MIGLIONICO.
Dopo un periodo di silenzio piuttosto lungo, il prof. Amati
torna a provocarmi, sollecitando una mia riflessione sugli
ultimi ballottaggi elettorali. Per quello che possa valere la
mia opinione, non intendo deludere le aspettative del caro
Giacomo. Provo in qualche modo ad abbozzare un giudizio -
inevitabilmente di parte, essendo io iscritto al Pd - su un
argomento di tale portata e complessità da richiedere un
trattato di scienze politiche. Cercherò in ogni modo di essere
alquanto stringato, anche se la materia è tale da farmi uscire
dai canoni consentiti. Chiedo scusa in anticipo ai lettori, se
avranno la bontà di seguirmi fino in fondo.
Per prima cosa è d’obbligo fare gli auguri a tutti i
nuovi sindaci, eletti sotto qualsiasi simbolo. Tutti hanno
lavorato sodo per la vittoria, meritando la stima e il consenso
degli elettori. Le domande d’obbligo sono: chi ha vinto? Chi ha
Perso? Dare una risposta esaustiva è semplicemente impossibile,
perché, non essendoci stata uniformità di voto, in tutto il
territorio nazionale, è difficile attribuire la vittoria o la
sconfitta a questo o quel partito. Ogni città andrebbe
analizzata separatamente poiché in ognuna sussistono condizioni
differenti da non permettere un giudizio univoco.
Il primo dato che balza agli occhi dell’osservatore è
la grave astensione dal voto che ha visto ai seggi un solo
elettore su due. E’ un dato che dovrebbe preoccupare non poco
tutta la classe politica; è il segnale di una generale sfiducia
nei partiti tradizionali, che ha avuto origine già da alcuni
anni col movimento dei cosiddetti “indignati”. L’<indignazione>
non scaturiva dal nulla, ma dalla incapacità dei governi delle
“ammucchiate” di soddisfare i più elementari bisogni dei
cittadini. Da qui la nascita di movimenti “antisistema”,tra cui
si possono annoverare i cosiddetti “Pentastellati” e il
“caso”del sindaco di Napoli, De Magistris.Non è, si badi, un
giudizio tranchant contro tali entità, ma una semplice
constatazione.
Se è difficile individuare una chiave di lettura per
definire chi davvero ha vinto e chi ha perso, più agevole è
invece analizzare la realtà sociale che ha determinato il
clamoroso successo di quei movimenti e l’arretramento dei
partiti tradizionali, in primo luogo il Pd. La crisi sociale ed
economica, il divario tuttora esistente tra Nord e Sud, la
disoccupazione giovanile e non solo, lo squallore in cui versano
le periferie urbane, la violenza sempre più diffusa, la
disorganizzazione cronica dell’accoglienza agli immigrati e la
corruzione dilagante, per citare solo alcuni dei mali sociali
causati in decenni di cattiva gestione, sono la causa prima
della disaffezione dei cittadini nei riguardi dei partiti
storici.
Gli antisistema vincono – scrive il Direttore di
Repubblica, Calabresi – perché non c’è più il sistema. I partiti
“non hanno più storia; è stata rottamata anch’essa”. Ilvo
Diamanti si associa: l’Italia ha perso le sue radici, i suoi
legami con la storia, la società, le identità che le garantivano
senso e continuità. Il M5S è stato il solo capace di
“canalizzare la domanda di cambiamento. Meglio ancora “i
sentimenti e i risentimenti in tempi di cambiamento”. Il suo
“successo” è una risposta e un segnale insieme. Risposta al
disorientamento che ha investito tutto il paese; “un segnale, a
modo suo clamoroso”, equivalente al silenzio degli astenuti. “Le
fedeltà si sono perdute, liquefatte come i partiti: non per
niente ne ha beneficiato un non-partito liquido”. Non solo i
5Shanno saputo interpretare al meglio la forte domanda di
cambiamento, l’hanno fatto anche con furbizia, presentando facce
nuove e, per dipiù, di candidi volti femminili.
Scendiamo ora a livelli politici più palpabili. Quali i
risultati conseguiti dal centrodestra e dal maggior alleato, la
Lega? I due concorrenti rivendicano a vicenda il sorpasso
sull’altro. In sostanza non sono andati poi tanto male; Forza
Italia soprattutto - eccetto Milano e Napoli, e al netto
delpasticcio di Roma - ha riconquistato parecchie municipalità.
