_small.JPG) _small.JPG) MIGLIONICO.
Dodici dicembre 1974, il giovane studente universitario
miglionichese Mimmo Sarli (oggi, pensionato di 66 anni),
iscritto alla facoltà di “Scienze Politiche”, presso
l’Università degli studi, “La Sapienza” di Roma, sostiene
l’esame di “Istituzioni di Diritto e Procedura Penale” col suo
professore Aldo Moro. Da allora, sono trascorsi ben 42 anni. Ma,
nella mente di Sarli è ancora scolpito, in modo indelebile, il
fulgido ricordo dell’autorevole figura del suo professore. E,
nell’anno del centenario della nascita dello statista Aldo Moro
(era nato a Maglie il 23
settembre
1916), Sarli si sofferma a ricordarne alcuni pensieri
essenziali. Tra di essi, spiccano, in modo particolare, i
richiami in merito all’attenzione che il professore prestava a
tutti i suoi alunni, in quanto persone. A riguardo, Aldo Moro
sosteneva che il “rapporto di insegnamento doveva essere fondato
sul rispetto reciproco tra il docente e lo studente. E’
essenziale – sottolineava il professore – che il giovane senta
chi insegna come persona che gli vuole bene, lo comprende, è
pronto ad aiutarlo, come un uomo che apprezza la sua giovinezza
e ripropone in essa la sua fiducia. E’ fondamentale che lo
studente si senta amato e sia preso sul serio”. Poi, Sarli
osserva come proprio in q uesti
giorni sia ritornato nei luoghi della sua formazione
universitaria, a “La Sapienza” e, nel vedere le aule in cui,
ancora adesso, si “tengonole lezioni e si svolgono gli esami,
con grande commozione, ho rivisto l’aula XI, l’aula del prof.
Aldo Moro. E il nome inciso su quella targa, come per incanto,
ha fatto riesplodere nella mia mente i ricordi delle sue
sapienti lezioni. Dietro la cattedra, ho rivisto il “maestro”,
così veniva chiamato dai suoi assistenti il prof. Aldo Moro. Il
“maestro” era portatore – continua Sarli – di un umanesimo e di
un personalismo sociale cristiano maturati attraverso lo studio
e l’analisi della dottrina della Chiesa e del pensiero di
studiosi del calibro di Jaques Maritain, Emmanuel Mounier e
Alcide De Gasperi”. Quindi, la testimonianza di Sarli si fa
sempre più stringente e particolare, fino a riproporre un
vecchio
interrogativo:
“Chi delinque è responsabile e, quindi, punibile; o
irresponsabile e, dunque, curabile o neutralizzabile, oppure
portatore di una responsabilità determinata in misura variabile
da condizionamenti bio-sociologici”? E ancora: seduto in
quell’aula “il mio ricordo è andato al “codazzo” che si formava,
nel corridoio principale della facoltà, al suo arrivo: tutti noi
studenti che gli stavamo intorno per chiedergli di essere
ricevuti nella sua aula, e porgli quesiti sugli argomenti di
studio”. Infine, il ricordo di Sarli si riempie di tristezza:
gli
vengono
in mente le amare vicende della storia recente della vita
politica italiana: sono quelle del giorno del rapimento del suo
professore (16 marzo 1978 e dell’uccisione degli agenti della
sua scorta) e poi del 9 maggio 1978, giorno del ritrovamento del
suo corpo crivellato di colpi in una “Ranault 4” rossa. “Rivedo
anche - conclude Sarli – la figura del giovane professore,
assistente del prof. Moro, quella di Francesco Tritto che fu
destinatario, la mattina del 9 maggio 1978, dell’ultima
telefonata fatta dal brigatista Valerio Morucci”.
Giacomo Amati |