MIGLIONICO.
Da una psichiatria basata sull’esclusione e
l’internamento ad una pratica di cura della salute
mentale fondata sull’inclusione e il rispetto dei
diritti delle persone affette da disturbo mentale.
Sul tema si sono confrontati psichiatri quali
Raffaele Barone, Marco D’Alema, Fedele Maurano ed
esperti del settore come Giuseppe Salluce e Angelo
Bianchi nel corso del convegno, “Psichiatria di
comunità: un modello di intervento socio sanitario”,
che s’è svolto nell’Auditorium del castello del
Malconsiglio. Presente, tra gli altri, il sindaco
Angelo Buono, che ha fatto gli onori di casa. Il
seminario, che è stato patrocinato dal Comune di
Miglionico e dalla Lega Coop di Basilicata, in
collaborazione col Distretto sanitario mentale
dell’azienda sanitaria di Matera, ha avuto il merito
di evidenziare come la sofferenza mentale debba
essere riconosciuta e non rimossa in un istituto.
Prima che entrasse in vigore la riforma Bisaglia
(legge 180 del 1978), la precedente legge
psichiatrica, in vigore dal 1904, affermava il
principio secondo cui il malato di mente “era
pericoloso per sé e per gli altri” e, di
conseguenza, andava curato in un apposito istituto,
cioè nel manicomio, vale a dire in una sorta di
carcere per malato di mente o presunto tale. In
realtà, in un luogo del genere, i malati più che
essere curati e guariti, spesso, venivano torturati,
legati a letto e costretti a subire l’elettroshock.
“L’attuale legge, invece, osserva Giovanni Centonze,
presidente della “Vita Alternativa”, che gestisce la
locale comunità, la “Casa famiglia”, ove trovano
ospitalità una decina di persone, precisa che il
malato è una persona sofferente che va curata in un
luogo accogliente e terapeutico per essere
reinserita nella società”. In conclusione, due sono
state le note più significative emerse nel corso del
convegno. La prima: è stata senz’ altro efficace il
processo di riforma che ha portato alla chiusura
dell’ospedale psichiatrico, perché risultava essere
un luogo disumano, ove il malato era privato di
libertà, relazioni e ruolo sociale per essere
soltanto oggetto di custodia e, purtroppo, molto
spesso, anche di violenza fisica. La seconda: la
riforma afferma, inoltre, l’importanza di costruire,
nelle comunità, una rete di servizi per farsi carico
della domanda di salute mentale proveniente dal
territorio, al fine di promuovere percorsi
individuali e collettivi di salute e d’emancipazione
sociale. Giacomo Amati |