MIGLIONICO.
Provo a rispondere all’ennesima provocazione del prof. Giacomo Amati
che mi invita a dire la mia su quello che sarà il risultato del
referendum istituzionale del 4 dicembre. Sintetizzo così i suoi
quesiti: che vinca il SI’ o il NO, quali conseguenze avrà l’esito
del referendum sui partiti e sul Governo? Caro Giacomo, pretendi una
risposta complessiva su un vespaio di argomenti che richiederebbero
un trattato di scienze politiche. E’ pur vero che mi hai affibbiato
l’epiteto di “Politologo”, ma non ti sembra di esagerare? Troppa
grazia! Tuttalpiù potresti definirmi un “analista politico”. (Oddio!
E’ la stessa cosa). Bè, se proprio vuoi attribuirmi un appellativo,
puoi ritenermi un semplice “osservatore di fatti politici”. A parte
la parentesi scherzosa, tento ora di districarmi nella babele delle
argomentazioni.
Senza dubbio l’appuntamento referendario provocherà una vera
svolta nel panorama politico italiano. E’ un autentico discrimine
tra una fase di“sperimentazione governativa” e la necessità di
ripensare e ricostruire dalle fondamenta un Paese in crisi. Un
compito straordinario da affidare alla responsabilità delle forze
politiche. E qui casca l’asino, come suole dirsi. Quali partiti,
quali leader sono in grado oggi di affrontare con serietà e
competenza un compito di tale portata? Non è un mistero che tutti i
partiti vivano una crisi profondissima, sia al proprio interno, sia
nei rapporti con gli altri.
Prima però di inoltrarmi in quella giungla inestricabile,
dedico qualche accenno al problema del Governo e al suo titolare.
Quale sarà o dovrebbe essere la reazione del Premier in caso di
vittoria del SI’, o nel caso prevalgano i NO? Se vince il SI’ il
Governo ne uscirebbe indenne; si rafforzerebbe la credibilità da
parte dei paesi esteri e la fiducia nelle istituzioni. Tutto a
vantaggio della stabilità e del prestigio dell’Italia a livello
internazionale. Sarà comunque necessario un rafforzamento
dell’esecutivo, un sostanziale rimpasto per dare più autorevolezza
alla compagine governativa. Insomma un cambio di stile e di sostanza
in grado di affrontare con serenità e determinazione i gravi
problemi del Paese, e di preparare il congresso del partito
all’altezza delle sfide future.
In caso di vittoria del NO, la situazione cambierebbe
radicalmente. Tutte le opposizioni ne chiederebbero le dimissioni
del Governoper andare subito a nuove elezioni. Solo Bersani, pur
votando NO, si asterrebbe dal chiederle. (bontà sua!). Il Premier ha
comunque ribadito che non è disponibile per governicchi o governi di
scopo.
Quale sarebbe allora la soluzione? Fare finta che non succeda
niente e continuare a governare come se nulla fosse accaduto? La mia
opinione, per quello che può valere, è la seguente: Renzi sale al
Colle e affida alla saggezza e alla responsabilità del Capo dello
Stato la ricercadelle giuste soluzioni. Il Presidente, consapevole
del difficile momento in cui versa il Paese, non potrà che rinviare
il Governo alle Camere e chiederne l’ennesima fiducia. Solo dopo
averla ottenuta, Renzi dovrebbe dare corso al mini rimpastodi cui si
è fatto cenno.
Chiusa la parentesi Governo, occupiamoci ora di quei partiti
e movimenti che, approfittando della situazione di incertezza
attuale, alzano smodatamente la voce. Mi riferisco alla Lega Nord,
ai Fratelli D’Italia e al M5S. Hanno una visione “estemporanea” del
mondo. Utilizzano a scopo di propaganda le difficoltà del momento
per innescare la protesta, cavalcando il disagio economico, l’ondata
immigratoria,la crisi dei valori, l’esasperazione nei confronti
dell’establishment politico e finanziario. Hanno preso al volo il
fenomeno americano di Donald Trump e l’hanno assunto a Panteon
vivente. Non a caso sono stati definiti “Trumpettieri” e populisti
velleitari.
