STORIE DEL SUD. Don Donato Gallucci, filologo di fama internazionale, fa il
parroco in un povero paese, vive con un piatto di riso e
possiede solo un mantello: ha strappato alla zappa,centinaia di
ragazzi che ora sono magistrati, medici e ingegneri.
Miglionico (Matera), Marzo
1964. "Caro professore, finalmente posso darvi la grande notizia- ho
avuto un bambino.E biondo, ha gli occhi azzurri, pesa
quasi cinque chili e anche la mamma di Peter ha detto che è il
più bel bambino di New York. Siamo tanto felici, e vorremmo
che tutti fossero felici: voi più di ogni altro, perché
è a voi che dobbiamo ogni cosa. Io ho lasciato il lavoro, per
questi mesi, ma non ho perduto il mio posto: anzi, ho saputo che mi
daranno un aumento. Siamo in preparativi per il battesimo e pensiamo
con nostalgia alla nostra chiesa di Miglionico e a voi. Peter,
l'altra sera, diceva che avrebbe voluto mandarvi il biglietto e farvi
venire qui: si ricordava di quando eravamo andati a Bari con la
Calabro-Lucana e diceva che un aereo ci mette meno tempo, per
attraversare l'Atlantico... Ma poi abbiamo pensato che non sarebbe
possibile, e allora abbiamo deciso che almeno chiame remo il bambino
Donato, come voi. Vi ricordiamo sempre e speriamo che anche voi vi
ricordiate dei vostri affezionatissimi Giulia e Peter Collins".
Il vecchio arciprete legge la lettera, e sorride: il foglio
sottile di carta aerea gli trema un poco fra le mani, come la luce
delle candele nella sua chiesa deserta. " Sono tanto cari tutti e due
", dice mettendo con cura la busta nel libro delle preghiere, " mi
vogliono bene. Lei è nata qui, i genitori erano poveri
contadini: me la ricordo ancora quando andava a raccogliere le olive
con i fratelli, faticavano tutto il giorno e alla sera venivano da me
a studiare. Le ho insegnato un po' di inglese, e in nemmeno due anni
ha imparato tanto da parlarlo abbastanza bene. Poi vennero qui degli
americani, facevano degli studi sulle condizioni dell'Italia
meridionale: la presentai perché li accompagnasse come
interprete, e quelli se la portarono via. Ha avuto subito un posto in
un istituto, e li ha conosciuto questo bravo ragazzo, si sono
sposati, e adesso hanno avuto il bambino: che si può
desiderare, di più? "
Mi prende sottobraccio, è come se ci conoscessimo da
sempre. " Andiamo a bere qualche cosa alla salute di questo bambino
", dice, " pensa, gli hanno messo il mio nome, è bellissimo.
"
Usciamo dalla chiesa, incontriamo uomini, donne, ragazzi, galline,
muli, si muovono insieme, come figurine di
un presepio animato: Miglionico è un piccolo paese del
Sud, con le case cresciute cautamente sulla cima del monte, tutto
intorno al castello che fu di Ettore Fieramosca, e dove si riunirono
i baroni, congiurati contro Alfonso. d'Aragona.
"Buongiorno, professore ", lo saluta la gente. Non ce n'è
uno che gli dica reverendo, come sì dovrebbe dire a un prete,
per loro don Donato Gallucci è sempre stato il
professore e lo chiameranno così fin che vive: c'è una
ragione e c'è tutta una storia, in questo attributo.
Don Donato venne al mondo settantacinque anni fa a
Pietragalla, vicino a Potenza. Erano in undici in casa:
il padre, la madre, cinque fratelli e quattro sorelle, e c'era una
buona terra che dava il grano, l'olio, il vino e il pascolo per il
bestiame, così da guardare senza paura anche alle stagioni
più ingrate.
Nei giorni di precetto veniva lo zio Domenico, un monsignore che
parlava il francese e studiava astronomia; almeno per questo,
dicevano i contadini, avrebbero dovuto farlo arcivescovo. Lo zio
Domenico celebrava la Messa nella cappella
vicina a casa; poi si fermava a colazione e interrogava i ragazzi,
per vedere se avevano fatto progressi negli studi, dall'ultima volta.
Per Donato era un avvenimento, quell'esame. Quell'uomo che discorreva
di lontanissime stelle, chiamandole per nome e raccontandone le
avventure nello spazio, lo affascinava: studiava per lui, mentre i
fratelli correvano a giocare nei campi, perché gli facesse una
carezza sui capelli, con quella mano curata che usciva da un
meraviglioso polsino bordato di rosso, e gli dicesse ancora che era
bravo. Finite le elementari, lo zio Domenico disse a Donato che
avrebbe potuto continuare a, studiare in un ginnasio, addirittura a
Firenze, una città grandissima piena di carrozze, con un fiume
fra i palazzi.
