“Prete
qual sono, sono anche interessato specificamente alle problematiche
dell'etica. Di economia, invece, so poco più di un padre di famiglia. Dicono
che conosca bene le presse del sovradebito e dell'usura che stritolano non
poche famiglie lucane. Non posso negarlo. Ma, a questa autorevole
pubblicazione, posso solo proporre minime riflessioni su etica ed economia.
Lasciando parlare la realtà effettuale, che rivela quelli che la chiesa
definisce "segni dei tempi". Cioè le sfide da affrontare, secondo etica ed
economia, per non nominare, pudicamente, il meglio.
La Enron, la più grande società elettrica del mondo, falliva giusto un anno
fa: gettando sul lastrico migliaia di dipendenti e di azionisti. Erano state
adoperate le "entità per fini speciali" (Special Purpose Entities) per
occultare un'immensa debitoria. Una frode fiscale. Complice la Andersen, la
società incaricata di controllare le registrazioni contabili e finanziarie
dell'Enron. E' caduta una torre dell'economia, attorno alla quale vociavano
l'individualismo e la competizione, l'interesse personale e l'avidità, e il
guadagno "hic et nunc". Questa bancarotta insegna:
1) I proprietari e i dirigenti devono essere rigorosamente indipendenti;
2) Gli incentivi, spesso, sono carote ingannevoli e pericolose;
3) I revisori devono essere veramente indipendenti;
4) La contabilità più che "creativa" (e bugiarda) è meglio che sia “umana",
cioè attenta allo spirito delle regolamentazioni che è etico. Il quale,
sempre, sfronda i benefici personali a vantaggio del bene comune;
5) Il clima etico deve estendersi a tutta l'organizzazione: pochi uomini
etici, il codice etico, ed erratici pronunciamenti etici servono a poco, se
non c'è la manutenzione corporativa della dimensione etica;
6) L'intera società deve entrare in un clima etico. Diversamente avremo
altre rovinose Enron. Sono le conclusioni tirate da Cristiàn Del Campo,
gesuita professore di Etica dell'impresa e di Etica economica a Santiago del
Cile. Si concorda?
Anche in casa cattolica è acceso il dibattito sulla globalizzazione, e, in
particolare, come debba essere vista dai cristiani. Si veda nel numero 12
della rivista "Jesus", la registrazione di un incontro con la presenza di
Gheddo, Monaco, Bartolomei e Zanotelli. In realtà è stato uno scontro.
Disaccordo sui numeri, pur prelevati dalla stessa fonte, che è la Banca
Mondiale; disaccordo sulla visione generale della miseria che affligge
moltissimi uomini; disaccordo nella lettura dell'azione dei cristiani;
insomma disaccordo, e buone volontà ostinate sulle proprie posizioni, e il
fischio dell'inefficacia politica che consegue alle divisioni. Tuttavia,
leggendo e rileggendo il difficile dialogo, mi sembra di capire che, oltre
le contrapposizioni dialettiche, si può concordare su alcune cose:
1) La spaccatura fra Nord e Sud, ficchi e poveri, alfabetizzati e non
alfabetizzati, popoli in pace e popoli in guerra, liberi e oppressi, esiste
ed è intollerabile;
2) Il problema non è solo che cosa fare "per" i poveri, ma che cosa fare
"con" i poveri;
3) Il Cristianesimo non coincide con l'ethos dell'Occidente, ma con il
Vangelo; solo se mutati dal Vangelo, noi possiamo essere "con" i poveri e
"per" i poveri;
4) L'apporto del Cristianesimo vissuto deve e può affiancare tutte le forze
positive che si schierano “con” e “per” i poveri;
5) Questo innumerevole “noi” deve anche adoperarsi perché l'ordine politico
ed economico internazionale si rinnovi davanti alle sfide della
globalizzazione.
Mi chiedo perché, sulla stampa locale, non si parla dell'imprenditoria
lucana vincente. Si, alcuni nomi di imprenditori vanno per la maggiore. Ma
gli altri? Tutti "nessuni"? Quanti ce ne sono, accasati in un meritato
successo? Possibile che non venga in mente a qualche giornalista di andare a
scovarli, a osservarli, a mccontarli in maniera sistematica? La loro
umanità. I legami con il loro territorio. Se hanno il senso della comunità e
dell'appartenenza. Come coniugano il passato, il presente e il futuro. Se
hanno i piedi in Lucania, e la testa nel mondo. Se sono all'altezza dei
problemi della globalizzazione. Se, dei dipendenti, hanno saputo fare una
famiglia. Come sposano intelligenza creativa e fatica manuale. Qual è stato
il loro punto di partenza le svolte più significative del loro percorso.
Quali traguardi ancora intendono raggiungere. A chi passeranno il
“testimone”. Senza dubbio, tali storie, registrate con larghezza
costituirebbero il miglior corso possibile di arte imprenditoriale. Del
tutto gratuito, ma redditizio. “Exempla trahunt” sostenevano gli antichi.
Dopo un decennio di impegno nel campo della cultura anti-debito e
anti-usura, e, soprattutto, del soccorso, posso contare le stigmate che mi
provengono sia dalla malizia dell'illegalità sia dall'avventatezza della
legalità. Non me ne rammarico più di tanto. Per me conta solo il bene che,
nonostante tutto, si è fatto largo fra le mie vicissitudini. Non sono
attaccato nemmeno alla bandiera che ho innalzato fra i primi in Italia.
Forse è arrivato il tempo di passarla ad altri. Ormai ci sono altre strade
che attendono di essere percorse. Tuttavia mette conto compendiare la
lezione più essenziale che ho appreso: né lo Stato, né la Chiesa, né le
banche, né l'informazione, né il volontariato più incondizionato potranno
sottrarre un uomo al sovraindebitamento e all'usura, se, prima di tutto,
tale uomo non si raddrizzerà da sé e non produrrà una decisione morale, che
possa contare sul sostegno di una cordata esigente di familiari o amici. La
liberazione può sorgere soltanto dalla conversione delle persone. Mi si
creda: molti piangono, ma non vogliono rinunciare a nulla. Non ho presente
un solo caso in cui l'indebitamento sia avvenuto per una ragione “pura".
Avidità e infantilismo, mancanza di buon senso economico e gravi imprudenze,
cecità e pervicacia precipitano gli uomini nel sovraindebitamento e
nell'usura. E vederle le facce toste di quelli che piagnucolavano, di quanto
arzigogolìo sono capaci per giustificare altre morosità e, addirittura, i
mancati rimborsi! E' la penuria di etica che causa la penuria di economia”. |