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GABRIELE SCARCIA
La Gazzetta del Mezzogiorno
18 Agosto 2001

Si formò a Napoli – legò il suo nome a Potenza
Lasciò ben presto il paese natìo e nel 1816 aveva già raggiunto la città partenopea per irrobustire la sua cultura musicale
Due secoli fa nasceva Francesco Stabile musicista di Miglionico
Fu tra i maggiori operisti romantici italiani amato e stimato, come uomo e come artista, morì nel 1860

Francesco Stabile, musicista miglionicheseMiglionico ‑ Potrebbe partire dal rude ritratto, tentando di decifrare con maggiore efficacia possibile (acerbo volto così carico di sospettose ombrosità o dall'opera musicale, peraltro abbastanza folta, l'ardimentosa ricerca sulla personalità artistica e sulla parabola esistenziale di Francesco Stabile. Una nobiltà terriera la sua, che aveva ragione d'esistere soltanto perché inserita nell'ecosistema sociale lucano del tempo che accomunava i facoltosi al concetto di proprietà agraria. E Don Emanuele Stabile di Potenza padre e Donna Caterina De Ruggieri di Miglionico madre, a questa estrazione sociale appartenevano, quando, raccontano le fonti storiche orali, si incontravano nel Teatro di corte della Reggia di Caserta, in occasione dell'esecuzione in pubblico della "Marcia Reale" composta in onore del Re Ferdinando I di Borbone dal miglionichese Maestro Guida; correva l'anno 1791 [questo evento non mi pare possibile essersi verificato, in quanto il maestro Girolamo Guida, autore della marcia, visse un secolo dopo: vedi testimonianza del fratello Giovannino Guida].

I due convolavano a giuste nozze f8 aprile 1793, stabilendosi nella illustre residenza dei De Ruggieri in Miglionico e davano vita in pochi anni ad una nutrita prole di sei figli, tre dei quali non sopravvissero a lungo alle avversità di quei tristi giorni.

Il terzogenito fu proprio Francesco Gerardo Antonio, che vide la luce il 20 agosto 1801 nel medesimo piccolo centro. I suoi genitori vantavano pur tuttavia, a dispetto dell'economia patrimoniale sostanzialmente misurabile sulla base dei possedimenti terrieri, una discendenza di tutto riguardo, annoverando tra gli antenati paterni del XVI secolo, un celebre medico di nome Francesco che discusse presso lo Studio di Padova tredici teoremi di logica, dieci di etica, dieci di matematica, trentadue di scienze naturali, ventiquattro di medicina e tredici di metafisica che presto videro le stampe ed Antonio e Costantino pittori, rinomati e richiesti nel variegato panorama artistico partenopeo, che lasciarono un numero consistente di opere d'arte di carattere devozionale disseminate tra Basilicata e Campania. Gli avi materni provenivano dai normanni, un Nicola fu tra i cavalieri che incoronarono Ruggero 1, Giosuè fu cavaliere e tesoriere di Isabella d'Aragona, Matteo fu Arcivescovo di Capua e Andrea fu vescovo di Salerno nel 1481, inoltre dalla stessa casata uscirono svariati giureconsulti e notai. Un sangue blu d'altri tempi dunque Francesco, che alla morte della madre Caterina nel 1809, lasciò con la famiglia Miglionico fissando la propria dimora in Potenza e ritornando nel borgo natio di passaggio, soltanto nel 1804 per dirigere alcune sue opere, diretto nella vicina Bari dove avrebbe presenziato il giorno 4 ottobre, data di nascita del Principe ereditario Francesco, all'inaugurazione del Teatro Piccinni.

Intorno al 1816 ci è dato sapere che il nostro autore lascia Potenza, incapace di fornirgli la giusta preparazione in materia musicale, per raggiungere Napoli e seguire, presso il Conservatorio di S. Sebastiano, i corsi sulla composizione. Nasceva, tale istituto, nel 1806 con l'intento di unificare i preesistenti quattro conservatori e perpetuare gli intenti della storica scuola napoletana del periodo barocco, grazie alla ferma volontà di Mons. Capacelatro tarantino che ne affidò la direzione artistica a tre gran maestri: Giacomo Tritio, Giovanni Paisiello e Fedele Fenaroli. La preparazione era ottimale con una ragguardevole acquisizione dello scriver musica; per fare alcuni nomi di musicisti usciti dall'ordinamento voluto dal Capacelatro basta ricordare Luigi e Federico Ricci e Vincenzo Bellini.

