MATERA.
Volentieri ho accettato di intervenire sulla
frattura esistente tra scuola e mondo del lavoro,
argomento non meno attuale di quelli trattati in
questo convegno.
Affronterò il problema partendo dalla situazione di
crisi in cui versano da anni scuola e mondo del
lavoro. Passerò poi ad accennare ai diversi
tentativi fatti negli ultimi anni per tentare di
superare le difficoltà esistenti. Cercherò infine di
indicare quelle misure che a mio parere dovrebbero
almeno attenuare le carenze in atto.
La crisi della scuola italiana è ormai sotto gli
occhi di tutti. A gran voce gli organismi di
osservazione
internazionali
la collocano agli ultimi posti in Europa per
inefficienza ed inefficacia formativa. Ci preme
dunque scoprire le cause della crisi e il conflitto
che ne deriva tra scuola e lavoro, tra scuola e
società, allo scopo di indicarne le possibili
soluzioni.
I dati emersi sono alquanto sconfortanti,
soprattutto a livello delle scuole di secondo grado.
Affiorano carenze sul piano linguistico e
matematico, persino sulla capacità diargomentare sul
piano logico. Non fanno eccezione i licei che da
sempre hanno costituito l’eccellenza della scuola
italiana.Questa è la situazione per così dire
macroscopica della nostra scuola, anche se in alcuni
casi particolari non tutto è da buttar via. Resta
comunque una condizione insostenibile che necessita
di interventi urgenti e risolutivi se non si vuole
perdere il treno della ripresa.
Fino a qualche decennio addietro le poche
istituzioni scolastiche esistentierano sufficientia
formare giovani idonei a ricoprire qualsiasi
mansione lavorativa. Lo Stato assumeva tutti gli
insegnanti, i licenziati dal vecchio Avviamento
trovavano subito collocazione nelle nascenti
industrie; ragionieri e geometri un lavoro sicuro e
ben retribuito nelle poste, negli EE.LL e
quant’altro. I laureati erano contesi in ogni campo
lavorativo.
Poi tutto è cambiato. La scuola media unica ha dato
il via alla scolarizzazione di massa. Sono
sortinuovi indirizzi, moltiplicate le facoltà
universitarie, il presalario non lo si è negato più
a nessuno; bastava superare un paio di esami e la
laurea poteva anche non arrivare mai.Insomma si è
assistito ad un vero e proprio boom di istruzioneche
ha consentito un riscatto economico e sociale a
vasti strati della popolazione.
Ma all’ aumento vertiginoso di istruzione, sul piano
qualitativo non è seguito un progresso altrettanto
rilevante. La scuola è rimasta al palo, mentre la
società evolveva con ritmi accelerati. Inizia così
ad allargarsi sempre più il divario tra scuola e
società e mondo del lavoro. Quando il fenomeno è
stato finalmente percepito in tutta la sua portata
negativa, si è avvertita l’esigenza di una globale e
organica riforma che elevasse la scuola italiana al
livello dei grandi paesi europei.
Ma il succedersi precipitoso dei governi centrali e
l’assenza di un disegno complessivo che ponesse
l’istruzione al centro degli interessi nazionali,
han fatto sì che la soluzione del problema fosse
rinviata sine die. La scuola comunque è andata in
ogni modo avanti grazie al sacrificio e alla buona
volontà degli insegnanti. Non si sono fatti molti
passi avanti, però tutto si è tenuto a livelli più
che dignitosi.
I tentativi di riforma, sia pure per singoli
comparti, hanno conseguito risultati anche
apprezzabili in diversi settori. Penso
all’introduzione del Tempo Pieno nella scuola
elementare, al Tempo Prolungato nella scuola media,
all’abolizione delle classi differenziali e ai
decreti delegati; sono state inoltre introdotte
alcune innovazioni didattiche che hanno giovato non
poco all’andamento generale dell’istruzione. Cito ad
esempio l’emanazione dei Nuovi Orientamenti nella
scuola materna, quelli del ‘79 nella scuola media e
i Programmi dell’‘85 ella scuola elementare.
