Dio
mio, fragile, addormentato fra le mie braccia,
figlio mio, così caldo sul mio cuore in subbuglio,
stupìta,
adoro fra le mie mani e cullo
il prodigio che mi hai donato, o Dio.
Dio
mio, non avevo figlio,
vergine come sono, in questa povera condizione,
quale
gioia in fiore da me poteva nascere?
Ma tu me l’hai donata, Onnipotente Dio.
Che cosa ti darò in cambio, perché sopra di me è scesa
la tua grazia? O Dio, sorrido sommessamente:
anch’io, umile e sprovveduta,
avevo
una grazia e te l’ho donata.
Dio
mio, non avevi bocca
per parlare alle genti perdute di quaggiù…
la bocca di latte attratta dal mio petto,
figlio
mio, io te l’ho donata.
Dio
mio, non avevi mani
per sanare con le dita i loro corpi logori…
e
mani, gemme chiuse, rose ancora timide,
figlio
mio, io te le ho donate.
Dio
mio, non avevi carne
per spezzare con essi il pane del convito…
la
carne tenera da me plasmata,
figlio mio, io te l’ho donata.
Dio
mio, non avevi morte
per
salvare il mondo… O dolore!, laggiù,
la tua
morte d’uomo, tenebrosa e derelitta, una notte,
piccino mio, io te l’ho donata.
(traduzione Padre Basilio Gavazzeni)
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