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ROCCO SCOTELLARO
di Giovanni Caserta
Scotellaro, il poeta della
libertà contadina - Caso letterario degli Anni
Cinquanta, denunciò miserie ed emarginazione del
Mezzogiorno
L'articolo è stato pubblicato
su L'Eco di Bergamo il 25 aprile 2003 |
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Il 19
aprile del 1923 nasceva Rocco Scotellaro. Sarebbe morto giovane, all'età di
trent'anni, il 15 dicembre 1953. Quest'anno, perciò, ricorrono, contemporaneamente
due anniversari: pochi giorni fa l'ottantesimo della nascita, a fine anno il
cinquantesimo della morte. Anche se oggi il suo nome dice poco, pure, negli anni
a cavallo tra il 1954 e il 1960, costituì un vero caso letterario, di cui
parlarono le cronache, la critica e il mondo intellettuale in genere,
soprattutto se interessato alla letteratura non solo, ma anche alla politica,
alla sociologia e alla antropologia. A creare un alone di leggenda contribuì non
poco il fatto che egli era comparso sulla scena culturale italiana come una
meteora; e, come meteora, ancora giovane e sconosciuto, era scomparso, a
Portici, stroncato da un improvviso infarto, del tutto inaspettato in un giovane
di appena trent'anni.
Il caso scoppiò all'indomani della sua morte, quando, uscita postuma la raccolta
di poesie E' fatto giorno , vinse il premio Viareggio 1954, in tempi in
cui il premio Viareggio godeva di grande credito. Curatore della raccolta era
stato, presso Mondadori, Carlo Levi, amico, mèntore e sostenitore del giovane
Scotellaro, anzi come amava dire lo stesso Scotellaro, suo «fratellastro». Che
si desse il premio ad un poeta morto non era molto «regolare», anche se lo
stesso premio era stato dato a Gramsci. Il tutto, però, va inquadrato in un
momento storico particolare, che era quello dell'immediato dopoguerra, in pieno
clima di neorealismo. Erano gli anni che cadevano all'indomani del crollo del
fascismo, mentre grandi speranze si accendevano sul futuro sociale ed economico
dell'Italia, e mentre il mondo era in attesa del sole del socialismo. E Rocco
Scotellaro fu socialista, militante, sindaco del suo paese, Tricarico, in
provincia di Matera. Lo era diventato nel 1946, ad appena ventitré anni, tanto
da vantarsi di essere il più giovane sindaco d'Italia.
Erano anche gli anni in cui la letteratura, abbandonato il chiuso delle
accademie e dei circoli, scendeva sulla strada, mescolandosi al popolo e urlando
insieme al popolo. Così si chiudeva la lunga stagione della poesia pura o
ermetica, chiusa in sé e chiusa ai bisogni della gente. La poesia ermetica o
pura, infatti, fu tutta rivolta a scandagliare l'io profondo, tentando di
portarne alla luce il mistero. Ma fu poesia consolatoria - disse Vittorini - e
non liberatoria. Scotellaro, invece, era allineato sugli esempi della poesia
spagnola e ispano-americana, tra Pablo Neruda, Rafael Alberti e Garcia Lorca, e
subiva il fascino della lontana poesia russa, che spesso era recitato in
pubblico. In lontananza, non priva di suggestione, era anche la figura del
rapsodo Omero.
La poesia di Rocco Scotellaro, dunque, assumendo a volte il timbro del comizio,
serviva a denunziare l'emarginazione di Tricarico e dell'intero Mezzogiorno, la
condizione di miseria dei contadini e dei disoccupati, l'angoscia delle donne
alla ricerca di pane per i propri figli e la rabbia dei braccianti che, guidati
dallo stesso Scotellaro, correvano all'occupazione delle terre. Si trattava di
problematiche che, in quei mesi, erano state cantate nei romanzi di Ignazio
Silone, Vasco Pratolini e Francesco Iovine; ma non erano ancora entrate nei
versi, perché non ancora avevano trovato posto tra rime e assonanze, consonanze
e strofe.
