Home Page In ricordo di Don Antonio Fragola
di Vincenzo Verrastro
Don Antonio FragolaLa sera del 21 febbraio, quasi improvvisamente, si spegneva in questa casa che aveva diretta per tanti anni, Don Antonio Fragola. Se ne andava al Padre in punta di piedi, come aveva desiderato, senza dare molestia ad alcuno: neppure ai confratelli. Lasciando però in quanti lo avevano conosciuto un grande vuoto ed una tristezza profonda. E noi, a distanza di un mese, ci raduniamo sta- sera intorno al suo ricordo per il cristiano suffragio e per esprimere una nostra grande esigenza di gratitudine. La gratitudine di tutta la nostra comunità cristiana che in lui, per tanti anni, ha visto un testimone autentico di fede. Di quelli che hanno da lui ricevuto, per lungo tempo, la luce della grazia o il materiale sostegno nella vita. Di quelli che hanno realizzato se stessi e la loro esistenza sulle strade aperte dal suo zelo e dalla sua umana iniziativa.

Vuole questa, peraltro, essere anche un'occasione per manifestare il nostro sincero apprezzamento di cittadini lucani all'Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia a ed alla Famiglia dei discepoli cui Don Fragola appartenne, per l'azione benemerita da esse svolta in campo civile e religioso in favore della nostra società, ed in particolare, della nostra gioventù. Un’azione penetrante e costruttiva, coraggiosa e moderna di riscatto morale e materiale, nonché di crescita umana, nella quale Don Fragola ebbe una collaborazione primaria per le sue singolari doti d’ingegno, per il carattere schiettamente lucano dei suoi sentimenti, per il suo trasporto generoso ed illuminato al servizio dell’ideale. Risale al 1919 la prima istituzione assistenziale al 1919 la prima istituzione assistenziale a Potenza di P. Semeria e P. Minozzi. Al 1925 la fondazione dell’Istituto Principe di Piemonte in questi locali, Istituto che, in cinquant’anni di vita è stato un’autentica fucina di giovani dotati di preparazione e fiducia che hanno riempito la nostra società, operando dal suo interno per la sua civile e sociale trasformazione-rigenerazione.

Foto: dalla reteNel 1919, all'indomani del primo grande flagello mondiale che tanti lutti aveva seminato nelle famiglie lucane tanti bambini aveva privati per sempre dell’affetto paterno, in queste contrade ancora impervie e inaccessibili, erano penetrati, solo sospinti da un ardore di solidarietà, i due sacerdoti che sul fronte avevano deciso di dedicare la loro vita alle vittime morali e materiali della guerra: portando nelle regioni più povere e diseredato d'Italia un Fermento ardirmentoso di ricostruzione morale e civile. E furono qui ad aprire asili ed a fondare istituzioni di assistenza, a diffondere la scuola ed a dischiudere l'avvenire a migliaia di giovani intristiti dalla sventura. Avevano compreso quei coraggiosi l'aspetto morale del problema del Mezzogiorno oltre quello economico e politico, Aveva compreso in particolare Don Minozzi, che « alla radice della questione meridionale stava, come condizione necessaria alla soluzione di quel cumulo di problemi, un'esigenza di educazione morale, civile, religiosa delle popolazioni ». “Che il Mezzogiorno doveva tornare a credere in se stesso, vincendo la sfiducia scettica e l’apatia doveva risorgere con l’aiuto dei suoi figli pieni di talento e di laboriosità costretti invece ad emigrare”. A distanza di 50 anni possiamo constatare che quel programma ardimentoso è stato egregiamente svolto con l’apporto di sacerdoti lucani come Don Antonio Fragola e che, di conseguenza la società di Basilicata ha motivi grandi per manifestare apprezzamento e gratitudine. Ed è lieta di esprimerli questa sera in presenza del suo Superiore Generale, Don Romeo Panzone che ci onora della sua presenza. Prima di addentrarmi in questo breve discorso rievocativo, vorrei, intanto, premettere che la mia è una ricostruzione tutta personale della figura di Don Fragola. Sui dati anagrafici raccolti e su quelli precisi delle vicende della sua esistenza terrena io ho ricostruito, attraverso le mie personali conoscenze la figura morale e spirituale di una persona per la quale ebbi grande ammirazione, cui mi legarono vincoli di sincero affetto.: anche a causa della lunga consuetudine di vita che ebbi con lui fin dagli anni della mia giovinezza, quando in questo Istituto anch’io, come dirigente della GIAC, venivo a frequentare tre giorni di formazione e di cultura. Io vi dirò, pertanto , come ho visto questo nostro sacerdote: come lo sento nella mia anima. Antonio Fragola nacque a Montemilone il 25 Dicembre 1909. La guerra gli rapì il padre quando aveva sette anni. Evento che segnò il cammino della sua vita. Un anno dopo, nel 1917, ebbe inizio il suo peregrinare fuori di casa, lontano dalla mamma e dalle sorelle, sempre di orfanotrofio in orfanotrofio, portandosi dietro il malinconico bagaglio di un’adolescenza senza focolare. Fu ricoverato, come organo di guerra, nell’orfanotrofio di Avigliano. Un vecchio convento domenicano adibito dai Borboni come ospizio degli orfanelli.

