MIGLIONICO.
Quando mi è stato chiesto di presentare l’opera
della signora Losquadro dal titolo: Ho scritto
d’amore: voce di una mamma, ho pensato ad una
delle tante pubblicazioni che si stampano in questo
periodo estivo senza alcun valore particolare.
Ma non
appena ho avuto tra le mani il volume, mi sono
subito reso conto di trovarmi di fronte a un’opera
davvero unica e di grande pregio
Man
mano che ho iniziato a sfogliare e a leggere le
prime pagine sono stato preso dalla lettura in modo
così intenso che avrei voluto finirlo in un soffio.
Ecco venir fuori la prima qualità del libro: è
scritto in maniera semplice e scorrevole, in una
prosa che avvince e che tiene vivo l’interesse con
un linguaggio nobile e allo stesso tempo alla
portata di tutti: “colti e meno colti, credenti e
non credenti”. La semplicità della scrittura, unita
alla levatura degli argomenti, attribuisce
all’opera una grande forza poetica e umana.
In
particolare cerco ora di trattare più distintamente
le caratteristiche dell’opera così come sono apparse
alla mia riflessione. Il libro si divide in due
parti principali: la prima tratta della vita e della
perdita del figlio Mariano, che la mamma definisce
“giovane comune, fuori dal comune.” La seconda si
intitola : morte, fede: binomio di vita. In tutta
l’opera si possono individuare alcuni protagonisti
concreti e reali , altri di natura astratta o
ideale, ma ugualmente palpitanti e vitali.
La
figura assolutamente centrale è Mariano, di cui si
narra la breve esistenza e la prematura scomparsa.
Segue la personalità fortissima della madre, autrice
e protagonista essa stessa. Non per ultima tutta la
famiglia che ruota numerosa attorno alla umana
vicenda di Mariano. Tra i protagonisti per così dire
astratti cito il dolore, l’amore, la fede.
Ebbene
io parlerò soprattutto del valore umano e letterario
dell’opera; di quello spirituale e religioso rimando
a chi mi seguirà che è non solo più competente, ma
anche più degno, poiché io che in altre occasioni mi
sono definito “l’ultimo dei credenti”, non posseggo
una fede di ferro e spesso mi smarrisco
nell’infinito mistero del creato e del suo creatore.
Il mio Dio è incarnato nella figura storica di Gesù
Cristo, il quale per primo ha infranto la legge del
taglione (occhio per occhio dente per dente) e ha
parlato agli uomini di perdono, di giustizia sociale
e di uguaglianza.
Ma
parliamo di Mariano. Nasce il 17 giugno 1966 a
Pisticci, gemello della sorella Stefania; cresce in
un’atmosfera familiare piena di cure e di affetto;
è un bambino vivace, attivo, curioso di tutto ciò
che vede intorno. Colleziona di tutto, studia con
grande profitto e si diploma geometra. Qualche anno
dopo a Firenze si laurea in Architettura. Ama e
pratica diversi sport, compresa l’attività di
subacqueo. Frequenta l’oratorio , sorretto dalla
solida religiosità della famiglia. E’ insomma un
ragazzo normalissimo, anzi fuori dal comune, così
come l’ha definito la madre.
In
effetti si discosta non poco dalla “normalità” dei
ragazzi di oggi. Non solo dall’accorata rievocazione
che ne fa la mamma, ma soprattutto dalle numerose
testimonianze di amici e conoscenti ne viene fuori
una personalità davvero unica e speciale.
Innumerevoli sono le qualità che tutti gli
attribuiscono: è buono, affettuoso verso tutti i
familiari; in special modo verso Stefania, la sua
gemella. Studioso, leale, coraggioso, solare e
aperto, sorridente e gioioso, ama la vita in tutte
le sue forme, non escluse la natura e l’ambiente.
