MIGLIONICO.
Puntualmente l’amico Giacomo sollecita un mio commento
sull’esito del secondo turno delle amministrative. Questa volta,
nonostante le “attenuanti generiche”, non si può dire che hanno
vinto tutti. La totalità dei giudizi è concorde: c’è solo un
vincitore: il Centro-destra unito. Il Pd ha perso senza
appellativi; Il M5S, dato per sconfitto già al primo turno, è
combattivo più che mai.
Si tratta comunque di un test parziale, ma molto indicativo
degli orientamenti futuri. Due considerazioni preliminari: si è
recato al voto meno della metà degli aventi diritto; si vince
solo aggregandosi tra forze omogenee. Sul primo dato ho
ampiamente discettato nel mio articolo precedente, per cui è
inutile ripetermi; sul secondo si svilupperà gran parte del mio
ragionamento.
L’euforia di Berlusconi e di Salvini è alle stelle. Sono
convinti di aver posto le basi per spazzare via Renzi e quel che
rimane del governo Gentiloni, di cui chiedono a gran voce le
dimissioni. A dire il vero il voto peserà non poco, ma non sarà
certo il solo elemento a determinare le scelte future. Ciò che
condizionerà l’evolversi della situazione politica, oltre alla
legge elettorale che, si presume, si riuscirà a fare entro
settembre (ho molti dubbi al riguardo), saranno le controverse
questioni interne ai partiti e tra i partiti. E’ risaputo che i
sistemi elettorali non sono una variabile indipendente: ad ogni
modello specifico corrisponde, grosso modo, una diversa
organizzazione politica.
Veniamo alle altre questioni. Il tripolarismo attuale non sembra
essere stato scalfito con le ultime elezioni. Il M5S, nonostante
i giudizi, molto interessati, che lo davano perdente, è più che
mai esultante. Pur non essendo presente in gran parte dei
ballottaggi, ne ha vinto otto su dieci, molto rilevanti. Rimane
comunque un’incognita pesante che darà filo da torcere a non
pochi avversari.
Il Centro-destra ha vinto senza dubbio alcuno, per molteplici
ragioni. Primo perché ha saputo ritrovare l’unità delle grandi
occasioni. Non c’è voluto molto. Il tasto da battere era uno
solo: enfatizzare gli errori commessi da Renzi per riagganciare
gli elettori perduti. Il tentativo, come si può notare, è in
gran parte riuscito; i suoi protagonisti sono talmente
galvanizzati da sentirsi euforici.
Merito di Salvini che ha cavalcato impunemente i temi della
sicurezza, dell’antieuropeismo, dell’ondata migratoria, del
diritto di cittadinanza ai nati sul suolo patrio, o di
Berlusconi che si è rifatto il look e la postura itinerante?
Entrambi ne rivendicano orgogliosamente la primogenitura e la
futura premiership. Oltre alle défaillances della Sinistra, il
merito maggiore va attribuito, secondo me, al governatore della
Liguria, Giovanni Toti, il vero artefice di tutta l’operazione.
Dietro le quinte, quale stratega raffinato ed esperto
politologo, ha saputo tessere una tela perfetta per riavvicinare
due forze politiche, divise su molte questioni, ma unite col
solo obiettivo di riprendersi il potere nelle mani.
Un altro elemento, a parer mio, ha contribuito in modo non
marginale all’affermazione del Centro-destra. Se non alla luce
del sole, dove non erano presenti nei ballottaggi, sicuramente
tra i 5Stelle e la Destra c’è stato un tacito accordo per
scambiarsi i favori. Chi teme che la lotta per la supremazia tra
Salvini e Berlusconi condizionerà gli accordi futuri si sbaglia
di grosso. L’aver sfiorato il successo li terrà stretti fino
alla vittoria finale, qualunque sia il modello elettorale con
cui si dovrà votare.
Veniamo alle dolenti note. Perché ha perso il Pd? Mi chiede
Amati. Sperare di vincere dopo la sconfitta del referendum e la
disastrosa scissione al suo interno era pura follia. Un dato
però è da registrare a sua discolpa. Hanno perso quasi tutti i
sindaci uscenti, sia di sinistra, sia di destra, anche se brucia
la perdita de L’Aquila e di Sesto S. Giovanni. Com’era da
prevedersi, per rinfacciarsi le responsabilità della sconfitta,
è già iniziato il gioco al massacro, sia all’interno del Pd, sia
tra quest’ultimo e le Sinistre radicali.
Orlando non usa giri di parole per addossare tutta la colpa a
Renzi, per non aver saputo tenere unito il partito e di averlo
isolato rispetto alle altre forze della Sinistra. Non risparmia,
però, le critiche anche al Campo di Pisapia, al cui interno si
litiga sull’auspicato ritorno sulla scena di Prodi. Infatti così
si esprime Orlando: “Prodi non basta, se poi sono mazzate”.