Il caso letterario era evidente e clamoroso, in un certo senso persino
scandaloso. Lo capì Carlo Levi, che per Rocco Scotellaro coniò la definizione di
«poeta della libertà contadina», vedendo in lui, fra l'altro, l'esecutore di un
suo progetto di rivoluzione meridionale. In un certo qual modo, si può dire che
Carlo Levi finì con l'adottare Rocco Scotellaro e farne un suo pupillo, non
appena lo ebbe conosciuto, nel 1946, quando era in giro per la
Lucania-Basilicata, a propagandare l'idea della repubblica nell'imminenza del
referendum. Rocco Scotellaro aveva allora ventitré anni; ma era già impegnato
politicamente e faceva versi che quasi improvvisava, trascrivendoli
immediatamente su un pezzo di giornale, su una scatola di cerini o di sigarette,
o anche su un manifestino di propaganda politica e sindacale.
Aveva aderito al partito socialista, iscrivendosi ad esso già il 4 dicembre
1943, a vent'anni; ma la sua formazione veniva da lontano. Essa ebbe il suo
primo impulso a contatto con la realtà del suo paese, fra i più depressi del
Mezzogiorno interno, in cui da secoli vigeva una condizione di subordinazione
dei più ai pochi, in un regime economico-sociale assai affine a quello
dell'antico feudalesimo. Le poche figure intermedie di avvocati e dottori
appartenevano a quel «galantomismo» meridionale, non meno corrotto e non meno
oppressivo dell'antica nobiltà terriera. Quel ceto Carlo Levi aveva indicato
come il ceto dei «luigini».
Benché la famiglia di Scotellaro non fosse poverissima e non propriamente
contadina, tuttavia era pur sempre in condizione di grave bisogno. Suo padre era
un calzolaio, che arrotondava le misere entrate del mestiere con la coltivazione
di qualche pezzo di terra. Era un uomo impulsivo, tendenzialmente insofferente
di ogni autorità e autoritarismo. In regime di fascismo, non accettò mai le
soperchierie dei gerarchi del luogo. Da giovane, per motivi d'onore, aveva anche
ucciso un rivale in amore, provando la galera; all'agente delle tasse buttò
addosso il panchetto su cui lavorava, mostrandogli il trincetto. Sul letto di
morte, gli si leggeva ancora il grido della rivolta.
Se dal padre Rocco Scotellaro aveva ereditato uno spirito inquieto e quasi
anarchico, della madre ammirò sempre il senso del dovere, la fedeltà al marito e
alla famiglia, l'amore per i figli, lo spirito di sacrificio, che la vide
impegnata a girare, per giornate intere, la ruota della Singer, con cui cuciva
le tomaie al marito calzolaio. Nei suoi confronti agiva un legame quasi edipico,
che era per il giovane poeta anche una sorta di freno e di condizionamento, di
cui gli sarebbe piaciuto liberarsi. Era perciò un rapporto di odio-amore, che
induceva il poeta ad esclamare, con gran turbamento dei suoi critici e lettori:
«Muorimi, mamma mia / che ti vorrò più bene».
Ma il momento centrale e determinante nella formazione di Rocco Scotellaro, come
avemmo modo di scrivere in anni lontani, fu l'esperienza che egli fece da
seminarista nel Convento dei Cappuccini, prima a Sicignano degli Alburni e, poi,
a Cava dei Tirreni. Fu nel muro di cinta dei frati, secondo una sua confessione,
che gli nacque l'amore per il proprio simile, visto come un fratello. Nacque la
cosiddetta «religione dei poveri», che, rimastagli anche dopo aver perduto la
Fede, lo fece approdare, in seguito, al partito socialista, con cui la sua via
era scelta. Il tutto avveniva all'interno e col supporto di una formazione
classica, che egli maturò nei licei di Matera, Potenza e Trento, ove, nel 1942,
conseguì la maturità classica.