Quello fu il primo viaggio felice di Donato, la partenza con tutta
la famiglia intorno, e la mamma che, gli faceva il segno della croce
sulla fronte, la prima avventura in un mondo sconosciuto, dove
si camminava sempre sulle pietre e l'erba si vedeva soltanto nei
giardini. Tante altre volte sarebbe ancora partito, da quel
giorno.
Finito il ginnasio va a Roma, in, casa di parenti.
Frequenta il liceo " Ennio Quirino Visconti ", uno dei
migliori d'Italia. E un ragazzo alto, vivace, intelligente, i
professori lo coltivano come una promessa, e lo zio non lo perde
d'occhio perché qualche cosa sta maturando, in quel ragazzo:
è la vocazione per il sacerdozio, insieme con
quella, della cultura. L'una e l'altra si
fanno più precise negli anni dell'Università, da cui
Donato esce laureato a pieni voti in filosofia. Subito dopo lascia
Roma per Friburgo. E, in questa università che la
preparazione dei giovane lucano si apre su nuovi orizzonti: si
specializza in storia e lingue orientali, consegue una seconda laurea
in lettere, pubblica alcuni lavori di grande interesse sulla
filologia ebraica. Durante le vacanze fa lunghi viaggi, in Europa e
nel Vicino Oriente, riportandone una quantità, di esperienze e
di materiale di studio. Quando viene ordinato sacerdote nella
cattedrale di Friburgo, Donato Gallucci parla correntémente
l'inglese, il tedesco, il francese lo spagnolo e l'arabo siriaco,
oltre a conoscere come studioso Il latino, il greco antico e
l'ebraico.
Nella vecchia casa di Pietragalla, quando lo zio Domenico parla di
questo suo eccezionale nipote, non sono soltanto i contadini, umili e
affezionati al loro signorino di un tempo, che sgranano gli occhi,
è tutto il mondo della cultura che si meraviglia, ed
è un mondo particolarmente vivo, nella Lucania di questi anni.
Lo scoppio del primo conflitto mondiale riporta don Donato in Italia:
ma resta fermo pochi giorni, va subito al fronte, come cappellano
militare. Tornerà,: tre anni dopo, col cuore ancora, pieno
degli orrori della guerra, che lo hanno segnato più
profon-damente di ogni altro, perché è un prete e
perché è un uomo di cultura.
I lunghi giorni silenziosi e
meravigliosi dello studio e della meditazione sembrano finiti per
sempre: la guerra è come una ferita, non fa soffrire quando
è ancora calda di sangue, si sente dopo, nei pensieri e nella
carne, quando sembra guarita. Anche per don Donato la crisi comincia
dopo. E tornato nei seminari, adesso è un professore
illuminato e ammirato, per quanto giovane ancora. Continua a leggere
e a studiare, mentre insegna a centinaia di futuri sacerdoti,
collabora ad alcune riviste internazionali, cattoliche e laiche,
riprende un vasto lavoro sul libro dei Proverbi di Salomone.
Ma non è più come prima. Troppe cose sono cambiate,
troppi uomini sono morti, e troppi sono restati vivi soltanto per
patire la fame e l'ingiustizia, che è peggiore ancora della
fame. E tempo di lasciare le biblioteche, di andare fra i
poveri e fra i disperati, per capire la loro lingua, prima che sia
troppo tardi, altrimenti i libri non serviranno più a
nulla.
E con questo impegno Don Donato Gallucci diventa parroco di
Miglionico, un paese arroccato in cima alla montagna.
"Arrivai in un giorno di dicembre, nevicava, e sulle mura del
castello volavano i falchi. Speravo di vedere almeno un manifesto di
benvenuto: di solito nei paesi si innalzano persino degli archi di
trionfo, quando arriva il nuovo parroco. Invece, niente. Arrivai in
chiesa e tutto mi sembrò abbandonato, senza speranza. Allora
ebbi paura, una smisurata paura Per un attimo ", mi confessa parlando
piano, " pensai di fuggire.
Non c'era da illudersi di avere la vita facile, in un paese come
Miglionico, un paese chiuso, impastato di miseria e di superstizione.