Inizia da allora un ventennio di riforme e
controriforme che annullano ogni tentativo
risolutore. Dopo un tempo infinito di
incubazione,approdano finalmente le proposte dei
Programmi Broccafinalizzati al riordino degli
indirizzi superiori. Cambia governo e il Ministro
Berlinguer corregge il disegno precedente: riforma
la maturità, innalza l’obbligo a 15 anni, riordina i
cicli scolastici e abbassa il limite della maturità
a 18 anni. Prima che il progetto entri comunque in
vigore, il nuovo Ministro Moratti cancella senza
esitare l’ipotesi Berlinguer e detta nuovi indirizzi
didattici .Segue Fioroni che blocca la legge
n.53/2003 della Moratti, ripristina i rimandi estivi
e innalza l’obbligo a 16 anni. Infine la
Gelminirimette tutto in discussione e predispone una
nuova riforma che dovrebbe entrare in vigore nel
2014.
Questo lungo processo di “cambiamento senza riforma,
come è stato denominato,” produce comunque alcuni
aspetti positivi, tra cui un forte sviluppo
dell’istruzione tecnica, il superamento dello
storico divario tra istruzione maschile e istruzione
femminile, nonché una presa di coscienza popolare
per una urgente riforma organica di tutto il sistema
scolastico italiano.
Ma con la situazione economicache precipitava e il
debito pubblico reso ormai ingovernabile, inizia un
vero periodo di restaurazioneall’insegna di tagli
indiscriminati, sia da destra che da sinistra. Otto
miliardi di Euro nell’arco di tre anni sottratti
alla scuola dal Ministro Tremonti, danno la misura
dello scempio operato. Ormai le stime OCSE
definiscono senza mezzi termini “analfabetismo di
ritorno” lo stato del sistema scolastico italiano.
Il calo demografico che si è registrato in questi
ultimi decenni, anziché costituire un’occasione per
commisurare le risorse ai bisogni dell’utenza, viene
utilizzato paradossalmenteper giustificare una secca
riduzione delle stesse.
Ci sono voluti dieci anni di dibattiti e di
verifiche per dimostrare la validità del Tempo Pieno
e dell’inefficacia pedagogica del maestro
“tuttologo”, ma al Ministro Moratti, chissà perché ,
sono bastati solopochi giorni per decretarne
l’abolizione. Fioroni ha sì re-introdotto i rimandi
a settembre, ma li ha resi un’autentica farsa La
Gelmininon è stata da meno, ha ridotto le ore di
insegnamento nella scuola media da 33 a 27,
decurtando l’insegnamento musicale, la seconda
lingua comunitaria, la tecnologia e ‘informatica,
discipline anch’esse fondamentali per la formazione
della personalità.
A firma del Ministro Profumo sono state promulgatele
Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo della
scuola dell’Infanzia e del 1° Ciclo, le quali, pur
avendo uno spessore pedagogico e didattico notevoli,
rischiano di rimanere solo una chimera se non sarà
subito predisposto un massiccio programma di
aggiornamento per tutti i docenti. Non solo.
L’introduzione di alcune nuove discipline, come
l’informatica, poco si conciliano con il ritorno al
maestro unico e al taglio indiscriminato delle ore
di insegnamento.
Se questo è il quadro poco rassicurante che emerge
dall’analisi del sistema scolastico, bastano poche
parole per descrivere la situazione drammatica e per
certi versi paradossale in cui si trova il mondo del
lavoro nel nostro Paese. La disoccupazione sfiora
ormai il 28% del totale. Ogni giorno chiudono decine
di imprese, l’agricoltura versa in uno stato di
precarietà insostenibile. Non esiste uno straccio di
politica industriale; Il territorio crolla a pezzi e
migliaia di geologi attendono invano un posto di
lavoro. Non è compito mio affrontare in questo
contesto il problema, ma non posso fare a meno di
evidenziare la colpevole incapacità di tutta la
classe politica di cercare soluzioni adeguate
Però il vero paradosso del lavoro in Italia è che da
un lato vi è una forza lavoro esuberante, dall’altro
una carenza di manodopera specializzata che
costringe i datori di lavoro a reperirla altrove.
