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DOMENICO LASCARO
27 Febbraio 2015

La scuola che vorrei
di Domenico Lascaro

MIGLIONICO. Giacomo Amati torna a sfidarmi ancora. Questa volta sollecita il mio parere sulla riforma scolastica che il governo  conta di far approvare prima dell’inizio del prossimo anno scolastico. E’ un’ipotesi di riforma partita lo scorso primo settembre con un documento di oltre cento pagine – La Buona Scuola -  in cui si delineava un percorso di rinnovamento globale della scuola italiana. Il 22 febbraio u.s. il PD ha vagliato le proposte avanzate da oltre 350.000 cittadini e le ha presentate al presidente del consiglio, il quale è  autorizzato ad emanare un decreto e un disegno di legge per realizzare la rirorma.

         Al momento non so quali siano le materie da trattare per decreto e quali per disegno di legge, ma si possono individuare le misure più qualificanti che il governo intende porre in essere. La prima riguarda l’immissione in ruolo di oltre 120/140 mila insegnanti , tra i precari e i vincitori del l’ultimo concorso. Lo scopo è quello di risolvere definitivamente l’annoso  problema del precariato. La soluzione, oltre ad essere auspicabile, è fattibilissima perché si farebbe ricorso al cosiddetto organico funzionale che prevede la dotazione del 10% in più del personale di ruolo. La misura, oltre a beneficiare  migliaia di docenti, porterebbe un grande beneficio a tutta la comunità scolastica.

         Se si pensa che in un anno si spendano oltre 800 milioni di euro solo per le supplenze, è logico che, per una  modica spesa in più, si riuscirebbe ad eliminare il deleterio sistema delle supplenze brevi Se questo obiettivo si potesse davvero realizzare,il merito di Renzi sarebbe incommensurabile, visto che nessun altro governo è riuscito nell’impresa.

         Tra gli altri provvedimenti  nell’agenda di Renzi, i più qualificanti sono: l’avanzamento di carriera esclusivamente per merito; un serio progetto di alternanza scuola-lavoro; il potenziamento di alcune discipline, come musica, inglese, ed. motoria; reclutamento dei docenti solo per concorso; valutazione generalizzata per tutti; autonomia amministrativa.

         Il primo punto segnerebbe la fine della progressione professionale  esclusivamente per l’avanzare dell’età. E’ un sistema ormai obsoleto che  genera solo apatia e disimpegno generalizzati. Il merito, documentato con un efficace sistema di valutazione, individuale e collettivo, premierebbe i più motivati e farebbe fare un vero salto di qualità a tutta la scuola. L’alternanza tra una preparazione teorica e  un tirocinio di formazione pratica in azienda, così come avviene nei paesi del Nord Europa, darebbe ai giovani una preparazione quanto più completa e immediatamente spendibile nel mondo del lavoro.

         Potenziare gli insegnamenti della musica, della lingua inglese e dell’educazione motoria nel primo ciclo della scuola dell’obbligo,  sarebbe un provvedimento di alto valore educativo e morale. L’Italia, culla della musica classica, se continua a trascurare questa essenziale formazione, rischia di essere superata dal  Giappone e dalla Cina. Le lingue straniere rappresentano il ventre molle di tutta la formazione odierna. L’educazione motoria non sarà mai praticata abbastanza; ben venga un suo potenziamento.

         L’autonomia amministrativa era l’elemento basilare che mancava alla gestione democratica della scuola.  Insieme con un’inderogabile riforma degli organi collegiali,  darebbe ai singoli istituti l’opportunità di gestire al meglio le risorse, anche umane, per rendere più responsabile e motivato tutto il personale scolastico.

         Molto appropriato dunque lo slogan di Renzi: “ Cambiare la scuola per cambiare l’Italia”. Saranno sufficienti tali misure, se davvero si riuscirà a portarle in porto, per cambiare per sempre il volto della scuola italiana? Certamente sarebbero un grande passo avanti e il presupposto per completare tutto il progetto di riforma che la scuola attende. Basterebbero a dare a Renzi il merito di “Grande Riformatore” di un sistema che nessuno sinora è riuscito a cambiare.

         Non basta, però. Occorre molto altro. Intanto alle discipline da potenziare aggiungerei lo studio della lingua latina, come base indispensabile per conoscere le fonti della nostra civiltà e per migliorare l’uso della stessa lingua italiana. E pensare che in Norvegia esistano club esclusivi dove si parla correntemente il latino! Va cambiato però il metodo d’ insegnamento , nel senso di renderlo attivo e divertente.