Freddo ed antico nella mura c nei sistemi educativi: dove i bambini, sottratti all’angustia della famiglia, venivano allevati in povertà e modestia strumentale. Frequentavano una scuola elementare interna abbreviata ed apprendevano un mestiere: calzolaio , sarto, falegname, fabbro. In aggiunta, chi ne Aveva talento, imparava la musica ed entrava a far parte di una banda che. nel la stagione girava per i paesi in occasione delle feste patronali e concorreva alle poche entrate dell'Istituto. Rudimentale l’istruzione, un po’ più curata la formazione del mestiere: assente ogni didattica o tecnica pedagogica che non fosse quella del modesto personale di custodia o e di vigilanza non sempre fornito neppure della cultura elementare. Un Istituto nel quale il peso della sventura veniva doppiamente sentito il senso dell’emarginazione. segnava la psiche degli adolescenti. Il nostro giovinetto vi rimase sei anni e frequentò l’officina di falegnameria-ebanisteria, all’epoca magistralmente diretta dal Maestro Rocco Rosiello che di lui ebbe sempre ammirato ricordo.

On. le Vincenzo Verrastro (Foto: dalla rete)La permanenza in questo orfanotrofìo incise profondamente nella vita del giovinetto, il quale dovette certamente avere un grande spirito di adattamento. Lì apprese così belle il dialetto che continuò poi a portar!o per tutta la vita, meglio di quanto non sappia fare io oggi che pur sono nato e cresciuto in quel paese. Lo colpì la ricca e vivace aneddotica locale ed in particolare gli rimasero impressi i racconti della tradizione popolare che sentiva narrare dai cosiddetti prefetti »: uomini modesti del popolo che svolgevano il compito di custodia e di vigilanza sui ragazzi. Racconti che egli mi disse una volta di avere incominciato a scrivere per non farli perdere con il tramonto della sua generazione. Intanto nel 1921 P. Semeria e Don Minozzi avevano ufficialmente fondata l'Opera Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia, « ente morale con lo scopo immediato d'assistere gli orfani di guerra dell'Italia Meridionale e insulare e, nei suoi ultimi fini. per l'assistenza morale e civile alle popolazioni del Mezzogiorno d'Italia mediante tutte le forme di attività che le condizioni di ambiente e di tempo avessero man mano suggerito” La provvidenza fece entrare nell'orbita dei due apostoli quest'anima che intristiva come un fiore in quel luogo calore e senza prospettive. Fu la sua vita: quella nella quale gli si sarebbe realizzato nella pienezza. Lasciò nel 1925 l’orfanotrofio di Avigliano e Don Minozzi che nel suo geniale intuito dovette leggere negli occhi e nel cuore di questo giovinetto, lo mandò ad Amatrice il primo istituto da lui aperto. Di li dopo alcuni anni, a Firenze per frequentare la scuola d’Arte e poi l'Accademia. Ogni anno lui conseguiva premi-viaggio e percorreva l’Italia conoscendone le bellezze naturali ed i monumenti. Viveva sereno e studiava, sempre affezionato ai suoi cari ed alla sua terra. Fu in questo periodo che sì maturò la sua vocazione al sacerdozio.