Spesso, però, con l’apporto dei voti dei 5S, debitori nei suoi
confronti per l’aiuto ricevuto a Roma e Torino. Occorre in ogni
modo costatare che la Destra, in generale non ha più
un’identità riconoscibile, divisa tra lepenismo d’accatto, alla
Salvini, e moderatismo improvvisato; né un leader capace di
sostituire Berlusconi sulla via del tramonto politico.
La Destra, rincara Calabresi, è vissuta solo di teatro.
Finito Berlusconi, si chiude il sipario. Non sono però tanto
d’accordo su quest’ultima affermazione. Essa, se come partito è
in crisi, non è per nulla finita. Il disegno di unire sotto un
unico simbolo le varie anime di una destra conservatrice e
xenofoba, inneggiante, quest’ultima, a un nuovo nazionalismo
antieuropeo, non sarà facile da sconfiggere.
Veniamo ora al tema che più mi sta a cuore: la dura
sconfitta subita dal Pd. Ai motivi che hanno determinato
l’insuccesso di tutti gli altri partiti, vanno aggiunti quelli
che riguardano in particolare il partito di Renzi. Lui stesso ha
ammesso la sconfitta che scaturisce da un’infinita serie di
fattori che provo a elencare. Le promesse che, con molta enfasi
egli ha fatto, non appena insediato a Palazzo Chigi, non sono
state del tutto realizzate perché, oggettivamente, non sarebbe
stato possibile realizzare per mancanza di risorse e per i
limiti imposti dall’Europa.
Le riforme andate in porto, pur votate da quasi tutto
il partito e da gran parte dell’opposizione, hanno incontrato,
strada facendo, un largo fronte contrario che rischia di
vanificarle col referendum di ottobre. Molti altri elementi,
soprattutto interni allo stesso Pd, sono stati decisivi per la
sconfitta. Sintetizzo: mafia capitale, la vicenda di Tempa Rossa
in Basilicata, gli scandali di Lodi e del presidente del Pd
campano, comprese le allucinanti modalità delle primarie nella
stessa regione,la gestione del surreale caso Marino; si
aggiungano i motivi di rivalsa tra gruppi contrapposti interni,
e il quadro è ben completo.
E’ vero che Renzi si è dimostrato poco incline
all’umiltà e al rispetto delle minoranze, ma le stesse non hanno
esitato a contrapporsi su tutto, pur di vederlo perdente. Il
risultato è chiaro: un partito spaccato in mille rivoli, tra i
fuorusciti e chi attende il congresso per la rivincita sul
segretario. Era inevitabile che i “poveri iscritti” fossero
presi dallo sconforto e cercare in altri lidi la salvezza. Molti
dunque gli errori di Renzi che, celiando, definisco “di
prospettiva”, ma sempre di errori trattasi. Terminata la “Pars
destruens”, inizia ora la parte “costruens”.
E’ evidente che le ultime consultazioni, anche a
giudizio di molti osservatori, hanno assunto un’importanza che
va oltre il dato puramente amministrativo e rappresentano un
punto di rottura clamoroso nel panorama politico italiano.
Qualcuno ha visto profilarsi l’inizio della Terza Repubblica. Di
certo siamo a un bivio, a un vero spartiacque tra il vecchio e
il nuovo che dovrà essere costruito. Sarà il M5S a prendere in
mano le redini del cambiamento? Potrà farlo una Destra
“ristrutturata” e costretta sotto un unico simbolo, o sarà
compito della Sinistra, se saprà ritrovare le ragioni
dell’unità? L’impresa non sarà facile ma il Pd e Renzi hanno la
responsabilità di provarci, non solo per salvare il partito, ma
per salvare l’Italia intera.
Per prima cosa Renzi deve smettere l’abito
dell’arroganza e ascoltare con più umiltà le ragioni della
minoranza interna, anche se gli va riconosciuta la tensione
dell’innovazione che lo sprona ad andare avanti. La parte
minoritaria dovrà comunqueassumere toni e comportamenti non
pretestuosi nei confronti del Governo. Innanzitutto il
segretario-premier dovrà fare alcune correzioni di rotta: curare
maggiormente il partito, affidando la gestione a un suo
rappresentante, io preferirei Fabrizio Barca; rafforzare,
inoltre, l’esecutivo con figure più rappresentative e rivedere
alcuni aspetti delle riforme costituzionali. Per
esempio,prevedere l’elezione diretta del Senato e garantire la
rappresentanza in Parlamento anche ai piccoli partiti.