I maghi e le streghe passavano di casa in casa, vendevano paura dal
primo all'ultimo giorno della vita. Ancora oggi, quando nasce un
bambino c'è qualcuno che in pubblico gli sputa e dice che
è un mostro, perché questo, dicono, allontana gli
spiriti maligni e soprattutto, se il bambino è bello,
allontana l'invidia degli altri genitori. Ancora oggi, in qualche
casa, la madre che non ha latte per la sua creatura fa un complicato
esorcismo per rubarlo a un'altra madre che ce l'ha: mette del sale
nelle fasce.del piccolo e lo manda, in collo ad una complice, a
visitare la vittima. Quando tornano, prende il sale e condisce una
minestra che trangugia immediatamente, convinta che in quel momento
l'altra resterà senza latte, e lei ne avrà in
abbondanza. Se questo accade, e per caso può anche accadere,
la derubata cercherà la ladra, e la troverà,
perché i maghi ci sono apposta: allora può darsi che
con un altro esorcismo le due madri facciano la pace, ma può
anche darsi che cominci dì qui la catena, della vendetta.
E così infinite volte, in ogni occasione, fino all'agonia
quando i familiari tolgono gli amuleti dal collo del moribondo,
perché gli spiriti dei male arrivino più presto,
abbreviando la sofferenza, e sì vada alla sepoltura, con tutte
le bestie bendate di nero in processione, perché anche le
bestie devono prendere il lutto.
In questo ambiente il prete comincia la sua battaglia, e comincia
dalla parte giusta, quella della cultura. Miglionico, in questo
tempo, è praticamente isolato dal resto dei mondo. Bisogna
fare circa sette chilometri, discendere in fondo alla valle, per
raggiungere lo scalo della ferrovia Calabro-Lucana. Sulla strada
sconnessa si va a piedi o col mulo, non ci sono corriere.
Non,arrivano libri, non arrivano giornali, niente. I ragazzi, e non
tutti, fanno qualche mese di scuola elementare. I migliori, i
più fortunati, arrivano alla terza, alla quarta. Non vanno
più avanti, non è possibile.
Non ha mai chiesto un soldo a nessuno
Don Donato va a cerca re questi ragazzi, se li porta in canonica,
prova a istruirli; deve lottare coi genitori che vanno a riprenderli,
perché c'è da lavorare nei campi, non si può
perdere il tempo sui libri, e con i ragazzi stessi, abbrutiti da
secoli e secoli di una fatica restata uguale dall'età della
pietra. Ma qualcuno, qualche volta, risponde, e ne basta uno su cento
per ritrovare il coraggio di continuare.
Un giorno, per le vie di Matera, passa un prete su un mulo. Porta
con sé un ragazzo, un ombrello e una valigia di cartone:
è don Donato che " va a dare gli esami ", di terza ginnasiale.
Sì, è come se quell'esame lo affrontasse lui, il
professore di Friburgo. Perché quel ragazzo è il suo
primo allievo, lui si è battuto per anni perché quel
piccolo rompa il cerchio della miseria e dell'ignoranza, e adesso
è arrivato alla prova, vincere o perdere, questa volta o forse
mai più. Lo lascia alla porta dei ginnasio, con un gran segno
di croce, e gli sorride col cuore stretto. Poi prende il suo mulo per
la cavezza, se ne vanno verso una chiesa: non c'è mai stato
tanto bisogno di pregare, come oggi, la Madonna e tutti i Santi, che
stiano accanto a quel bambino, che gli Impediscano di mettere il
soggetto all'accusativo, sarebbe la fine di
tutto.
Passano sette giorni, lunghi come sette anni, c'è un
bambino un po' pallido che si batte sui banchi di una scuola,
c'è un prete che prega sui banchi di una chiesa, c'è un
mulo che aspetta in una stalla. Alla sera, nella Locanda del
Forestiero, il bambino mangia la carne e le uova, e il prete dice che
non ha appetito: si fa ripetere come è andata, le domande che
hanno fatto, gli esercizi che hanno dato.
Ma quando
ritorna a Miglionico, Don Donato cavalca il
mulo come un imperatore romano nel giorno del trionfo. Il bambino
è stato promosso con la media del sette, ha preso anche un
Otto in matematica e un nove in geografia, la partita è vinta.
Oggi quel bambino è ingegnere, lavora in una grande fabbrica
inglese. Come lui, per più di vent'anni, centinaia di ragazzi
di Miglionico sono stati strappati alla condanna della miseria, hanno
potuto studiare, conquistarsi una posizione.