Aggiunge inoltre che tra Bersani e D’Alema non si possono
mettere insieme i cocci.
Nelle ultime ore lo scontro s’è fatto ancora più marcato. Prodi,
chiamato in causa da Renzi, ha reagito con toni particolarmente
duri, minacciando addirittura di levare “le tende” dal Pd. Gli
ha fatto eco Franceschini che non esita a prendere le distanze
dalle ultime dichiarazioni dell’ex Premier, che auspica
nientemeno un ritorno allo “spirito della rottamazione”. Ma la
disputa più velenosa si consuma tra la galassia scissionista e
la stessa persona di Renzi, in un rimballo di accuse e
controaccuse che creano ulteriore sconforto tra iscritti ed
elettori.
A D’alema non sembra vero che Renzi è uscito con le ossa rotte.
Esulta e usa argomenti stuzzicanti contro il segretario Pd per
suscitare l’ilarità sguaiata di chi lo ascolta. Bersani e
Speranza non sono da meno. Sperano di sfruttare la sconfitta
dell’ex “compagno” per far lievitare il misero 3% che gli
attribuiscono i sondaggi. E’ questo il vero motivo della
disfatta: la disgregazione totale di un partito e di una
sinistra che, per interessi di casta e rivalità personali, hanno
gettato nello sconforto milioni di cittadini elettori, che
avevano riposto in quell’area politica le speranze di un futuro
migliore. La perdita non tocca solo il Pd, ma tutto l’arcipelago
(sedicente) democratico.
Riguardo agli ultimi due quesiti di Amati, credo di aver
anticipato la risposta nel mio precedente intervento. In assenza
di una legge ad hoc che faciliti le fusioni tra partiti
omogenei, sarà giocoforza ricorrere alle vecchie coalizioni che,
nel bene e nel male, potranno assicurare una parvenza di
governabilità. Il ritorno a un bipolarismo, sia pure imperfetto,
rappresenta senz’altro un bene per il Paese.
Ma di quale bipolarismo si può parlare? Se si esclude a priori
il ruolo dei 5Stelle (in verità farebbe comodo a molti pensare
di escludere Grillo dal gioco), rimane solo l’alternativa tra
Centro-destra e quel che resta del Centro-sinistra. Se la
coalizione della Destra moderata, come ultimamente l’ha definita
Berlusconi, si può dire che è già cosa fatta, l’incognita più
grande riguarda tutta la Sinistra. Le premesse sono a dir poco
sconfortanti. Le dichiarazioni di alcuni aderenti al progetto di
Pisapia non promettono nulla bi buono. Così si esprimono alcuni:
“La convention del primo luglio ha il solo obiettivo di creare
una forza alternativa al Pd”. Che vuol dire riesumare il vecchio
PCI, con gli stessi uomini del passato e le vecchie ideologie
non più all’altezza dei tempi moderni. E’ questa la vera
“follia” di Pisapia? Non credo. Ma occorre fare molta chiarezza
e precisare obiettivi e strutture adeguati per proporsi come
unico alleato del Partito Democratico. Da parte loro, Renzi e il
suo partito dovranno rinunciare alla voglia di imporre i propri
principi, ridimensionare le pretese di superiorità e
confrontarsi con le ragioni degli altri.
Sono condizioni che ho già espresso in diverse altre occasioni
su cui è inutile aggiungere altro. Chiudo con l’ennesimo appello
a Renzi: abbia il coraggio di prendere atto della sconfitta e
con grande umiltà faccia un salutare passo indietro; si prenda
cura soprattutto del partito che è letteralmente allo sbando. Ci
sono circoli, comuni e regioni senza gruppi dirigenti. Occorrono
regole nuove ed efficaci per rilanciare un partito in balia di
se stesso. Le sue energie, il suo entusiasmo e la sua forza
dirompente vanno spesi per rendere competitivo e credibile un
partito che voglia davvero definirsi Democratico.
Per fare ciò, lo ripeterò fino alla noia, rinunci alla voglia di
correre da Premier, almeno per questo giro; affidi il compito a
Gentiloni o, in alternativa, ad un’altra personalità capace di
unire tutta la Sinistra. Potrà essere Prodi? Non credo più.
Oltre al fatto che lui stesso si è autoescluso, non sussistono
più le condizioni. Potrà essere Veltroni o Letta? Chissà.
Personalmente non escluderei Fabrizio Barca, una risorsa sempre
validissima. Lo stesso atto di umiltà dovrebbero farlo anche D’Alema
e Bersani, e tutti coloro che hanno solo l’obiettivo di far
fuori Matteo Renzi.
Sono queste le condizioni senza le quali non ci sarà alcuna
speranza che la Sinistra possa tornare a vincere senza le
stampelle altrui. Grazie a chi ha avuto la bontà di leggermi,
cui rivolgo un augurio di buone vacanze. A risentirci una
prossima volta.
Miglionico 30.06.2017
Domenico Lascaro (d.lascaro@libero.it) |