Man
mano che la sua personalità si va definendo in tutta
la sua portata, emergono qualità davvero eccezionali
che si caratterizzano dal punto di vista sociale e
umano. Possiede notevoli capacità di mediazione dei
conflitti ed è sempre pronto a sdrammatizzare ogni
cosa; ha grande senso di responsabilità e non esita
ad assumersi impegni di carattere sociale e anche
politico. Infatti è eletto consigliere comunale e si
impegna nell’attività sindacale. Sotto il profilo
umano, è solidale verso i più bisognosi e non si
sottrae all’eventualità di poter donare se stesso
agli altri.
Gli si
riconoscono altresì qualità come la tolleranza, la
fede nella democrazia, l’onestà e la ricerca
dell’unità nella soluzione dei problemi sociali. Non
ultime la passione e la professionalità che lo
distinguono nel lavoro e nelle vicende politiche.
Senza
esitazione, pertanto, si può definire la sua una
vita esemplare e una personalità unica.; come tale
da additare come esempio alle giovani generazioni.
Ma
l’incanto sta per finire: il sogno, le speranze di
un futuro radioso, la certezza di una vita serena,
allietata dalla nascita del piccolo Francesco, a
pochi giorni dal quarantesimo compleanno, si
infrangono in uno splendido mattino di giugno. Un
tragico incidente lo strappa per sempre all’affetto
dei suoi cari e all’intera comunità. Mariano non c’è
più. E’ volato in cielo, dirà la madre.
Terminate le pietose pratiche che le circostanze
richiedono, inizia il doloroso calvario per tutta la
famiglia; per la giovane moglie Elisabetta, la
sorella Stefania, il papà Francesco, il fratello
Massimo, il figlioletto che porta lo stesso nome del
nonno, il cognato Franco, soprattutto per colei che
gli ha donato la vita, la madre Fausta; per la quale
iniziano ora un percorso e un processo a dir poco
inimmaginabili. Si vedrà sprofondare nel più cupo
dolore, attraverso un tunnel di sofferenza e di
disperazione da cui potrà risorgere , dopo enormi
tribolazioni, con la fede ritrovata e la speranza
nella salvezza divina.
Ma
prima di affrontare questo percorso di emozioni e di
sofferenze , provo a delineare il carattere e la
figura di Fausta ,l’autrice dell’opera. Non esagero
nel dire che è una donna davvero straordinaria.
Orfana di padre in tenera età, tra ristrettezze e
sacrifici si diploma e svolge la professione di
maestra elementare per 33 anni. L’opera di
educatrice però non si esaurisce con l’insegnamento,
ma si potenzia con quella della catechesi e del
volontariato presso l’associazione “Maria di
Nazareth”.
Eredita dalla famiglia di origine la fede
incrollabile in Dio che trasmette a tutta la
famiglia. Famiglia che , come accennato, rappresenta
il terzo vero protagonista dell’opera. E’ un nucleo
indissolubile di rispetto e di amore che diventa
un’unica espressione vitale nel momento dello
sconforto e del dolore. Vivente Mariano, si respira
in essa un’atmosfera di gioia e di serenità immense;
si ride e si gioisce anche col solo stare insieme,
non si dimentica mai di ringraziare Iddio per la
condizione di benessere spirituale e mentale che si
irradia in tutti suoi componenti.
Non è
esagerato ripetere che è essa stessa una famiglia
“esemplare”: per i rapporti armoniosi che
intercorrono tra i suoi membri, il rispetto che
ognuno nutre verso l’altro in un clima di amorevoli
affetti. Ma la figura dominante della famiglia,
senza nulla togliere al ruolo che il papà svolge con
discrezione dietro le quinte, è dunque quella
straripante della madre che regge le fila di tutto.
Essa è la forza che tiene unito e solido il gruppo
di famiglia a cui trasmette quella linfa vitale che
non lo farà mai crollare nella” buona e nella
cattiva sorte “. La sua tenacia e la sua ferrea
determinazione, le farà superare i momenti più bui e
difficili.
