«Tra cielo e terra» di
don Maurizio Chiodi, docente di Teologia
morale alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale e alla Scuola di
Teologia del Seminario di Bergamo, è stato presentato il 15 maggio dal gesuita
Carlo Casalone presso la Libreria Buona Stampa.
Diciamolo subito: Tra cielo e terra, l'ultimo libro che don Maurizio Chiodi, è
un libro di grande impegno. Un libro per «addetti ai lavori». Ma il suo merito e
pregio come segnala già il sottotitolo "Il senso della vita a partire dal
dibattito bioetico" - è quello di riportare al centro dell'attenzione una
domanda decisiva per tutti: la domanda sul vivere e sul suo senso. Ci accostiamo
con fautore ad alcune delle questioni affrontate.
La riflessione etica suscitata da questioni molto discusse - eutanasia,
procreazione assistita, cura della salute ecc. - dà spesso a vedere una sorta di
scissione tra pensiero e vita, come se la vita fosse un oggetto, qualcosa su cui
si esercita la libertà dell'uomo. È legittimo? Cos'è propriamente la vita?
«Per quanto possa sembrare paradossale, quasi mai in bioetica si è realmente
discusso sull'idea di vita. Tutti presi, gli studiosi, dagli urgenti problemi
che lei ricorda, hanno lasciato sullo sfondo la questione della vita. Ciò è
avvenuto sia tra i sostenitori della cosiddetta qualità della vita - per i quali
la vita (intesa in senso biologico) non ha valore in se stessa, ma è degna di
essere vissuta Solo se i benefici sono più dei danni - sia tra i sostenitori
della sacralità della vita, per i quali non si può ridurre la vita (sempre in
senso biologico) a oggetto di calcolo utilitaristico. Ebbene, entrambe le
posizioni muovono da una riduzione.biologica della vita e non affrontano la
questione radicale: che cos'è la vita? Il mio libro tenta di superare questa
riduzione mediante una conversione di metodo, riconoscendo cioè che il soggetto
è implicato nella domanda: quando io mi interrogo sulla vita, ne va di me, mi
interrogo su me stesso; più radicalmente: mi interrogo sul senso. E proprio la
nozione di senso della vita è la svolta necessaria per un approccio non
cosificante nei confronti della vita»
La questione del senso è al centro del suo libro, dove si segnala, con esemplare
nitidezza, che la questione morale di fondo si concentra in poche, ineludibili
domande: «Qual è il senso della vita? C'è qualcosa per cui valga la pena
spendere la vita?». Da dove matura questa sua convinzione, specie in un contesto
culturale per il quale parlare di senso della vita suona, nella migliore delle
ipotesi, ingenuo, se non addirittura obsoleto?
«L'atteggiamento che lei segnala come caratteristico della nostra cultura è
molto interessante, e tuttavia tra i problemi nuovi e specifici che proprio
questa cultura pone, ve ne sono almeno due che rendono problematico e insieme
urgente porre la questione del senso della vita. In primo luogo, la questione
della tecnica, cd suo enorme sviluppo di applicazioni anche in rapporto alla biomedicina e alla bioingegneria. La tecnica ha permesso straordinari progressi,
ma rischia di occultare il senso del limite in ordine sia al nascere sia al
morire, mentre la condizione dell'uomo è sempresegnata da un confronto ineludibile
con il proprio limite; l'eutanasia e l'accanimento terapeutico sono
sintomatici di questa tentazione. In secondo luogo, va presa in
considerazione la questione della nausea, della stanchezza del vivere,
esperienze che pur essendosi enormemente ampliate le possibilità del
benessere - stanno paradossalmente aumentando in Occidente. Ebbene
tanto la tecnica quanto la nausea fai mo riemergere, sia pur in negativo, la
questione del senso: l'una inducendo a interrogarsi sull'agire e sulla
responsabilità dell'uomo, l'altra mostrando la necessità di trovare ragioni per
vivere».
Nulla ci appare più vitale di un senso, nulla ci appare più inafferrabile della
sua sostanza. Come pensare e dire il senso?
«Compito del pensiero è mettere in evidenza che nella vita è anticipato all'uomo
un senso il cui compimento non è garantito senza o senza il consenso, cioè senza
la decisione con cui la libertà si affida a una causa che le appare
incondizionatamente degno della sua decisione. C'è un senso che è anticipato e
questo senso appartiene all'esperienza radicale di me».
Potrebbe esemplificare come questo accade nella vita di tutti?
«Il senso buono della vita è donato, anticipato, mediante esperienze che ci
costituiscono e senza le quali noi non saremmo. L'esperienza buona della vita è
sempre legata alla relazione con l'altro e nelle esperienze di legami buoni
viene sollecitata la mia stessa volontà di poter vivere, scegliere e dedicarmi.
Paradossalmente, anche nell'esperienza di una cattiva relazione con i genitori -
pensiamo a un figlio rifiutato, poco amato - la protesta verso costoro è
protesta verso il non mantenimento di quella promessa che era stata fatta con
l'atto stesso del mettere al mondo. La vista come esperienza di grazia appare
così nell'esperienza come a tutti gli essere figli».
La sua riflessione fa perno su quella che lei ritiene un'esperienza comune a
tutti: il sentirsi permanentemente raggiunti da una possibilità di bene che si
offre come senso e compimento per la propria vita e desiderio, un bene-senso cui
è dato accedere solo mediante un «sì» vissuto alle mille circostanze e
situazioni in cui..., poi dalla mente. Le chiedo: se vivere è
un'esperienza di grazia, la vita è allora di natura sua religiosa, eventualmente
anche a prescindere da specifiche determinazioni confessionali?
«Nell'esperienza umana - in quanto esperienza di una grazia che interpella la
libertà a volere - si manifesta un legame all'Origine unica, a Colui che sta
all'origine della nostra comune esistenza. Il legame all'Origine ci appartiene
in quanto uomini e le esperienze buone della vita sono cifre, segni che alludono
a una relazione unica: quella con Dio.
La riflessione che propongo cerca il superamento di una pregiudiziale divisione
e opposizione tra laici e cristiani, come se il laico ragionasse solo a partire
dalla propria ragione e il credente ragionasse in modo dogmatico a partire dalla
propria fede. A ogni uomo è chiesto di decidere di sé, ogni uomo è affidato a se
stesso; in tal senso, la parola «fede» non ha un significato confessionale,
trattandosi piuttosto di una questione che si impone ogni volta che l'uomo è
chiamato a decidi sé, in quanto libertà che si affida e si decide per ciò che
non le appare in modo incontrovertibile ed evidente. D'altra parte l'esperienza
del credente annuncia un compimento di grazia indeducibile, un evento non
prodotto dall'uomo: la manifestazione di Dio e della sua volontà. salvifica
universale in Gesù Cristo. Questa, in definitiva, è la
specificità
che il cristiano ha da proporre: la testimonianza viva di una vita donata,
amata».
Giovedi 4
Dicembre 2003, alle ore 16,00, nella Parrochia Sant'Agnese Don Maurizio
Chiodi ha tenuto una conferenza sul tema "Alle radici della bioetica".
Erano presenti, in particolare, operatori sanitari (medici, paramedici,
associazioni varie, ecc.) che hanno molto apprezzato la relazione
dell'illustre ospite. Un caloroso applauso ha concluso l'incontro, dopo un
partecipato dibattito.
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