         Un insegnamento,  che ha visto negli ultimi anni una  scellerata decurtazione di ore,  è stato quello della storia dell’arte. Un’altra attività,  basilare per la formazione completa della personalità,  è stata ridotta a qualche ora settimanale. Mi riferisco all’attività “manuale e pratica”, come si diceva una volta,  tanto necessaria nella fascia di età 10/14 anni. Che fine  faranno i tanti laboratori che hanno caratterizzato il bel periodo dei tempi prolungati?

         Si torni dunque al vecchio “tempo pieno”; pieno di tutte le attività che rendono integrale la formazione della persona. Non ultima quella appunto dell’attività laboratoriale, della creatività e dell’operare concretamente. I ragazzi sono naturalmente portati al fare, a manipolare la materia, a imparare facendo. L’attività pratica, per sua natura è un indispensabile tirocinio morale e sociale. Il lavoro manuale, esercitato nella scuola, rende dignitosa ogni professione futura. Solo col sollecitare tutte le attitudini, comprese quelle pratiche, la persona è libera di scegliere il proprio futuro lavorativo; la frattura lavoro intellettuale-lavoro manuale solo in questo modo potrà essere sanata. Più ore dunque anche a tecnologia e informatica.

         Sul piano dei contenuti e degli obiettivi educativi, non c’è molto da rivedere; le Indicazioni Nazionali per il curricolo, emanate dal ministro  Profumo, sono confacenti ai canoni della pedagogia moderna. Quello che necessita è una diversa e organica formazione di base dei docenti, finalizzata  al conseguimento, non tanto  di nuovi contenuti, quanto ad una nuova metodologia dell’insegnamento.

         Occorre pertanto rivedere il percorso universitario degli insegnanti e adottare nuove forme si reclutamento. E’ un terreno molto delicato e di difficile soluzione, vuoi per gli interessi delle varie facoltà universitarie, per il veto sempre posto dai sindacati, vuoi per convenienze politiche.  Una proposta la farei. A chi voglia intraprendere la professione di insegnante, si consenta di frequentare i primi tre anni universitari distinti per aree  generali: scientifiche, umanistiche, artistiche, linguistiche. Al termine, mediante una selezione  rigorosa, a numero chiuso, ognuno sceglie la propria disciplina da insegnare. Gli esclusi completerebbero la  propria formazione a seconda degli indirizzi  prescelti. Si potrebbero in tal modo eliminare del tutto i concorsi.

         Un’ultima provocazione. All’Università di Grenoble in Francia, il prof. Richard Monvoisin ha istituito un corso di “zetetica e autodifesa intellettuale”, ovvero il pensiero critico, esercitato già nell’antica Grecia. Si sta diffondendo in molte altre università francesi e consta di una metodologia che combatte la manipolazione delle opinioni e l’emergenza di nuove forme di consenso. Prenda esempio Renzi da quanto di più esaltante si sta sperimentando altrove e lo inserisca nel prossimo progetto di riforma universitaria.

         P:S.  Chiudo il mio intervento sulla scuola con un poscritto fuori programma. Due fatti di estrema rilevanza mi hanno talmente esacerbato l’animo, che non ho resistito a esternare tutta la mia indignazione. Si tratta di due interviste, rilasciate da Bersani all’Avvenire e da Fassina ad Agorà. Entrambi hanno deciso, con i pretesti più assurdi, di disertare l’incontro con Renzi nella sede del Nazareno. Il loro atto è motivato dal fatto che il premier non ha voluto accogliere il parere espresso dai parlamentari del Pd su un articolo del decreto attuativo della riforma del lavoro.

         Nel merito possono anche aver avuto ragione, ma la reazione scomposta e velenosa dei due parlamentari, ha generato, in me un moto incontrollato di stizza e di disapprovazione.  La protesta non si fermerà col disertare il summit di oggi, ma hanno minacciato di non votare più le riforme che fino a ieri hanno sostenuto. Se vogliono far cadere il governo lo dicano chiaramente senza cercare pretesti, proprio ora che comincia a intravedersi qualche spiraglio di luce sul piano economico e si va sempre più aggravando la  situazione internazionale. Sembra proprio che vogliano costituire l’ennesima corrente del PD, quella dei “Vendicatori”. Manca solo che Fassina partecipi domani alla manifestazione  del carroccio contro Renzi. Vai Fassina, vai! Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it)

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