Una vocazione venuta al termine dei suoi studi: quando prospettive di occupazione o di carriera non gli mancavano. Una vocazione nella quale io ritengo che abbiano concorso le esperienze sacrificate della sua adolescenza con In maggiore interiorizzazione dei sentimenti che esse producono: la serenità di una vita giovanile fatta di semplicità e naturalezza; il fascino della grande personalità morale di Don Minozzi, nonché il trasporto per un ideale di vita che tra i rovi della sua adolescenza malinconica era venuto su come un fiore: l'ideale di dedicare la sua vita agli altri. Quelli che aveva incontrati lungo le difficili esperienze della sua vita: ragazzi poveri, morsi dalla Miseria e dal dolore. Quelli che aveva conosciuti negli orfanotrofi: senza ancoraggio nella vita: nè materiale, nè morale. Quelli del Mezzogiorno d’Italia particolarmente Emarginati ne contesto di una società arretrata. Giovani in cerca di un tetto di un cuore, di un Ideale.

E così fu sacerdote. Discepolo Educatore SACERDOTE Come sacerdote fu esemplare per pietà: soleva dire che l'amore di Dio è la spina dorsale dell'amore del prossimo: a spiegare la tenacia e il sacrificio dell'impegno quotidianamente svolto in favore del prossimo. Esemplare per fedeltà alla dottrina ed alla gerarchia. Uno di quei sacerdoti senza incrinature dottrinarie, pur non essendogli estraneo tutto il travaglio culturale cattolico del periodo conciliare e postconciliatore. Fu un sacerdote sereno: di quella serenità che deriva sia dalla limpidezza della scelta maturata in piena libertà: senza drammi e quindi senza rimpianti: sia dalle certezze soprannaturali che alimentavano il suo zelo ed il suo impegno quotidiano. Fu carico di umanità: come tale, seppe comprendere, avere pazienza e attendere.

Ricordo i suoi discorsi nei quali il richiamo a Dio era sempre riferito più alla paternità di Dio che non al Dio giudice. Pur essendo religioso, fu aperto all'apostolato esterno: predicò, confessò; fu parroco. In particolare comprese l'importanza dell'apostolato dei laici nella Chiesa e della loro testimonianza di fede nella società civile. E per questo mise a disposizione il suo Istituto per « tre giorni ", corsi di formazione, esercizi, settimane di cultura per l'A.C., e lui stesso partecipò a tanti di questi corsi. Il Principe li Piemonte divenne così un centro di formazione spirituale, particolarmente giovanile. E lui viveva in mezzo a quei giovani con la giovialità del suo carattere, con la ricchezza della sua aneddotica, con l'interiorità della sua anima. Trasse dall' Eucarcstia la linfa per il suo apostolato. Ouando io gli chiedevo dove fosse il segreto di tanta fecondità iniziativa e di presenza egli soleva rispondermi che l'ancoraggio era nella messa mattutina: centro della vita interiore e scaturigine di di ogni impegno operativo.

Il sacerdozio fu la sintesi dei valori della Sila vita. Quando l'età e la malferma salute incalzavano egli ripiegava su se stesso a riconsiderare tutta la sua vita. Sentiva allora più pressante il dovere di intensificare il suo apostolato, per riempire di maggiori valori la sua esistenza; voleva per ciò rimettersi e lavorare di più e raccogliere più frutti e presentarsi a Dio con più attivo. Vedeva, come chi si approssima alla fine della giornata. la grande sproporzione tra il poco realizzato e l'immensità degli orizzonti idealmente abbracciati all'inizio del cammino: il grande campo ancora aperto e le poche energie in esso impegnate; sentiva l'urgenza di non lasciar morire una sola particella della vita così breve: un filo d'acqua destinato a presto esaurirsi. Ebbe profondo il senso della Provvidenza e il distacco dai beni materiali. Quante volte, nei momenti di difficoltà, mi ha confidato di non aver mai perduto la fiducia e di essere stato sempre da Dio ripagato con generosità.

COME DISCEPOLO. Fu molto attaccato alla sua Congregazione: ci teneva a dire di essere un frate. Legato da affetto ai suoi confratelli, era a sua volta da loro molto stimato. Gli era sempre presente quanto P. Minozzi ave- va scritto circa i legami che Ì«Discepoli» avrebbero . dovuto coltivare tra loro nella Famiglia religiosa: « Prima ancora che nel suo particolare fascino mistico, nella sua ricchezza carismatica, nella sua forza elevatrice, nel suo slancio divino, nel suo in- timo ardore, nella crollante fiamma animatrice che ne investe tutta I' unità organica facente capo al Cristo, amarla occorre la convivenza religiosa, nel suo valore naturale di comunione fra uomini, in quel recripoco aiutarsi, fianco a fianco, cuore a cuore, nel mettersi insieme per un lavoro comune, unirsi per un viaggio lungo al lampeggiar della tempesta; amarla nella sua normale missione di mediazione spirituale e materiale; amarla con quella gelosa e pudica tenerezza di che le anime nobili circondano il focolare domestico »,