Ma quali garanzie di serietà e di buon governo potranno
offrire, dal momento che sono privi di un disegno politico chiaro e
condiviso? La protesta senza la proposta non può dare alcuna
garanzia di governabilità. Sono semplicemente movimenti
“anti-Sistema” e per certi versi anarchici. Se per Sistema si
intende un’organizzazione sociale, economica e politica di un popolo
che assicuri ai suoi membri una vita dignitosa, in piena sicurezza,
garante dei diritti e dei doveri; se tale Sistema, però, è
inadempiente, corrotto e incapace, è chiaro che tali movimenti
avranno vita facile ed enormi possibilità di espandersi.
Sorvolando sulle frange estreme, di destra e di sinistra,
rivolgo ora l’attenzione a Forza Italia e al Partito Democratico.
Come è noto, dopo il ritiro dell’appoggio al governo Letta e
l’uscita di Berlusconi dal Parlamento, la ri-edizione di FI ha
subito al suo interno non poche lacerazioni. Alfano col suo seguito
ha dato vita al NCD, Fitto lo ha imitato formando il gruppo dei
“Progressisti Conservatori”; Verdini si è rifugiato nell’ALA.
Qualcuno è rientrato, altri attendono gli eventi o sperano in
Salvini (v. il governatore della Liguria, Toti). Insomma un vero
disastro, come registra la caduta verticale nei sondaggi.
Qualche mese fa il disarcionato Cavaliere è corso ai ripari.
Ha nominato Stefano Parisi coordinatore, col compito di riunire
sotto un’unica bandiera il centrodestra moderato, compresi Lega e
Fratelli d’Italia. Ahimè, né Salvini, né la Meloni gli hanno voluto
riconoscere il ruolo di leader, né cedere ad altri la propria
identità politica. Ma gli ultimi avvenimenti e l’approssimarsi della
data del referendum hanno generato un ulteriore colpo di scena:
Berlusconi, pur di realizzare l’obiettivo di mandare Renzi in
soffitta e andare a nuove elezioni, ha scaricato il “povero” Parisi
e si è consegnato ai “ragazzi terribili”, Giorgia e Matteo.
Ma che fine farà Parisi? A parte il fatto che non mi sta
molto simpatico (ma ciò non centra col nostro discorso), l’uomo,
sebbene non abbia carisma, è dotato di molto coraggio, di buon
fiuto politico, di idee chiare e di tanta determinazione. Il disegno
di riunire tutte le forze moderate, auspicato inizialmente da
Berlusconi, lo haripreso integralmente e tradotto nella volontà di
dar vita a un nuovo movimento politico, già denominato “Energie per
l’Italia”. Perché ne parlo con simpatia? (politica si capisce). Non
perché ne condivida metodi e obiettivi – del resto sono ancora
sconosciuti – soprattutto perché l’idea è quella giusta. Ora più che
mai, infatti,in l’Italia c’è bisogno di una forza democratica e
liberale, “moderata e radicale”, così come l’ha definita il suo
fondatore, che costituiscal’unica e vera alternativa al Partito
Democratico.
Tale forza,però, per non confondersi col partito di Renzi,
dovrà definire la sua originale visione del mondo e dell’uomo in
generale. Operare cioè il recupero del valore della persona e la
ri-fondazione di un ordine sociale, modellato sulla dignità e
l’integralità dell’essere umano.Non è un mistero che questi principi
siano stati al centro del pensiero politico di De Gasperi e di Moro.
Perciò proprio i loro seguaci, gli autentici Democratici Cristiani,
delusi dal vecchio Centro - Destra e rifugiatisi
nell’astensionismo, dovrebbero tornare prepotentemente a far
sentire il loro peso e dare man forte al tentativo di Parisi. Se
hanno ancora nel DNA una traccia della “fiera virtù di quei nobili
padri” escano “dagli atri muscosi e dai fori cadenti” per
riprendere la lotta eterna del Bene sul Male. ( una nota di poesia
serve aspezzare il ritmo serioso del discorso).
