla Sinistra la possibilità di riscattarsi facendo parte di un movimento più ampio.

Come si è visto, tra le due iniziative c’è qualcosa che le accomuna e molto che le differenzia. La prima è ripiegata più sul piano nazionale, la seconda guarda oltre i confini delle nazioni e si proietta sul versante dell’Europa per renderla più compatta e unita; condizione indispensabile per affrontare insieme le sfide del futuro. Entrambe però sono dotate di spirito democratico e gravati di responsabilità verso l’avvenire dei popoli. Meditate genti, meditate! Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it)
Miglionico 28. 01. 2017

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