Miglionico.Nel
tentativo di tratteggiare uno spaccato biografico
inedito della carriera politica del senatore a vita
Emilio Colombo, da pochi giorni novantenne, ci sarebbe
una singolare testimonianza documentaria offerta da una
missiva sconosciuta naturalmente, conservata nel mio
archivio storico, che il vescovo di Potenza Mons.
Augusto Bertazzoni scrisse dal capoluogo lucano il 23
agosto 1946 all’arciprete di Miglionico Don Donato
Gallucci. Il testo della lettera è il seguente: “Reverendissimo
Signor Arciprete - L’On. Colombo non è né a Potenza né a
Roma ma in giro per l’italia Settentrionale. Forse
capiterà Domenica per breve ora a potenza, per ripartire
in serata. Gli farò parlare perché io sarò a Marsico.
Temo però che non possa disporre di un minuto. A
Pietragalla ci sta il vostro compaesano l’avv. Mario
Zotta. Potrebbe fare una scappata a Miglionico se
riceverà da voi l’invito pressante. Potrei parlare con
il Prof. Marotta e gli parlerò ma non so se potrà
ingerirsi nelle questioni della Provincia di Matera.
Purtroppo il mondo è cattivo e il lavoro di Satana si
intensifica in mille modi e sempre con più accanimento.
Preghiamo e speriamo! Suo Devotissimo – Augusto Vescovo”.
Le parole usate dal “Padre della Chiesa Lucana”, come fu
definito il pastore zelante e di cuore giunto dal
mantovano in Terra lucana nel 1930, sono evidentemente
la risposta a una precedente richiesta di aiuto verbale
o per iscritto dell’arciprete di Miglionico, il
Professor Donato Gallucci (Pietragalla 1887-Matera
1965). Filologo di fama internazionale costui, profondo
conoscitore di otto lingue, detto per inciso, preferì
l’arcipretura e l’istruzione dei giovani del suo piccolo
gregge piuttosto che gli onori della Santa Sede dove il
Segretario di Stato Card. Luigi Maglione, suo amico
personale, lo voleva da tempo collocare. Nemmeno
l’offerta
di una cattedra universitaria, che per tanta scienza gli
sarebbe stata destinata se solo avesse voluto (per
approfondimenti consultare articoli apparsi su “Epoca”
del 29 marzo 1964 - “Il Secolo d’Italia” del 10-11 marzo
1965) riuscì a smuoverlo. Tra questi uomini di chiesa e
in questi contesti si mosse dunque il giovanissimo
Colombo, che nella Potenza della Democrazia Cristiana
era tra i giovani dell’Azione cattolica con Michele
Marotta, Mario Zotta, Claudio Merenda. Colombo era stato
Delegato Diocesano per gli studenti nella parrocchia
della SS. Trinità, la stessa dei fatti odierni di
cronaca della Claps, chiesa tra l’altro a due passi
dalla sua signorile abitazione, in pieno centro storico.
Già nel 1936 presiedeva il Consiglio Diocesano, nel 1938
era incaricato regionale della GIAC e naturalmente, nel
1946, deputato alla Costituente. Questo inconsueto
cammino, oggi inimmaginabile, era il risultato
dell’opera pastorale e sociale messa a punto dalle
associazioni cattoliche guidate dalla sapienza di un
monsignore come Bertazzoni durante il ventennio.
Dato che in questi giorni la biografia ufficiale del
senatore Colombo sui principali quotidiani italiani ha
battuto continuamente sull’elencazione degli incarichi,
sui ruoli, sugli incontri, questa testimonianza
documentaria, come dicevasi, rimanda al periodo
formativo, al periodo iniziale, quando
Colombo
era un perfetto ragazzino sconosciuto che attendeva al
pari dei suoi compaesani, il 29 ottobre 1930, un vescovo
che da 5 anni non arrivava, in un posto dimenticato da
Dio. E quel vescovo così importante finalmente giunto,
girò nella sua diocesi a dorso di mulo, si arrampicò per
le stradine di montagna per raggiungere i piccolissimi
centri abitati e diede inizio alla sua missione tra una
religiosità tutta popolare non scevra di superstizioni.
L’organizzazione indefessa dell’Azione Cattolica, nei
programmi dell’alto prelato, fornì un’occasione concreta
a quei giovani. La formazione dunque avvenne tramite
quest’organismo e non necessariamente con lezioni
magistrali o adunanze interminabili pregne di concetti,
quanto piuttosto con un dialogo continuo non disgiunto
dai sani precetti di fede e solidarietà sociale. E
l’impegno pastorale del vescovo non fu mai slegato da
quello dei sacerdoti della diocesi che collaboravano e
interagivano con lui. Quindi dietro la formazione di
Colombo e di un’intera classe dirigente affatto datata e
dalla quale ci sarebbe molto da imparare, per chi non lo
avesse inteso, vi era un sant’uomo, conscio del suo
ruolo, perfettamente impegnato nel sociale e un
associazionismo portante che fissava con esattezza le
regole e i valori della vita. Inevitabilmente tale
percorso non può che suscitare in noi riflessioni
profonde, se pensiamo solo per un attimo, a mo’ di
esempio, alla formazione dell’attuale classe dirigente
del Paese. La maggior parte dei candidati nelle attuali
competizioni elettorali prende forma nei talk show
televisivi piuttosto che nelle fila delle ambiguità
sessuali, o giunge direttamente, se pensiamo alle quote
rosa, dalle patinate pagine dei calendari osè o meglio
ancora dal cinema. Stesso dicasi per gli uomini di
chiesa. Esempi di santità e abnegazione oggi restano
rarissimi. L’impegno nel sociale dunque, Colombo docet,
la crescita sana nelle comunità, lo sguardo distolto
dalle frivolezze massmediologiche, la condivisione e la
conoscenza dei problemi, dovrebbero costituire le basi
essenziali per la futura classe dirigente di questo
nostro Paese, prima che qualcuno frettolosamente liquidi
il tutto con l’espressione “Sono cambiati i tempi!”.
Gabriele Scarcia |