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GIUSEPPE LEO SABINO

Perché bisogna salvarli prima che sia troppo tardi, ne rimangono solamente due esemplari a Miglionico
Gli ultimi «pagliari»

La Gazzetta del Mezzogiorno
10 Settembre 2007

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Pagliaio (Fonte: La rete)Miglionico - Pochi sanno che nel territorio del Comune di Miglionico sta per perdersi definitivamente un elemento paesaggistico di estrema importanza: si tratta del "pagliaro", singolare manufatto rurale  d uso di rifugio estemporaneo che i contadini erigevano nei loro poderi ove mancava la pur caratteristica casetta. Questi pagliari, di cui esistono soltanto due esemplari originali, un tempo pullulavano nell'agro miglionichese e soltanto nell'agro di quel comune, poiché non ci risulta esservene in nessuna altra parte d'Italia e forse anche del mondo, beninteso con quella forma e costruito col medesimo materiale. Venivano impiantati in luoghi asciutti e solatii, a forma di cono regolare, con l'ingresso rivolto a est, est-sud-est e messi su con la impareggiabile maestria di cui soltanto i nostri contadini sono capaci, tanto da sfidare qualunque genere di intemperie (tempeste di vento - qui il maestrale, chiamato ponente, è davvero impetuoso e violento - temporali, acquazzoni, vetustà, ecc.) e nessun contadino ha mai ricostruito alcun pagliaro dopo questi tipi di fenomeni atmosferici. Com'era costruito? Dopo aver scelto il posto adatto, in  posizione dominante rispetto al campo e non di rado addossato ad un albero, si spianava il terreno per avere un cerchio di circa tre metri di diametro lo si batteva per ottenere un piano compatto; si infìggevano nel terreno alcuni pali - una decina - e non tutti della medesima altezza, facendo sì che molti di essi si toccassero nella parte superiore; questa struttura che potremmo chiamare scheletro, si dotava orizzontalmente di una serie di cinture circolari in pertiche di olmo fissate a questi pali. Su dette pertiche si fissavano a cima in giù, con dei virgulti di ginestra o lentisco, a cominciare dal basso, dei fasci di cannetta nana già predisposti, (ne occorrevano 80/100 fasci); il secondo giro di fasci era sovrapposto al primo e con ciò si otteneva che i fasci avevano il bordo superiore disposto verso l'interno. Questo costituiva la "camicia" e quando la struttura era completata la si cospargeva di un leggero strato di paglia per otturare eventuali interstizi ed impedire all'acqua piovana di penetrare nell'interno del manufatto. Va detto che la scelta della cannetta nana non è un fatto casuale: la canna - ed anche la cannetta - ha la corteccia formata da una ibra compatta, resistente ed idrorepellente simile a quel prodotto commerciale denominato "formica" e questo garantiva lo scorrimento dell'acqua piovana, di scivolare giù e perdersi nel terreno. L'ingresso era a livello del piano calpestio (senza scalini), rivolto, come si è detto verso est o est-sud-est, l’altezza variava da un metro e venti ai due metri circa e rimaneva sempre aperto per evitare scassinamenti e per consentire a chiunque - anche estranei - di ripararsi in caso di temporali. Il pagliaro poteva raggiungere anche i sei metri di altezza ed era dotato di uno sfiatatoio- fùmaiolo centrale per la fuga del fumo, perché nel pagliaro si poteva accendere anche il fuoco con le dovute precauzioni. Ciò che si vorrebbe da chi di dovere, amministratori pubblici, enti pubblici ed anche privati, è che si facesse qualcosa di concreto per tentare di recuperare questo patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale, artistico ed antropologico, ma intervenire subito, diremmo immediatamente per diversi motivi fra i quali c'è quello determinante che esistono ancora coloro che sanno costruirli nella maniera corretta e secondo la tradizione. Poi, chissà.

 

Created by Antonio Labriola - 10 Luglio 1999 - Via Francesco Conte, 9  -  75100 Matera - Tel. 0835 310375