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IL TRIBOLO DI MIGLIONICO HOME PAGE |
Articolo pubblicato nelle Notizie (sezione cultura) di Basilicatanet.it del 10 aprile 2002
Un oggetto d'arte diviene paradossalmente ed inaspettatamente più
desiderabile nel momento in cui si rimane depauperati della sua natura materica
per i motivi più svariati. Solo un'immagine fotografica, postulando che ne
esista una, ne può restituire una visione parziale che andremmo ad interrogare
infinite volte con le nostre riflessioni e con i nostri giudizi estetici. Gli
unici mezzi a disposizione rimangono dunque, in tale stato di cose, la facoltà
del discernimento visivo e la ricerca filologica che si dipana nei meandri del
contesto culturale e sociale dove un simile prodotto artistico possa aver preso
forma. Nell'ambito dell'oreficeria liturgica lucana, ricercheremmo senza
successo alcuno, il pezzo più autorevole sul piano formale e stilistico e più
venerando su quello temporale, essendo stato trafugato questo, nel 1975 dal
Convento francescano di Miglionico. I soliti ignoti infatti, nella notte del
30
ottobre dello stesso anno, misero a segno, magistralmente, un colpo mirato che
sottrasse alla chiesa conventuale rilevanti elementi d'arredo, fra cui statuine
lignee secentesche, croci argentee processionali e naturalmente l'oggetto tema
di questo articolo, un preziosissimo incensiere. Verticalità e lucentezza,
facevano del diafano tempietto un elaborato e trionfante gioco di pieni e di
vuoti; l'architettura metallica, che tradizionalmente risolveva la copertura dei
turiboli, oggi affidata, in ambito meridionale, a scarni esemplari in Ariano
Irpino, Andria, Sorrento, riluceva grazie alla frantumazione degli spazi e alla
complessità ritmica del disegno.
Una foto in bianco/nero, unica superstite, denuncia l'autorevolezza della
fattura, che sarebbe stata ascritta ad un imprecisabile maestro napoletano, se
un'ulteriore immagine del punzone non avesse scalzato tale ipotesi, a favore,
come pare confermare la tesi paleografica, di una marcatura di controllo tutta
materana. I1 periodo d'esecuzione sembra essere quello durazzesco, terminato con
la regina Giovanna II nel 1435 e che chiudeva la reggenza del primo ramo,
insediatosi dal lontano l266, della casa angioina. L'ipotesi più accreditabile
per la datazione è attestata, dunque, proprio in tali anni, se per un attimo si
considera che il complesso francescano di Miglionico custode del capolavoro fu
edificato con bolla papale "Merita Vestrae religionis" nel 1439. E' notorio,
anche, che ad assumersi gli oneri costruttivi furono gli abitanti del centro
lucano e i Sanseverino padroni del luogo e cessionari dell'antico castello di
Santa Sofia, primo nucleo abitativo per i fraticelli. Si può dedurre che gli
stessi anni della fabbricazione e la committenza della più potente famiglia del
Regno di Napoli, legata in modo particolare agli Angiò, potrebbero essere gli
ingredienti più stimabili che hanno permesso il modellare di tal prezioso
manutatto.
Formulando altre domande alle figure a nostra disposizione, si scorge
chiaramente, la base circolare sulla quale prende a sbocciare un breve collo
dove si erge una coppa emisferica sbalzata a marcate lunule. Su quest'ultima si
gonfia l'ardimentoso gioco dei pinnacoli increspati, dei timpani aperti, degli
archi intrecciati, tutti disposti su due piani a scalare in una terrninazione
allungata che si slancia verso l'alto a guglia. La luce, vera protagonista,
entra ed esce, dirigendosi con autonomia, infrangendo i trafori e gli
intercolumni e condividendo tale erosione degli spazi con l'incenso nelle
funzioni religiose. Una tipologia, questa, detta "a castello" con caratteri di
ascendenza gotica, che presuppongono precise conoscenze e conseguenti citazioni
dell'evoluzione dell'architettura rinascimentale, mantenendo inalterate le
formule sino addirittura al settecento, in ambiti culturali conservatori
naturalmente.
Ora, che il Convento francescano è in un aspetto larvale e la chiesa è impedita
al culto da oltre un ventennio, quella ragnatela baluginante resa da fitte e
delicate filigrane, non riluce più del suo splendore e non accompagna le
innumerevoli celebrazioni innalzando l'animo dei credenti verso l'alto mistero
dell'officio, lasciando intorno a sé spazio al vuoto, come solo gli oggetti di
gran valore e di rara bellezza son capaci di fare.
(Gabriele Scarcia).