I1 nostro Francesco è annoverato tra gli studenti paganti già dal 1818, i suoi maestri: Giovanni Salini per il solfeggio e Giuseppe Elia per il clavicembalo. La grande svolta arriva nel 1820, quando divenuto "maestrino" passa sotto la guida di Giovanni Furno e di Nicola Antonio Zingarelli.

A proposito di quest'ultimo, basti dire che fu compagno di scuola di Domenico Cimarosa e che la sua prima opera intitolata "Montezuma", rappresentata a Napoli nel 1781, ottenne uno strepitoso consenso di pubblico. Divenne presto, nel 1793 Maestro di Cappella nel Duomo di Milano, poi nella Santa Casa di Loreto e dal 1804 in San Pietro a Roma; nel 1816 succedette a Giovanni Paisiello come Maestro di Cappella della Cattedrale napoletana.

Fu proprio tale Maestro ad affidare al giovane Francesco la direzione del suo "Miserere" nella prima esecuzione tenutasi nella Chiesa di San Pietro a Majella a Napoli.

Frattanto nel 1826 Stabile consegue il titolo di Maestro e dà inizio alla sua carriera di compositore scrivendo per la Chiesa di S. Marcellino una "Messa" e un "Vespro"; nello stesso anno poi, nel solco della tradizione carnevalesca, vengono messe in scena opere di genere comico e così, presso il Teatrino del Collegio S. Sebastiano, presenta la sua prima opera giocosa in due atti "Lo sposo al lotto" su libretto di Andrea Passaro, gran artefice napoletano nella creazione delle trame scherzose, dove il protagonista maschile "Feliciano" si muove in situazioni esilaranti tra doppi sensi ed equivoci.

Come Beethoven così Stabile, sulla scia della tradizione romantica, compone "Nove sinfonie", una trascrizione per pianoforte della Prima ci fa comprendere l'importanza di tale strumento nella stesura delle opere e naturalmente una sua buona conoscenza.

Nel 1824 la redazione di una romanza dal titolo: "Ah se in ciel benigne stelle" riscopre, di verdiana memoria, un romanticismo marcato, ben evidenziato dalla voce di soprano per la quale la composizione è scritta. Queste ed altri lavori musicali di carattere sacro, come l'aria per contralto "Vorrei soffrir", memori del buon insegnamento zingarelliano, ritorneranno utili nell'ultimo periodo potentino, ma ora, già prepotentemente affermato sul palcoscenico musicale napoletano, si cimenta ancora una volta con l'opera, visti pure i buoni esiti dello "Sposo al Lotto", componendo, con la complicità del buon librettista Felice Romani un melodramma in due atti dal titolo: "Palmira".

Basta a tal proposito fare una puntatina al Monastero di "S. Pietro a Majella"in Napoli, che ospita dal 1828 il Conservatorio di musica omonimo e che da tale data, nella piccola viuzza, diviene il centro e il cuore pulsante della vita musicale cittadina, dove confluisce la corposa eredità della tradizione musicale napoletana. L'esperienza dei quattro antichi conservatori (S. Maria di Loreto, S. Onofrio a Capuana, della Pietà dei Turchini e dei Poveri di Gesù Cristo e il susseguente Collegio S. Sebastiano), si rispecchia nei nomi degli insegnanti, da Niccolò Porpora a Francesco Leo, da Giovanni Paisiello a Saverio Mercadante.