Siamo
così giunti alla seconda parte del testo. Come
accennato, i protagonisti ideali che completano la
struttura dell’opera sono il dolore, l’amore, la
fede. E’facile immaginare come la scomparsa
prematura e improvvisa di Mariano colpisce tutta la
famiglia e in modo straziante la mamma ; essa cade
in uno sconforto e in un dolore incommensurabili. La
sua fede vacilla, i dubbi l’assalgono. Dio sembra
averla abbandonata e il pianto si fa irrefrenabile
.” Quando in una casa-essa scrive –entra la morte
porta sempre uno scombussolamento, vi si crea un
vuoto incolmabile che produce pianto e dolore; ma
quando essa entra e con le sue grinfie crudeli ti
rapisce un figlio, strappandolo prematuramente ai
suoi sogni, ai suoi progetti nel pieno vigore dei
suoi anni e delle sue energie… il vuoto si fa
abisso, il pianto prende voce e si fa lamento, il
dolore si fa lacerazione e la lacerazione fa
sanguinare il cuore”.
Ne
deriva uno sconcerto immane che la disorienta, la
smarrisce e le crea un’ansia opprimente. Sembra
cadere in un baratro senza fine da cui dispera di
poter uscire. Ma la fede che sembrava averla
abbandonata si risveglia e si manifesta con
rinnovato ardore e con una consapevolezza più matura
e sofferta. Se dapprima era data quasi per scontata,
ora si fa sofferenza e filosofia di vita; diventa
meditazione sul proprio destino e su quello
dell’intera esistenza dell’uomo. E’ il dolore che la
sospinge verso l’accettazione di un disegno divino,
inaccessibile alla mente umana, ma proteso alla
salvezza di tutta l’umanità.
Questo
percorso interiore di rigenerazione di sé, non
avviene dall’oggi al domani, ma in un lungo periodo
in cui si alternano disperazione e speranza. La
sorregge l’alto senso di responsabilità nei
confronti della famiglia,verso la quale ha il dovere
di mostrarsi serena e colma di affetto. La vita deve
continuare, sia pure nel ricordo e nell’assenza dei
cari scomparsi. Dopo il lungo alternarsi tra
sconforto e fiducia ritrovata, esce dal tunnel del
dolore e, attraverso la fede, intraprende un cammino
di amore che la spinge ad usare la sua sofferenza
per tentare di lenire la pena altrui.
Organizza momenti di preghiera collettiva ,
fiaccolate in memoria dei defunti e reca conforto a
chi come lei si vede strappato il bene supremo di un
figlio. Dal buio più profondo emerge la luce divina
che le illumina il volto ,che, se non è più gioia
dirompente, è appagamento dei sensi e dell’anima.
Serenità e letizia le danno ora la forza e la voglia
di reagire. E’ allora che “lo sgomento si fa stupore
alla luce della speranza, l’assenza si fa pienezza
della divina presenza, il dolore si fa nostalgia, la
nostalgia si alza in volo e si fa preghiera, la
preghiera operante: carità”.
E’ il momento che si fa concreta la
certezza che la morte non è per sempre e che i
giusti vivranno in eterno nella grazia del Dio
Creatore. In una delle poesie riportate nel testo è
chiaramente evidenziata la speranza di una vita
immortale.
Mi avvio alla conclusione senza però aver
speso alcune riflessioni di carattere generale sul
valore poetico dell’opera e sulla sua valenza umana
e morale. Non è un romanzo nel senso classico del
termine, non un saggio di filosofia morale o
teologica, non un affresco storico , né un’opera di
autocommiserazione. Certamente non è un racconto di
drammatiche e dolorose vicende personali; (giudizio
espresso dal cardinale Tonini che ne cura la
prefazione).
