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Miglionico.
Il gioco è bello se come certi scherzi dura poco. Se
invece diventa fissazione scattano altro tipo di
considerazioni, spesso legate a quadri descrittivi che
vanno dalla nevrosi alla psicosi. Ma la febbre del
gioco comincia tra i banchi di scuola? Sembra proprio di
sì. Un dato significativo, in tal senso, emerge, in
maniera oggettiva, da un’indagine effettuata tra gli
alunni della scuola primaria (classe quinta) e della
secondaria di primo grado del locale istituto scolastico
comprensivo. I risultati della ricerca, che è stata
curata da un’associazione di promozione sociale,
“Magister vitae”, diretta dal dott. Rino Finamore, sono
stati illustrati dalla psicologa Filomena Tataranni nel
corso del convegno sul tema, «Una malattia chiamata
gioco», che s’è svolto nell’aula magna della scuola, cui
hanno partecipato, tra gli altri, il sindaco Angelo
Buono (Pd), gli assessori provinciali Salvatore Auletta
e Giuseppe Dalessandro, don Basilio Gavazzeni e don
Giuseppe Tarasco. «La ricerca sul tema del gioco d’azzardo - ha spiegato a questo proposito Tataranni - è stata di tipo osservativo e descrittivo: sono stati somministrati tre questionari, due per i ragazzi e uno per gli adulti, il cui obiettivo è stato quello di fotografare il rapporto esistente tra la popolazione locale e il gioco d’azzardo (giochi a premi e lotterie istantanee). Dai dati emerge che i ragazzi, già a partire dai nove anni, conoscono i giochi a premi (Gratta e vinci, il Superenalotto, eccetera) e, nel 40 per cento dei casi hanno giocato almeno una volta al “Gratta e vinci” o l’hanno ricevuto in regalo. Invece, i ragazzi dagli undici ai quindici anni, nella misura del 30 per cento, hanno giocato ai giochi a premi in assenza di adulti, con gli amici e con i soldi della paghetta settimanale». E i dati riguardanti gli adulti? «Il 6 per cento della popolazione - ha sottolineato la psicoterapeuta - esprime un profilo comportamentale paragonabile a quello del giocatore patologico e necessita di un intervento terapeutico e riabilitativo immediato. Il 13 per cento della popolazione si colloca in una situazione intermedia e necessita, invece, di interventi di informazione, sensibilizzazione e consulenza, al fine di mantenere il quadro comportamentale nei limiti di una gestione consapevole e sana. Si tratta di azioni, ha concluso Tataranni, che sono assenti in tutta la Basilicata e, ovviamente, nella provincia di Matera. Pertanto, circa trentamila persone, a cui si aggiungono le rispettive famiglie, sono attualmente in una situazione che richiede una risposta sanitaria e sociale tempestiva e competente». Giacomo Amati |
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