Miglionico.
Ha un titolo animato, il viaggio letterario di Maria
Augusta Galletti nella Terra che l’ha adottata.
“Cavallucci di creta – Danza di ricordi sul colle di
Miglionico tra case bianche e castelli”, è edito dalla
Tipografia Abatangelo, autoctona. Dalla Varallo
d’origine (Ordrovago di Cravagliana, precisamente!)
all’entroterra lucano, il percorso vitale della
narratrice sembra brevissimo, difficilmente misurabile,
forse inesistente da far dubitare addirittura, a lettura
del testo avvenuta, sulla sua natalità. Ma scoperto
l’arcano, Maria risulta essere figlia adottiva di questa
Terra. Sposata, anzi maritata con un miglionichese,
indovinando nel termine la sua propensione verso
l’espressione dialettale, sembra aver ereditato dai
grandi poeti e artisti emigrati o emigranti, venuti in
contatto questi ultimi per svariate vicissitudini con la
Lucania, il bisogno di esplorarla, di viverla
facendosela scorrere nelle vene, di respirarla, di
mordicchiarla e finalmente di abbandonarsi serenamente
nelle braccia del trapasso (come fu per Levi o per
Senigallia!). E la “morte” è uno dei tanti capitoli del
volume, che nei termini dell’itinerario, del percorso
guidato dagli incontri, intinto nella storia, non
rinuncia mai alla descrizione ora struggente, ora
atavica e ora modernamente passata, di una realtà
immobile, quasi cristallizzata in un’epoca imprecisabile
o altrimenti, basta volerlo, percepibile e misurabile
con la clessidra della fantasia e della memoria. Poiché
il vero regolatore, la ghiera del volume di questo
cammino, la vera protagonista assoluta di questa vicenda
letteraria, risulta essere l’Anima e indissolubilmente,
per riflesso, lo sono i luoghi, dell’Anima. Quindi
viaggio dell’Anima, come già per Levi, Scodellare,
Tufelli, Migro, Russo, Veneziani, il miglionichese
Leogrande. Deluso chi cercherà dunque tra le pagine
completezza documentaria ora di storia e ora di
antropologia, poiché il capriccio della mente, lo
svolazzo delle idee, la carrellata dei ricordi
determinano in maniera netta la stesura del contenuto e
dunque le località, le personalità, le vicende, i detti
popolari, le usanze, il piatto del giorno. Divagazioni
dell’anima s’intrecciano a divagazioni della mente,
determinano i registi narrativi e gli spostamenti nelle
realtà degli altri comuni da medesime storie accomunati
(la cacofonia rende appieno il significato!). Ecco
svelarsi il tema della “danza” del sottotitolo, quasi
che i “passi” diventino tali spostamenti e la “musica”,
melodia dei ricordi. Una storia o tante micro-storie del
sud ambientate in un sud affatto metafora
dell’abbandono, dei problemi sociali, del malaffare,
quanto piuttosto ricettacolo di ricchezze, di calore
civico, di contrade e castelli ammantati di storia, di
vernacolo poetico e musicale, di nenie dolcissime.
Abolito il concetto di Terra di conquista, il sud
rappresentato dall’entroterra materano, si scopre così
per gradi, per odori, per pietanze mediterranee, per
esperienza di nonni centenari, per blocchi di pietra che
danno consistenza a una torre, per riti apotropaici che
danno un senso compiuto ad un rituale, per scatti
fotografici che suggeriscono immagini tangibili della
narrazione. Dunque storia civica e di costume, di
Miglionico come del Meridione, per usare un parolone
grosso (un termine, ahimè, che evoca inevitabilmente il
fantasma dell’assistenzialismo incessante!). Un percorso
da fare a tappe, quasi le stesse scandite dai capitoli
(Le donne, Mercanti, I pasti, Siesta, L’infanzia, La
scuola, Matrimoni, Funerali, Briganti, Emigranti, I
vecchi sulle scale, con gli “articoli” che
fantasiosamente si alternano!), come auspicava il
geniale professore Franco Cassano, qualche anno fa, nel
suo fondamentale testo Il pensiero meridiano (Laterza,
1996), quando scriveva “Bisogna essere lenti, amare le
soste per guardare il cammino fatto, sentire la
stanchezza conquistare come una malinconia le membra,
invidiare l'anarchia dolce di chi inventa di momento in
momento la strada”. E il senso del racconto è così
compiuto, senza un filo temporale da rispettare, dalla
Magna Grecia alle strade asfaltate, con gli affreschi
della chiesetta civica di Santa Maria delle Grazie di
Miglionico che hanno preso probabilmente il posto, nella
creatività della Galletti, delle pitture della Parete
gaudenziana nella chiesa omonima della sua vissuta
Varallo. L’unica sicurezza dopo la lettura? E’ che il
discorso del meridione, di Miglionico come di Pomarico,
tanto era valido per Levi piuttosto che per Sinisgalli e
tanto è valido per chiunque. Anche per il più “nordista”
difatti, questo lembo del Paese è la metafora del
riposo, l’energia della natura, la tranquillità nei
posti, quindi un sud che sa farsi universale nel
significato e nel significante, punto d’arrivo piuttosto
che punto di partenza e spazio dove rimanerci, dove
gettare l’ancora della propria esistenza se possibile,
proprio come lo è stato per la varallese Maria Augusta
Galletti. Appuntamento dunque immancabile. La
presentazione del testo avverrà difatti domenica 26
settembre, in una sala del castello del Malconsiglio in
Miglionico, alle ore 20,00, in occasione della “Sagra
dei fichi secchi” organizzata dalla Pro-Loco. Saranno
presenti il Consigliere regionale Giuseppe Dalessandro
che ha prefazionato il testo e naturalmente
l’autrice. GABRIELE SCARCIA |