"Andavamo in canonica", mi racconta
un avvocato che esercita la professione a Matera, "e lì
facevamo il ginnasio, il liceo, l'avviamento professionale,la scuola
di lingue. Don Donato non ha mai chiesto un soldo, provvedeva a ogni
cosa e non so ancora come abbia fatto. Tempestava di lettere le case
editrici per avere i libri nuovi, andava a comperare o a farsi
regalare quelli vecchi che potevano ancora servire; e i libri
passavano da uno all'altro, guai a chi li sciupava; e intanto, da
ogni casa che visitava, fosse pure per benedire un morto, don Donato
non veniva via se non gli avevano dato della carta, qualsiasi pezzo
di carta su cui fosse possibile scrivere. Non c'era altra scuola,
dopo le elementari, al nostro paese: non c'era la corriera, non c'era
veramente niente, potevano studiare soltanto quelli che andavano via.
Ma chi andava via andava a lavorare, non a studiare"
"Eppure, con quell'incredibile prete
abbiamo studiato tutti, e quasi tutti siamo riusciti. Guardi gli albi
dei professionisti, insegnanti, medici, avvocati, ingegneri,
magistrati, c'è una quantità di miglionichesi: uomini
che oggi hanno trenta o quarant'anni, e sono passati tutti di
lì, da quella canonica, preparandosi di volta in volta agli
esami. A giugno e a ottobre, don Donato noleggiava una vecchia
Balilla e ci accompagnava a Matera, sempre alla Locanda del
Forestiero: diceva che portava fortuna, da quella volta che c'era
arrivato col mulo e col primo di noi.
I contadini si
rivoltano contro di lui
Ma questa dell'insegnamento è
stata soltanto una delle avventure di Don DOnato, professore e
prete."La chiesa vedi" mi dice. "Era rovinata, ancora più di
adesso. E tu pensa che c'è un'Annunciazione di Salvator Rosa
c'è una Sacra Famiglia del Guercino, e c'è il polittico
di Cima da Conegliano. Questo poi! Si mette a ridere "Tu non sai
niente, ma qui c'è stata una rivolta due anni fa. E io mi ci
sono trovato in mezzo, le ho prese da tutte le parti".
Due anni fa, a Treviso, fu
allestita una mostra di Cima da Conegliano, ed era naturale che gli
organizzatori chiedessero in prestito a Miglionico quel prezioso
polittico, una delle opere più rappresentative del pittore. La
Sovrintendenza di Bari, come accade in queste occasioni, trasmise la
richiesta: don Donato, arciprete di Miglionico, rispose di sì.
Era naturale, per lui. Ma per gli altri no. Arrivò un gruppo
di contadini, minacciosi, chissà come avevano saputo che
l'arciprete aveva detto di sì: lo accusavano di tradimento.
Allora il vecchio prete disse che erano degli ignoranti e che lo
lasciassero stare, sapeva lui quello che si doveva fare, era o non
era il professore?
No, non era più il
professore, era uno che stava per rubare una ricchezza del paese, perchè il polittico non sarebbe tornato mai più,
loro lo sapevano, lo avrebbe preso il governo e ogni governo è
ladro, dal primo giorno del mondo. Lui aveva detto di sì, si
era lasciato corrompere, ma loro dicevano di no, e si sarebbe visto,
come andava a finire.
Intanto quelli della Sovrintendenza, senza nemmeno poter immaginare che cosa li
stava aspettando, mandavano un camioncino e alcuni specializzati per ritirare
l'opera d'arte. Davanti alla chiesa c'era un muro di gente, c'erano delle facce
che non promettevano niente di buono: e i funzionari delle Sovrintendenze
dipendono dal Ministero dell'Istruzione, non da quello della Difesa, non sono
pagati per combattere.
Così se ne andarono via, per
domandare rinforzi. Tornarono una seconda volta, con due agenti di
polizia decisi a far rispettare la legge: fu peggio della prima, a
momenti ci scappava il morto. Allora tornarono la terza volta, e il
popolo li aspettava fin dal mattino, compatto, coi comunisti che
davano del venduto al prete, perchè permetteva che si
portasse via un capolavoro della fede e dell'arte. Successero cose da
pazzi, quel giorno, a Miglionico: ma un capitano dei Carabinieri, con
sei camionette di soldati in assetto di guerra, non torna indietro a
mani vuote. E fu così che il polittico prese la via di
Treviso, e don Donato conobbe, fino in fondo, l'odio della sua
gente.
