MIGLIONICO.
Che rapporto c’è tra l’avidità e la felicità? Ebbene, una
ricerca realizzata su un migliaio di cittadini americani con un
questionario strutturato sottolinea come il guadagno determini
un effetto di incremento di emozioni positive fino a una certa
soglia (reddito di circa 70 mila euro all’anno). Ma, oltre
questa soglia di guadagno, non si registrano più emozioni
positive. Ad inseguire altri guadagni, insomma, si rischia di
cadere nell’avidità che non “è fonte di felicità”. In altre
parole, l’avido è felice? Pare di no. Questo, almeno, è il
parere di un gruppo di psicologi sociali. La conclusione di una
loro ricerca pubblicata sul “British Journal of psychology” è la
seguente: “Chi è avido non è quasi mai felice, a causa della sua
insaziabilità ad accumulare ricchezze materiali. La sua avarizia
lo rende un candidato perfetto all’insoddisfazione cronica”. Chi
è avido, in altri termini, “si aspetta di essere più felice con
più denaro, ma appena raggiunto lo scopo, il suo pensiero, il
suo desiderio, le sue aspettative, si “resettano” subito sulla
nuova condizione e s’innesca così immediatamente il bisogno di
accumulare ancora. Si è di fronte, dunque, a un tratto di
carattere decisamente irrazionale, poiché si fonda su un
desiderio senza fine che, per definizione, non potrà mai essere
soddisfatto. “Il problema è che chi è patologicamente avido
difficilmente se ne rende conto”. Conclusione: il risparmio è
giusto e sano. Non lo è l’avidità. E’ un problema di dose che,
come per i medicinali, fa la differenza fra cura e veleno.
Giacomo Amati |