Ancora, non personalizzare il referendum di ottobre e
portare a compimento l’azione di rinnovamento e di
democratizzazione interna al Pd. Senza democrazia i partiti sono
destinati a morire. Il compito del Pd renziano è molto più vasto
e oneroso: completare le riforme appena avviate e ricucire il
distacco tra partito e territorio, rispondere alla forte
domanda di rinnovamento che da tanta parte d’Italia è rivolta
alle Istituzioni e porre la dovuta attenzione alla sofferenza
sociale;soprattutto cambiare strategia politica, anche a costo
di perdere Alfano, eterno freno al cambiamento. Non per ultimi,
completare la riforma scolastica secondo l’originario disegno
della “Buona Scuola”, finalizzata alla realizzazione della
meritocrazia e della libertà di pensiero; né dovrà dimenticare
il problema dei tanti anziani che reclamano maggiore
attenzione.
Il compito, però, di una Sinistra unita va ben oltre il
contingente e richiede un ripensamento dei valori tradizionali,
per affrontare la sfida immane che il mondo attuale ci pone. Mi
riferisco ai gravi problemi dell’immigrazione e del terrorismo
islamico; alla disoccupazione dilagante, alla difesa del
territorio e alla tutela delle condizioni di vita sulla terra.
Sul piano puramente politico, difendere e rilanciare l’idea di
un’Europa dei popoli, non asservita agli interessi finanziari di
ristretti gruppi economici. Dovrà riprendere la sua vocazione
originaria basata sui principi di uguaglianza, solidarietà e
dignità del lavoro. Dovrà fare, insomma, una chiara e netta
scelta di campo in difesa dei più deboli.
Stia attenta però a non chiudersi in se stessa e
sottostimare le altre forze che si porranno i medesimi
obiettivi; con cui si potrà confrontare. Mi riferisco
soprattutto al M5S, il quale, di là dalla comprensibile euforia
del momento, dovrà pure scendere a più miti consigli e fare la
propria parte per contribuire ad affrontare le sfide che
abbiamo di fronte.A questo punto potrei anche fermarmi. Ma una
domanda finale non voglio negarmela: quali responsabilità
gravano sui semplici cittadini e quale contributo sono chiamati
a dare per la soluzione dei problemi comuni?
Tutti dobbiamo prendere coscienza che “la messa è
finita”, che è suonata la campana anche per noi. Siamo chiamati
a uscire dall’indifferenza e dal comodo attendismo. Ogni
cittadino ha il diritto-dovere di partecipare alla vita sociale
e rendersi almeno conto di come vanno le cose. Il rinnovamento
può e deve partire anche dal basso, anche da un piccolo comune
come il nostro. Non basta la protesta individuale, occorre
affrontare insieme i problemi e lasciare a ognuno la libertà
delle scelte finali.
Per questo rivolgo un appello ai giovani e ai liberi
opinionisti perché anche da Miglionico possa nascere un
movimento di critica e di proposta, finalizzata a risvegliare le
libere coscienze. Mi permetto di suggerire, soprattutto ai
giovani, la lettura dell’ultimo libro di Domenico De Masi, “La
semplice rivoluzione. Lavoro, ozio,creatività: nuove rotte per
una società smarrita”, che si legge in un soffio e dà la misura
di ciò che ognuno di noi può e deve fare.E’ proprio vero che
necessita una rivoluzione, che in altre occasioni ho definito
“Rivoluzione permanente”.
P.S. Come risposta all’ultima domanda di Amati, prendo
atto del notevole incarico affidato a Pinuccio D’Alessandro in
qualità di portavoce del nascente partito della “Sinistra
Italiana”, al quale faccio i miei personali auguri. Chiedo
ancora scusa per essermi dilungato un po’ troppo, ma mi è
mancato il tempo per scrivere un testo più breve.
Miglionico 22.06.2016
Domenico Lascaro(d.lascaro@libero.it)
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