E l'altro disastro, quello terribile,
quello della guerra? Tutta la gente di Miglionico, anche quelli che
più tardi volevano incendiare la chiesa per la storia del
polittico, se ne ricorda. Quella sera che arrivarono i tedeschi,
erano inferociti perché avevano sequestrato la famosa Balilla
al noleggiatore, e il noleggiatore, strisciando sulla terra come un
serpente, era tornato di notte a riprendersela, l'aveva messa in moto
ed A era scappato, passando in una grandinata di proiettili. I
tedeschi volevano l'automobile, volevano il, responsabile per
fucilarlo davanti a tutti, perché tutti capissero che cosa era
la Wehrmacht. Allora avevano visto e sentito don Donato, che urlava
in tedesco più forte di quel tenente tedesco; e i soldati che
a un certo punto portavano via le mitragliatrici e andavano ad
accamparsi fuori del paese senza far male a nessuno; e la Balila che
misteriosamente ricompariva, e chissà come mai, dopo un paio
d'ore' non camminava assolutamente più, mentre il
noleggiatore, ricercato persino coi cani poliziotti, come mai non si
riusciva a trovare.
Per riuscire bisogna saper
aspettare
Poi erano venuti gli americani. Quanti ne erano morti ed erano
tutti ragazzi, come quei tedeschi che si erano battuti fino
all'ultimo colpo. Ma perché gli uomini si fanno la guerra?
"Ho detto la Messa per tutti, quei giorno ", racconta don Donato.
" Il capitano americano era nipote di italiani, un bravo giovane.
Concesse gli onori militari ai tedeschi, ai morti e a quei pochi
vivi. Poi arrivarono dei camion, c'era farina, c'era olio,
cioccolata, di tutto, la gente si levò la fame. "
Arriva un uomo molto piccolo con un panierino coperto da un
tovagliolo. " Professore ", dice, " è ora di pranzo. " Don
Donato lo guarda meravigliato: " Come è passato presto il
tempo ", commenta. E a me: " Aspettami qui, torno subito ".
Se ne va, accendo una sigaretta. Non l'ho neppure finita e mi
sento una mano sulla spalla, è ancora lui, ha già
mangiato. " Mangio poco, sai. Un po' di riso senza sale e un frutto.
Sono vecchio, non ho più bisogno di niente. Eppure questi
solidi, vedi, non bastano mai. "
Se il governo, dice, gli desse almeno qualche cosa per rimettere a
posto la sua chiesa. " Ci lavoriamo da più di due anni e le
spese aumentano ogni giorno. Quando piove non posso neppure dir Messa
all'altare maggiore, piove proprio lì sopra. E tu pensa che il
polittico è poi tornato dalla mostra di Treviso restaurato con
tutte le cure, è lì a Bari che aspetta quando saranno
finiti i lavori lo riporteremo qui e sarà una grande giornata.
Allora capiranno, questi matti dei miei figlioli, che non mi ero
venduto a nessuno. "
Mi fa vedere la cornice vuota dove ritroveranno il loro posto i
diciotto preziosi dipinti di Cima da Conegliano. " Bisogna avere
tanta pazienza, bisogna saper aspettare, allora si riesce. "
Sorride, aggiustandosi il mantello nero da contadino, rammendato
da tutte le parti. Forse un giorno, si leverà anche questo
mantello per darlo a qualcuno che ne ha bisogno: se ce l'ha ancora
addosso è perché anche l'ultimo povero di Miglionico
sta molto meglio di lui, eppure nessuno è più felice di
lui, questa è la sua meravigliosa ricchezza: potrebbe
insegnare da alte cattedre, lo chiamerebbe professore tutta l'Italia
e l'Europa, e lui è invece contento di stare qui a Miglionico
con la sua prodigiosa cultura e il suo mantello a pezzi.
Si ferma accanto a un candeliere, raccoglie la cera di una candela
che sta per finire. " Devo fare economie ", dice " ho già
-tanti debiti. Ma oggi è una bella giornata è sempre
una bella giornata fino a quando conservi la speranza".
Si stringe nel mantello, che è grande e solenne come quello
di un antico re, e questa chiesa è una reggia, anche se
l'unico suddito è un bambino che è entrato adesso col
cane, porta un fascio di rape e, ci guarda, anche il cane ci guarda
mentre piove dal. tetto su questo povero altar maggiore.
Giuseppe Grazzini
Don Donato Antonio Gallucci fu Gaetano
nacque a Pietragalla (Pz) nel 1882 e morì a Miglionico l'11 ottobre 1965 ed è
sepolto nel locale Cimitero.
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