E’ soprattutto narrazione e
rappresentazione di profonde emozioni individuali
che si allargano vieppiù, a guisa di cerchi
concentrici, ai vicini più cari, alla comunità, ai
lettori tutti, all’intera stirpe umana. E’ un
percorso psicologico e mistico insieme che si
origina in una singola persona e si irradia nella
mente e nell’animo di quanti patiscono l’esperienza
tragica della perdita di persone care. Il dolore da
individuale si fa corale, si estende e pervade di sé
non solo il lettore , ma scuote i sentimenti di
ognuno; E’ l’uomo in sé che viene considerato essere
solo al mondo, nella sua fragilità senza difese, se
non nella speranza della salvezza in Dio.
Non è dunque opera da considerarsi alla
stregua di un sermone religioso, né una predica da
un pulpito immaginario, è essa stessa un autentico
atto d’amore inteso a lenire il dolore della
condizione umana, come prova da sopportare in vista
del Bene Supremo. Se Leopardi estende la precarietà
e il dolore insopprimibile dell’uomo a tutta la
natura, senza un filo di luce che potesse redimerlo,
l’autrice considera il dolore e la sofferenza un
mezzo per aspirare alla vita eterna attraverso la
fede incrollabile in Dio.
Qual è stata dunque la ragione che ha
spinto l’autrice a sottoporsi all’ennesimo strazio
di rievocare le fasi più liete della vita del figlio
prediletto e la tragedia immane della sua morte?
Quali le motivazioni che spingano il lettore alla
lettura del testo?Al primo quesito ha ampiamente
risposto l’autrice laddove così si esprime: “è un
libro in cui morte e fede si fondono in un binomio
di vita e il dolore si fa servizio. Il servizio è
donazione e io faccio dono al lettore delle mie
emozioni, quali estensioni della mia anima; della
mia esperienza, della mia fragilità, della mia
sofferenza, della mia serenità, del mio grido di
speranza che vuole essere una eco per tutte le
persone che soffrono e vivono il dramma della
perdita di una persona cara. E’ un libro quindi che
non è affidato alla teoria del verosimile, ma
all’autenticità di un vissuto sperimentato sulla
propria pelle.”
Implicitamente in quest’ultimo passo è
contenuta la risposta al secondo interrogativo. Io
però aggiungo delle ragioni ancor più rilevanti.
Oltre alla piacevole lettura dovuta alla
scorrevolezza del testo e alla maestria con cui
l’autrice tiene avvinto il lettore in un crescendo
di emozioni e di penetranti rivelazioni, l’opera
prende la mente e il cuore di chi legge, rafforza e
consolida la fede dei credenti, corrode le certezze
dei miscredenti. Ed è proprio quello che mi è
accaduto. A me che, ripeto, non ho una fede
incrollabile, questo libro mi ha lasciato un segno
indelebile.Mi ha generato una congerie di
riflessioni, suscitato una miriade di dubbi sulle
mie presunte certezze e sui grandi interrogativi
sulla vita e sul destino dell’uomo.
Certo, sarebbe falso da parte mia affermare
che ho intrapreso un cammino di ri-conversione.
Sicuramente ne ho tratto un beneficio enorme in
termini di conoscenze e di suggestioni psicologiche
. Ha potenziato in me sentimenti e atteggiamenti che
sembravano assopirsi; sentimenti che toccano la
solidarietà umana, lo spirito di abnegazione, un
senso più alto della giustizia, la sacralità della
famiglia.
In definitiva il valore del libro non si
esaurisce nella comunicazione di buoni sentimenti e
nella certezza della salvezza finale; per ciò stesso
non è un trattato di etica , né un indottrinamento
moralistico, men che meno una serie di buoni
precetti; è sicuramente un atto autentico di
educazione che scaturisce ,come per contagio, dalla
esemplarità di vita personale e familiare -come si
vede il termine ricorre spesso- che promana dal
vissuto dei protagonisti. E’la fede incarnata nella
mente e nel corpo, direi, che li tiene stretti e li
addita agli altri come testimoni di verità e di
amore.
Miglionico 3 agosto 2011
Domenico
Lascaro |