E’qui che la frattura tra scuola e lavoro mostra
tutta la sua drammaticità. Ma prima di ipotizzarnele
soluzioni, è bene accennare alle cause più profonde
della crisi scolastica, al di làdelle mancate
riforme strutturali di sopra esposte. Secondo me i
veri motivi della crisi per gran parte non hanno
valore economico, bensì politico, sociale e morale.
Per prima cosa, come già di sopra accennato, è
mancata una visione organica della politica
scolastica; non è mai affiorato un disegno
complessivo che affidasse alla scuola il ruolo di
elevazione culturale e sociale di tutto il popolo;
la scuola doveva servire a conservare lo stato delle
cose; i docenti erano da considerare “vestali della
classe media”, come furono definiti in un testo
degli anni settanta.
Un altro elemento da evidenziare è che nella scuola
italiana vige ancora un modello di selezione per
fasce sociali, dapprima come scelta di classe,
attualmente come dato di fatto E’ significativo che
nei licei il 37% degli iscritti sono figli di
dirigenti e di liberi professionisti a fronte del
10% dei figli di operai; il contrario si verifica
negli istituti professionali; un elemento ancora più
preminente è dato da una ingiustificata decurtazione
di ogni forma di lavoro creativo nella scuola
dell’obbligo che rischia di generare non poche
carenze non solo sul piano pratico, ma soprattutto
dal punto di vista della formazione integrale della
persona.
Partendo dal naturale istinto del bambino al fare,
l’attività manuale e pratica, come una volta si
diceva, serviva a potenziare l’interesse per il
“dovere di fare”, che diveniva per sua natura un
tirocinio morale e sociale; oltre a creare occasioni
di autentiche esperienze di gruppo in cui si annulla
ogni differenza di ceto, il lavoro manuale eseguito
nella scuola rende dignitoso ogni tipo di attività
futura. Solo esercitando tutte le attitudini dei
ragazzi, comprese quelle pratiche, la persona è
davvero libera di scegliere il proprio futuro
lavorativo. Necessita quindi una selezione che
promuova e non emargini, sostenuta da corrette forme
di sostegno didattico, da aiuti economici per i più
bisognosi, da un valido sistema orientativo.
Con la restituzione della dignità a qualsiasi tipo
di lavoro si sana la frattura tra lavoro
intellettuale e lavoro manuale. Anzi, solo a queste
condizioni si potranno potenziare , al di là dei
semplici tecnicismi di alfabetizzazione, la
scoperta, la creatività, l’intraprendenza e la
voglia di impresa.
Alla luce di quanto esposto si possono facilmente
intravedere le misure urgenti e indispensabili che
dovrebbero restituire efficacia ed efficienza alla
scuola italiana. Ne cito alcune tra le più
importanti: ripensareuna diversa e organica
formazione di base per tutti i docenti; rendere il
primo ciclo secondario uguale per tutti. Puntare ad
una formazione unitaria che aiuti l’individuo a
ragionare con la propria testa, a vedere
criticamente il mondo e a fargli acquisire quelle
competenze che gli permettano di districarsi nel
groviglio della burocrazia e a partecipare
attivamente alla vita sociale. Estendere l’obbligo
scolastico fino a 18 anni, potenziare gli asili nido
e la scuola dell’Infanzia. Reintrodurre il modello
del Tempo Pieno generalizzato; non per ultime
adeguare le retribuzioni del personale ai compiti
nuovi che si profilano.
Un’ultima urgente innovazione: modificare senza
alcun indugio le modalità di espletamento dei
concorsi pubblici basati solo sul merito e non sulle
clientele. Il cosiddetto Concorsone del Ministro
Profumo, non solo non ha eliminato tutti i difetti
del passato, ma ha creato nei giovani docenti
aspettative puntualmente disattese e sentimenti di
delusione e di frustrazione: il danno oltre la
beffa, se si pensa che dei posti messi a concorso,
solo il 10% è stato coperto; una vera illegalità.