Solo due forze uguali e contrarie possono generare quella
auspicata alternativa di governo che non può aversi con forze
disomogenee, tra chi utilizza cioè metodi democratici e chi si nutre
di formule movimentiste, capaci solo di solleticare l’istinto delle
folle per carpirne il consenso. Per questo, e non sembri una
provocazione, lo stesso PD dovrebbe incoraggiare l’iniziativa di
Parisi e riconoscerne la liceità e l’opportunità.
Se dunque è opportuno che il PD riconosca l’esistenza e la
dignità politica del nuovo movimento, è auspicabile che da parte sua
Parisifaccia lo stesso nei confronti del PD; magari con una
dichiarazione inequivocabile a sostegno delle ragioni del SI’ al
referendum. Ahimè, forse è già troppo tardi. Il nuovo aspirante
leader si è già scagliato contro Renzi e il Governo, sperando di
raggranellare un po’ di consensi. Attento Parisi, non sprecare
“energie”, che la tua tracotanza non ti sia fatale. Se hai avuto
coraggio a sfidare il “padrone delle ferriere”, non ti manchi quello
dell’umiltà e del rispetto per gli altri.
Se FI sta male, il PD non se la passa molto bene. Anzi è
grave. Da quando Renzi ha assunto la guida del Governo non v’è stata
più pace nel partito. E’ vero che il segretario-presidente ha
commesso non pochi errori, al quale non ho risparmiato critiche, ma
la minoranza non gli ha dato tregua, spesso con pretesti assurdi,
dettati solo da risentimenti personalie di rivalsa. La situazione è
oltremodo peggiorata nella partita del referendum. Capeggiato da
Bersani e dal suo “fedele” Speranza, il gruppo dei dissidenti è
decisamente schierato a favore del NO, assumendo spesso motivazioni
pretestuose e contraddittorie. I rapporti sono così deteriorati che
si fa fatica a pensare che non possa seguire l’ennesima scissione.
Di certo non vorrei trovarmi nei panni del “povero” Renzi
che, per ristabilire un minimo di equilibrio interno, dovrà assumere
decisioni difficili e urgenti. Per prima cosa dovrà tentare di
ricucire i dissensi interni al partito, qualunque sia il risultato
del referendum. Senza scendere a compromessi con chicchessia, dovrà
fare scelte coraggiose che ridiano credibilità alla sua parte
politica e nuovo vigore al Governo. Ho già accennato a un rimpasto
dell’esecutivo e alla necessità di realizzare le riforme messe in
campo, senza escludere di apporre alcune modifiche all’Italicum, per
soddisfare le richieste della minoranza dem e delle opposizioni. A
condizione, però, di non stravolgere l’impianto originario della
legge, cioè quello di assicurare governabilità e stabilità, oltre al
diritto di rappresentanza a tutte le forze politiche.
L’operazione più delicata e urgente riguarda però la vita
interna del partito, finalizzata a renderlo più rispondente alle
istanze della società e dei suoi sostenitori. E’ proprio
sull’opportunità di riorganizzare dalle fondamenta la struttura e la
gestione interna su cui vorrei soffermarmi.L’operazione avrebbe lo
scopo di rivalorizzare il ruolo degli iscritti e l’efficienza degli
organismi gestionali, in funzione della correttezza e della rapidità
delle decisioni.
Chi legge lo Statuto non può che apprezzarne i principi e i
valori fondamentali. Ne cito solo alcuni: egualitarismo, dignità del
lavoro, difesa dei diritti umani e dell’ambiente, garanzia delle
libertà individuali; insomma tutti i valori fatti propri dalla
nostra Costituzione. Il vero problema però è rappresentato dalla
questione interna, ovvero dalla struttura organizzativa e dalle
regole concrete di vita intestina. E’ proprio sotto questo punto di
vista che lo Statuto presenta non pochi limiti, i quali danno
origine a conflitti e controversie insanabili.
Quando operava il PCI, col cosiddetto “centralismo
democratico”, erano assicurate regolarità e uniformità di giudizi,
nonostante sussistessero posizioni difformi in seno agli organi
decisionali. Ogni iscritto e ciascun organismo intermedio si
uniformavano facilmente alle decisioni provenienti dall’alto. La
guerra fredda e la lotta serrata contro il potere delle forze
governative dell’epoca non consentivano di guardarsi dentro. Ora
però i tempi sono cambiati ed è cambiato il modo di fare politica.