Proprio in tal edificio, dove per quasi due secoli si agitano le potenzialità musicali della città, ha sede la pregiatissima Biblioteca, unica al mondo per la quantità e la qualità delle opere musicali e dei manoscritti, voluta nel 1791 dall'orientalista e gran cultore musicale Saverio Mattei, dove tra la miriade dei volumi salta fuori un frontespizio che recita: "Palmira ‑ melodramma ‑ da rappresentare ‑ nel Real Teatro S. Carlo ‑l'inverno del 1836 ‑ Napoli ‑ dalla tipografia “Flantina2 1836.

Risulta subito dunque, la levatura del personaggio Stabile fra gli operisti romantici italiani; l’eroina dell’opera è un personaggio femminile, Palmira per l’appunto, donna di grande coraggio e dal ritratto psicologico notevolmente caratterizzato; della rappresentazione commenterà Francesco Florido nella sua “Storia della Scuola Musicale di Napoli” che riscosse grandi apprezzamenti.

E proprio quest’ultimo, dopo la ventata di successo della rappresentazione teatrale, non esita a rimarcare la risoluta decisione di Stabile di rientrare in Potenza, scrivendo:”Dopo quel tempo per alcune circostanze di famiglia fu obbligato a rimpatriare, ed avvenuta la morte dei suoi genitori, fu assoluta necessità per lui il prendere le redini di casa sua”.

Che cosa sia veramente accaduto in tale frangente è affidato a discordanti ricordi orali e scritti. Raffaele Riviello, nella sua “Cronaca potentina dal 1799 al 1882”, pubblicata in Potenza nel 1889, scrive: “…Francesco Stabile maestro di musica potentino, educato nel Collegio di S. Pietro a Macella di Napoli, il quale dopo le prime prove date al Teatro S. Carlo e nel Collegio con gli spartiti della Palmira e dello Sposo al Lotto, quasi crucciato del dubbioso esito per intrighi di parte, si ritirò in patria, dilettandosi talvolta di musica sacra, e passando le ore di ozio nel Convento di S. Maria. Le sue opere inedite si conservano negli scaffali dei nipoti, i quali dovrebbero darsi pensiero di pubblicare per dovere di parentela, se non di cittadinanza." Per G. P, nell'articolo "Francesco Stabile" in "Il Lucano", edito a Potenza nel 1907, il rimpatrio improvviso fu dovuto agli esiti della peste del 1837.

Risulta a tal proposito, dunque, arduo comprendere i veri motivi di tale drastica decisione, ne sembra credibile o comunque accettabile l'espressione in Riviello "intrighi di parte", poiché correva buon sangue tra Stabile e i suoi maestri e compagni di studi, dallo Zingarelli al Flori mo fin a Vincenzo Bellini, del quale peraltro, in casa Stabile, presso gli eredi, sembra si conservasse un ritratto con una dedica a Francesco.

Fu evidentemente la “necessità per lui il prendere le redini di casa sua" uno dei più accettabili motivi che determinarono il suo rimpatrio al numero 3 in Vicoletto Stabile a Potenza, dove ad attenderlo non vi era di certo una vita ricca di esperienze come quella napoletana, ma soltanto pochi punti di riferimento culturale e musicale, rintracciabili nel Teatro S. Nicola, nel Real Collegio e in alcune chiese cittadine.

A tal proposito, rileggendo la relazione presentata dal Consigliere della Suprema Corte di Giustizia Achille Rosica del 1856, apprendiamo che: "Potenza mancava poi in un Teatro, onde dare un sollievo ai cittadini e agli impiegati, occupati nell'intero giorno alle rispettive cura dei loro affari e delle loro cariche, on­de l'universale desiderio di a­ versi in questa città il cennato edificio…”

Fu così che i cittadini benestanti sottoscrissero titoli per la realizzazione del progetto, fra di loro il nostro Francesco e suo fratello Domenico.

Consacrato inizialmente a Ferdinando di Borbone, fu inaugurato nella visita del Re Umberto I a Potenza, questa volta dedicato a Francesco Stabile, giusta la delibera del Consiglio Comunale del 9 maggio 1866.

