Il seguente testo è tratto da
Miglionico. Il territorio e la sua storia
La
cappella della SantissimaTemità, bella per i suoi affreschi
cinquecenteschi, è situata su uno spuntone di roccia
che si eleva su un prato di proprietà degli Stancarone, i quali vi
avevano tracciato un primitivo "acquedotto" attingendo l'acqua da un
breve tratto sotterraneo. Il tempietto è circondato da particolari cippi
di ulivo, erba santa del tipo fiorente a Metaponto e a Paestum nei
perimetri dei templi della Dea Giunone, misti a mentastri selvatici,
rucola, ginepro e corbezzoli. Tale cappella è testimone della differenza
sociale, anche nella cultura religiosa, tra la classe dei ricchi e
quella dei poveri. Infatti qui è particolarmente evidente la differenza
tra la via dei "signori" o di Santa Sofia e il tratturo dei "poveri" (Leogrande
M., In Lucania muore un cane,
Editore
Don Chisciotte, Milano 1953) che conduceva verso i campi e ricongiungeva
le terre di Miglionico con i ricchi agri di Montescaglioso, resi
ubertosi dai cosiddetti "poveri per voto" (i monaci benedettini). Le due
"povertà", quella dei contadini e quella dei religiosi, sono
rappresentate qui rispettivamente da due luoghi emblematici: la valle
dei templi (oggi la Temità) e il "salto del diavolo". La cappella della
SS. Temità è una piccola costruzione ricca di pregevole arredo pittorico
che esprime la realtà del Nuovo Testamento: la Trinità con il
Pantocratore, la Vergine in due atteggiamenti materni col bambino, uno
eretto e l'altro in trono con angeli provvisti di cembali. Le devozioni
sono qui rivolte ai Santi diaconi della comunità, S. Lorenzo diacono
romano e San Valentino, oltre che a San Sebastiano, San Pietro apostolo
e Sant'Antonio da Padova.
La tradizione popolare "povera" attribuiva ad una rinuncia, da parte di
tante ragazze che non riuscivano da una Pasqua all'altra a diventare "zita"
(sposa) , il taglio delle trecce che poi venivano appese sotto
l'affresco di San Valentino: un antico appuntamento delle "giuliette
miglionichesi". Ma non basta: anche per i chierici "poveri" (infatti ai
"ricchi" non era permesso di transitare per la
via dei "poveri") c'era l'abitudine di tosarsi portando poi una ciocca
dei propri capelli alla Vergine in trono, segno della perseveranza nello
stato ecclesiastico. Chi poi era diventata "zita" e aveva perduto il
privilegio della consegna delle trecce faceva un "pellegrinaggio votivo"
alla cappella sempre aperta (in
quanto
mancava la porta), compiendo il gesto di accecare un angelo del trono
per il "zito" cieco. In tal modo si giunse persino a privare dei tesori
visivi il celeste bambino e qualche santo a portata di mano. Questi riti
sono poi caduti in disuso dalla seconda metà del secolo scorso. Un altro
segno particolare di questa cappella è un graffito, datato 1626, in
lingua spagnola ben leggibile a scrittura gotica, rivolto ad una "bela"
e firmato da "un sottufficiale", probabilmente risalente al tempo dello
stanziamento di un gruppo di soldati spagnoli atti a proteggere il
passaggio del papa in questi luoghi. Il graffito è inciso su un'ala
dell'angelo presente accanto al Pantocratore. La festa di questa
cappella viene celebrata, con particolare solennità, nella domenica
della SS. Trinità dagli abitanti, oggi alquanto numerosi, di quel
quartiere in forte espansione. Spesso la celebrazione è presieduta dal
vescovo diocesano e la festa viene animata da canti, gare, giochi; tutto
ciò è necessario per attirare anche gli abitanti dal centro storico
verso i nuovi e moderni quartieri. È opportuno sottolineare che tali
incontri si concludono sempre "a tarallucci e vino" secondo la buona
tradizione paesana.
La cappella
della SS. Trinità di Gabriele Scarcia |