Al centralismo è subentrato il bisogno di stabilire regole
democratiche più cogenti, rivedere e rinnovare le strutture per
adeguarle ai tempi attuali. In poche parole v’è un’esigenza di una
più larga partecipazione nellagestione e nella elaborazione
politica.
Ma tale necessità, per volontà o per trascuratezza, è stata
regolarmente ignorata dagli organi dirigenti ed ha generato un moto
di anarchismo incontrollato, per cui ognuno, a livello individuale o
di gruppo, pretende di far valere le proprie opinioni, anche a costo
di contrastare le decisioni della maggioranza. Ecco dunque lo stato
in cui si trova attualmente il partito: non più indirizzi unitari e
condivisi, ma interessi di parte gestiti dai cosiddetti “capi
bastone”, detentori di tutto il potere locale. Siamo in pieno caos.
Non in un “caos calmo” di morettiana memoria, ma un “caos agitato”
che fa intravedere a distanza un turbinoso orizzonte.
Ecco dunque l’arduo compito cui dovrebbe assolvere il
Segretario o un suo diretto rappresentante: cercare di ricucire le
lacerazioni interne e dare un nuovo assetto a tutta
l’organizzazione. Non solo per il bene del partito, soprattutto
perché in questo momento il PD rappresenta l’unico baluardo contro
gli avventurieri e i “Trumpettisti”.In concreto dovrebbe attuare una
vera rivoluzione democratica all’interno. Stabilire una volta per
tutte la modalità delle candidature nelle istituzioni, la durata dei
mandati, i modi di elezione degli organi dirigenti, a tutti i
livelli; specificare altresì il ruolo che ciascuno dovrebbe
svolgere e le forme concrete di partecipazione.
Realizzare il principio che l’elaborazione politica dovrà
procedere lungo due direttrici: dall’alto verso il basso e dal basso
verso l’alto. Occorrerà pertanto potenziare il ruolo dei circoli di
base e dargli il giusto valore previsto dallo Statuto: non più
sezioni passive e semplicemente obbedienti , ma centri sociali e
culturali, fucine di elaborazione politica e di educazione della
gioventù all’esercizio della critica e della libertà personale.
Solo a queste condizioni potranno riavvicinarsi i giovani
alla politica, combattere il qualunquismo dilagante e fugare il
pericolo del populismo incombente. Se questi sono i correttivi da
apportare sul piano organizzativo, su quello ideale occorrerà fare
un’operazione più profonda. Indicare con chiarezza obiettivi e
programmi, un progetto che vada oltre la contingenza del presente,
indichi ai giovani una meta per il futuro e la certezza di un
avvenire migliore. Sarà questo il compito del prossimo congresso nel
quale, prima di procedere all’elezione dei gruppi dirigenti, si
dovranno stabilire finalità e strategie da mettere in campo. In
altre parole occorrerà riprendere gli ideali mai realizzati di un
Socialismo a misura d’uomo, depurato dalle incrostazioni ideologiche
del xx secolo.
Sarebbe questa la giusta alternativa al tentativo di Parisi
di rimettere in moto un movimento ispirato allo spirito originario
degli autentici Democratici Cristiani, di cui ho di
sopratratteggiato le caratteristiche.Conditio sine qua non, è che
lo stesso adotti regole democratiche al suo interno e condivida
appieno i principi della Carta Costituzionale. Sarà pure
un’illusione la mia, ma non vedo altri rimedi al disastro attuale.
Solo due forze uguali e contrarie, che condividano metodi e principi
di base, potranno assicurare in futuro una vera alternativa di
governo e legittimarsi reciprocamente.
L’una definibile come “socialismo moderato”, l’altra come
“moderati radicali”. Insomma, come ebbe a dire un grande personaggio
politico, solo a queste condizioni si potrà realizzare un “Paese
normale”. Termino col chiedere scusa al lettore per essermi
dilungato oltre il consentito e chiudo col mio solito motto: mi è
mancato il tempo di essere più conciso.
Miglionico 23.11.2016
Domenico Lascaro
(d.lascaro@libero.it) |