Fino al 1848, il nostro Maestro occupò inoltre la carica di Insegnante di musica nel Real Collegio potentino e andava componendo fra l'atro, da fedele monarchico qual era, un inno per il Re con i versi di Nicola Matta: " Per la fausta ricorrenza/ del 30 maggio 1830/giorno onomastico di S.M./Ferdinando II/Re del Regno delle due Sicilie/versi/del giudice della C.C. criminale/D. Nicola Matta/Mess'in musica dal Maestro/D. Francesco Stabile e  sotto 1 bei auspici‑dell'intendente/Cav D. Gaeta­no Colombo/Cantati/dagli a­lunni del Real Collegio di Po­tenza.

Siamo agli esordi degli animati moti risorgimentali che vedranno proprio Miglionico e Potenza in prima linea schierati per il lieto esito potentino del 18 agosto 1860; tra i protagonisti l'Avv Giambattista Matera detto il Paglietta, di Miglionico, che guidò la colonna insurrezionale partita proprio da tale centro alla volta di Potenza e Don Emilio Maffei, a capo del movimento rivoluzionario potentino che beffeggiò il succitato inno al Re musicato da Stabile stravolgendone il testo (Risposta alla canzone Matta).

Al periodo in cui Stabile occupava l'incarico di Maestro di Cappella della gentilizia chiesa potentina del Preziosissimo Sangue, possono essere fatte risalire alcune composizioni di carattere sacro, giusti gli insegnamenti zingarelliani, come il "Vespro" per coro ed orchestra, "Le sette salutazioni al sangue di nostro Signore Gesù Cristo" per due soprani, basso e pianoforte, la "Messa" per coro ed orchestra, la "Via Crucis" per due tenori, basso e pianoforte, le "Quindici litanie‑litania al Sacro Cuore di Gesù ­Litania pel Sacro Cuore" per tenore e pianoforte, per due tenori e basso e il "Libera me Domine" per due tenori, basso e pianoforte.

Luigi Ricotti nelle sue: "Memorie storiche delle vicende della Chiesa dell'ex Convento di S. Maria....", opera edita a potenza nel 1808, scrive: "La festa del Sangue di Cristo fu celebrata con una maggiore solennità fino al 1856, grazie sempre ai pii e virtuosi PP. Riformati…e perché la festa riuscisse splendida, massime in ordine della musica, la qua­ le era affidata al Maestro Francesco Stabile" e conti­nuando: "La festa del Sangue di Cristo con grande pompa fu sempre celebrata fino al 1856, quando, e per la morte del Maestro Stabile ...il culto cominciò a decadere".

Queste brevi riflessioni sono essenziali per capire come fosse ben in vista il nostro personaggio nel suo tempo e in una cittadina come Potenza, naturalmente creando intorno a se un seguito identificabile specialmente nella figura di Padre Nicola Maria da Laurenzana, valente musicista e arciprete nella diocesi aquilana. Non era comunque mai svilita in luii la passione per il teatro lirico, infatti dopo "Lo sposo al lotto" e la "Palmira", scrisse una incompiuta e mai eseguita dal titolo "Braccio da Montone", che nella drammaticità e nell'eroicità delle gesta del condottiero riflette l'opera patriottica rossiniana e verdiana.

L'intento dell'autore era quello di rappresentarla al Teatro S. Carlo di Napoli che gli aveva già arriso una certa notorietà giovanile con la messa in scena della Palmira e così riprendendo ì contatti con il compagno di studi, direttore della Biblioteca di S. Pietro a Majella, Francesco Florimo, indirizza a costui una lettera conservata presso la su accennala Biblioteca, datata 7 Settembré 1842; purtroppo però là sua richiesta non ebbe seguito.

Dell'ultimo periodo della sua esistenza si sa poco, le ultime sue composizioni furono il "Tantum ergo" e 1'1nno a San Gerardo",1'1nno a S. Antonio da Padova"e i "Responsi a San Francesco".

Si chiudeva di li a poco per tbc la sua esperienza terrena, era 1'll agosto 1860, il Florimo ricorda: "..il funerale fu fatto in grande stile, alla presenza di buona parte dei cittadini poiché il paese lo amava e lo stimava molto come uomo e come artista”…nel bicentenario della nascita… Gabriele Scarcia

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