Costruì, potenziò e valorizzò case, asili ed istituti per I'espletamento della missione dell'Opera nel Mezzogiorno. Le più lunghe cure furono dedicate all' Istituto Principe di Piemonte di Potenza. Nello spirito del Fondatore le case e gli istituti rispondevano a criteri di modernità e di funzionalità. P. Minozzi aveva affermato che l'educazione doveva essere intesa come un'opera di bellezza. I locali pertanto dovevano essere spaziosi e pieni di luce, inondati di sole da mane a sera e lindi. In netta antitesi con i ricoveri o gli ospizi del passato, dove la tristezza e lo squallore dell'ambiente incupivano l'anima dei giovani, facendo loro sentire più gravoso il peso della segregazione sociale. Fedele alla regola ed allo spirito di religioso stette all'obbedienza anche quando questa poteva pesargli sotto l'aspetto affettivo. E girò per varie case, con compiti ed impegni diversi, a seconda che la volontà dei Superiori riteneva di volerIo utilizzare. Fu così ad Amatrice, ed a Matera, a Palermo do- ve fu collaboratore apprezzato del Cardinale Ruffini ed a Milano dove fu collaboratore dell'allora Cardinale Montini, svolgendo la sua opera particolarmente tra i meridionali emigrati nella capitale lombarda. Fu quindi a Bovino e a Cassino. Fu questo suo vagabondaggio lungo che logorò innanzi tempo la sua fibra ben robusta. Da ogni dimora lontana era felicissimo quando poteva ritornare nella sua terra dove i legami del passato lo richiamavano e dove lo attraeva la tenera venerazione per la vecchia madre in attesa. Fu nel Mezzogiorno quello che P. Semeria e P. Mìnozzi avevano sognato: un meridionale capace di divenire nella sua società un fermento di rinascita e di rigenerazione civile. Come tale egli seppe in modo autentico interpretare il messaggio di solidarietà tra i giovani pro- vati dalla sventura materiale e morale. Diede un tetto a chi lo aveva perduto. Un affiato di famiglia a' chi lo aveva visto dissolto. Un ideale a chi era stato rapito nel soffio della bufera. La mia esperienza di professore e di capo d'Istituto mi ha messo per lungo tempo nella condizione di conoscere il grande bene da lui compiuto a tante generazioni di giovani il cui destino certo sarebbe stato diverso se non fossero entrati nell'orbita della sua azione.

L'EDUCATORE. Don Fragola fu un bravo educatore. Il meglio della sua opera l'ha scritta nell'anima dei suoi giovani come maestro e come guida alla vita. Alcuni caratteri salienti del suo sistema educativo li posso desumere dall'esperienza e dalla mia consuetudine con i suoi giovani. Educò alla sincerità ed alla schiettezza: era deciso nemico degli infingimenti e delle ipocrisie. Ebbe profondo il senso umano e la grande comprensione dell'animo giovanile colpito dal dolore e dalla privazione affettiva. Sincerità e lealtà erano il binomio base su cui costruiva, senza forzature, la formazione morale dei suoi giovani.

E lo stesso anche la base della formazione cristiana che egli voleva improntata ad un cristianesimo dagli occhi limpidi e dal cuore pulito. Colloquiò con i giovani senza mai collocarsi in cattedra; con franchezza ed immediatezza e li seguì, anche fuori le mura dei collegi, nelle loro vicende personal i e familiari. . Sarà forse cosa utile raccogliere tra i giovani le sue lettere, mezzo anch'esse di educazione.