Certamente nascerà spontanea la domanda, come
direbbe qualcuno: belle parole, ma le risorse dove
le prendiamo? Di certo non dal Governo delle lunghe
attese; sarebbe come pretendere di spillare vino da
un otre strizzato. Se davvero si vorrà porre rimedio
allo sfascio attuale non si dovranno attendere i
tempi lunghiprevisti dalla cosiddetta Legge di
Stabilità. Sarà opportuno dar vita ad un movimento
di cittadini, indignati e responsabili, che dal
basso rivendichinouna scuola efficiente e moderna,
consapevoli che investire nell’istruzione e nella
ricerca significa porre le basi per lo sviluppo
economico e sociale della nazione.
Sul piano specifico del lavoro, se sono veritiere le
previsioni degli economisti che la crisi economica e
quindi dell’occupazione, potrà aver termine solo fra
dieci anni, è doveroso pensare già da oggi ai rimedi
che eviterebbero il collasso totale. Il dato più
preoccupante, secondo l’americano Uri Dadush, sta
nell’interazione tra tecnologia e globalizzazione.
Se si considera l’introduzione di nuovi robot e di
macchine sempre più sofisticate nell’industria e
nell’agricoltura e la prassi di esternalizzare
attività produttive o terziarie nei paesi in via di
sviluppo,sarà sempre più difficile trovare
occupazione. Egli sostiene che assicurare
semplicemente un più alto livello di istruzione
potrebbe non bastare; occorrerà puntare su livelli
eccezionali di preparazione; se si è solo bravi e
non eccezionali si farà molta fatica nel futuro a
trovare lavoro.
Che cosa rimarrà allora da fare? Si dovranno
ipotizzare due categorie di professionalità: una
basata su una formazione di eccellenza, altamente
creativa e non di routine, richiedente intensi
rapporti non strutturati tra le persone, come ad
esempio la progettazione di nuove macchine, la
gestione di aziende complesse, docenti sempre più
qualificati, ecc., l’altra, comprendente un ampio
numero di attività semplici a livelloimpiegatizio,
assistenziale o esecutivo, ma non meno
indispensabili e qualificati.
Sarà certamente necessario assicurare a tutti un più
alto livello di istruzione generale. Ma così facendo
si potrebbe creare un ulteriore aumento di laureati
costretti a svolgere un lavoro inferiore alle loro
aspettative. Per questo sarà indispensabile
introdurre sistemi democratici di selezione basati
sul merito e non sul ceto di appartenenza; ma nello
stesso tempo potenziare di ciascuno le reali
attitudini con forme di orientamento rispondenti ai
canoni della pedagogia scientifica.
Le disuguaglianze di classe, a queste condizioni, se
non scomparire del tutto, certamente si
ridurrebbero. Rimarrebbero solo differenze di
funzione che un’accorta politica potrebbe appianare
attraverso un’equa leva fiscale per distribuire il
reddito e attenuarele difformità di status.
Concludo il mio intervento citando l’interessante
meeting della prima Maker Faire di Roma svoltasi
qualche settimana fa. Si tratta di un movimento
internazionale denominato Arduino che raccoglie
intorno a sé una schiera di artigiani digitali con
l’obiettivo di trasformare la creatività artigianale
nella più ampia produzione industriale. Alla base
del sodalizio vi sono tre elementi fondamentali:
l’entusiasmo, la creatività, la concretezza. Infatti
lo scopo di questi inventori fai-da-te è quello di
imparare a farsi le cose con le proprie mani,
utilizzare la voglia di fareper riappropriarsi del
futuro. Questa autentica esplosione di creatività
sta già dando risultati straordinari in America e in
altre parti del mondo.
Qual è dunque il segreto di tanto successo? Lo
abbiamo già di sopra accennato: la scuola oltre a
rinnovarsi dalle fondamenta per offrire ai giovani
una cultura generale foriera di personalità libere e
artefici del proprio futuro,dovrà tendere a
sviluppare tutte le intelligenze dell’individuo,
comprese quelle manipolative, attraverso una prassi
didattica innovativa basata sulla ricerca personale
e sul metodo supremo dell’attivismo. Non a caso il
massimo esempio di intellettuale integrale che ha
coniugato in un nesso inscindibile cultura e
scienza, teoria e pratica, è stato un tale Leonardo
da Vinci che oltre cinque secoli affermava: “La
conoscenza non potrà mai bastarmi, sento l’urgenza
del fare”. Domenico Lascaro |