Iscrittosi all'università, alla facoltà di giurisprudenza, non si laureò mai,
impegnato come fu nell'attività di sindaco, sindacalista, militante di partito e
promotore e guida nella lotta per la terra. Dalla politica, però, in cui fu
immerso con il candore dell'idealista, in quegli anni fortemente agitati e pieni
di contrasti si ebbe il carcere, ingiustamente accusato, dai suoi avversari, di
concussione. A Matera scontò quarantacinque giorni di carcere, nel 1950, a
seguito del quale, si dimise da sindaco, lasciò la politica attiva e si diresse,
in cerca di una sistemazione, presso l'Osservatorio di Economia Agraria di
Portici, diretto da Manlio Rossi Doria, amico suo e di Carlo Levi. In quei mesi,
successivi alla esperienza del carcere, la sua poesia, che era stata corale,
collettiva e rapsodica, e che aveva sostituito all'«io» il «noi», si raccoglieva
in una sorta di sconfortato canto, che Carlo Levi definì «del disamore».
Ricompariva l'«io» al posto o accanto al «noi».
Fu Carlo Levi, come si è detto, a curare la pubblicazione delle sue liriche,
che, raccolte dai suoi quaderni, furono selezionate, riviste e purgate di quanto
portavano di improvvisato, provvisorio e scazonte. Ne nacque un volume di
straordinaria novità di contenuti, ma anche affinata e di un limpido dettato.
Purtroppo il clamore suscitato fu la ragione per cui, con operazioni editoriali
continue quanto discutibili, si portarono alla luce testi e scritti di qualsiasi
genere, sempre incompleti e frammentari, perché attendevano quel lavoro di
elaborazione e di sistemazione che non ebbero mai, a causa della morte precoce
del loro autore. Uscirono, nel tempo, Contadini del Sud , inchiesta
sociale incompleta (1954), L'uva puttanella , abbozzo di autobiografia
(1955), Margherite e rosolacci, versi sparsi, editi e inediti (1978),
Uno si distrae al bivio , romanzo giovanile con racconti appena accennati
(1974), Giovani soli , tentativo di pièce teatrale (1984), che gli «amici
di Rocco», compreso lo stesso Carlo Levi, con molte forzature presentarono, non
come documenti per studiosi ed eruditi, ma come opere complete e di compiuta
poesia. L'evento editoriale «definitivo» per il crollo della fortuna di Rocco
Scotellaro fu, nel 1982, la pubblicazione integrale dei quaderni di E' fatto
giorno , riprodotti in copia, e quasi in forma diplomatica, come alternativa
e correzione all'opera curata da Carlo Levi, ormai scomparso.
Questa nuova edizione di E' fatto giorno , purtroppo, dette della poesia
di Rocco Scotellaro un'immagine assai diversa e molto lontana da quella
conosciuta per il tramite di Carlo Levi, poiché non teneva conto del fatto,
assai normale, e persino ovvio, per cui l'opera che conta è quella che esce
dalla casa editrice e non già quella presentata dal poeta. La nuova edizione di
E' fatto giorno , perciò, se da un lato aprì una vivace e interessante
querelle di natura filologica, dall'altro decretò la morte letteraria di
Rocco Scotellaro, che scomparve da tutti i manuali di letteratura e persino
dagli studi specifici riguardanti il Novecento. Questo silenzio si vorrebbe oggi
rompere, in occasione del cinquantenario della morte e dell'ottantesimo della
nascita; ma l'operazione di rilancio e recupero, se vuole avere successo, deve
partire proprio dalla riproposizione dell'edizione leviana di E' fatto giorno
, che ormai è opera di antiquariato e assolutamente irreperibile. Lì è lo
Scotellaro che conta: quello che può tornare a vivere, e che si conobbe per
primo e per vero.
Giovanni Caserta |
Created da
Antonio
Labriola |
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