ESEMPIO DI SENSO CIVICO. Fu un chiaro esempio di alto senso civico quando, come cittadino di una società arretrata qual'era quella in cui era stato e nella quale si era impegnato a lavorare, si pose al servizio della scuola e dei giovani: della promozione umana e del rinnovamento sociale. Aprì e consolidò asili nei paesi ed opere varie di assistenza. Istituì scuole: si deve a lui la prima scuola media a S. Maria, a lui si devono il primo istituto Tecnico ed il primo Liceo Scientifico a Potenza, quando ancora era assente un' iniziativa dello Stato. Al suo spirito aperto l'organizzazione di manifestazioni culturali, ricreative o sportive. E fu un esempio di virtù civili oltre che di solidarietà umana quando, nelle ore buie della disfatta, mentre crollavano i quartieri e le macerie avvolgevano le membra umane dilacerate dai bombardamenti, nel settembre sanguinoso del 1943, egli si dedicò al soccorso dei fratelli sofferenti; spalancò le porte del suo istituto ai feriti e trasformò il collegio in ospedale: prodigandosi, con i pochi eroica- mente rimasti in città: a dare sepoltura ai morti e cure ai feriti. Testimonianza di: Coraggio, solidarietà e sacrificio. La sua vita può ben dirsi che fu una testimonianza di solidarietà umana e cristiana avendo fatto suo il motto di P. Semeria «A fare il bene non si sbaglia mai». trasposizione moderna dell'agostiniano «Ama et fac quod vis», La scelta per i poveri fu per lui una scelta di vocazione: collegata al Vangelo, aliena da ogni ostentazione.

Quella stessa per la quale P. Minozzi aveva scritto: « in ogni casa i più poveri sono e devono essere i primi, i veri padroni: gli altri sono ospiti loro; fratelli, carissimi fratelli, ma ospiti della loro carità, ospiti di Dio che nella carità si disvela a noi », Non ci fu bisogno per lui, come non c'era stato bisogno per P. Minozzi e non c'è ancora bisogno per i tanti che operano nelle istituzioni dell'Opera, di attendere le pseudo suggestioni del messaggio marxista per essere spinti alla scelta per i poveri. Operò in concreto per i diseredati, dando loro una collocazione nella vita e costruendo al tempo stesso nella loro coscienza il senso della dignità dell'uomo e quello della visione cristiana della vita. Operò con i fatti per realizzare tanti uomini liberi nella società civile: liberi dal bisogno, dalla ignoranza, dalla superstizione e dai complessi della infelicità. Tutto questo fu costruito dalle sue virtù morali, sorrette, da particolari doti umane . Egli ebbe, infatti, un' intelligenza vivida e lo. parola facile e persuasiva; una cultura profonda ed una capacità di trasformare la stessa in sorgente di ammaestramento. Conosceva benissimo il Manzoni il cui mondo era per lui quasi una miniera cui attingeva per le sue osservazioni e le ri flessioni nei suoi discorsi. Ebbe un portamento dignitoso e distinto: e fu esemplare per la sua discrezione nel chiedere: ed egli aveva il dovere dei poveri di chiedere. Ma non chiedeva mai per sè. Signori, ogni uomo lascia con la sua vita un segno nella sto- ria: di bene o di male, più profondo o più superficiale, a seconda delle virtù e dei vizi di cui ha caratterizzato le sue azioni nel tempo. lo ritengo che, dinanzi ad ogni vita umana che si è spenta sia dovere di chi rimane di pensare: di ricordare e di valutare. Perchè ognuno nella sua storia ha detto qualcosa. Per noi cristiani in particolare. Per questo motivo ha un significato importante il nostro incontrarci di questa sera, a trenta giorni dalla scomparsa di un amico e di un benemerito della società. Esso non è retorico, non è ostentativo, ma vuol rispondere ad una esigenza della nostra anima che sente di dover ricordare uno che ha speso bene la sua vita, che ha evangelicamente fatto fruttare i talenti ricevuti da Dio: che ha dato qualcosa di sè, della sua vita, del suo dolore alla causa comune: che ha saputo testimoniare come cristiano e come cittadino. Dinanzi ad un fratello che/parte, è dovere altresì di chi rimane di raccogliere e di trasmettere. In tempi in cui il bene sembra quasi sommerso nella nostra società dalla valanga del male che fa notizia fino alla morbosità, noi sentiamo che vanno sottolineati, esempi come questi di dedizione umana, di immolazione per gli altri, di fedeltà al proprio ideale civile e religioso. Non tutti purtroppo nella Chiesa le sanno più vedere queste cose. Assetati di giustizia, non tutti oggi sentono la superiore dimensione della carità che integra, supera e dà un valore alla stessa giustizia. Sarebbe riduttivo chiudere nel solo cerchio del- la giustizia l'odierna tensione dell'uomo.

La vita di Don Fragola ci dimostra che non tanto di predicatori di giustizia, pur necessari, ha bisogno la nostra società, quanto di operatori dì carità.  On. Vincenzo Verrastro

Created da Antonio Labriola