GIOVANNI da Matera,
santo
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)
di Francesco Panarelli, Ordinario di Storia Medievale – Università degli
Studi della Basilicata
GIOVANNI
da Matera, santo. - Nacque intorno al 1080 a Matera; i nomi dei genitori
non sono noti: è priva di fondamento una tradizione locale che lo vuole
membro della famiglia materana De Scalcionibus; nulla di preciso sappiamo
anche riguardo alla loro estrazione sociale ("non gregalibus", Vita, p. 2).
Ancora ragazzo G. si allontanò in segreto dalla famiglia per essere ospitato
in un monastero di rito greco situato su una delle isole prospicienti
Taranto (probabilmente S. Pietro de Insula, o Ss. Pietro e Andrea), ma qui
il rigore della sua vita - ispirata a una rigida ascesi eremitica - lo portò
ad avere incomprensioni con i monaci tarantini, sino alla decisione di
fuggire nuovamente. Condusse, quindi, per oltre due anni una vita di
solitudine e penitenza in alcune località isolate di Calabria e Sicilia,
delle quali però non conosciamo i nomi. Dopo questa esperienza di rigida
privazione G. tornò in Lucania, presso Ginosa, dove pure i suoi genitori si
erano trasferiti, ma senza farsi da loro riconoscere; qui portò alle estreme
conseguenze la sua ascesi penitente, privandosi per due anni e mezzo quasi
completamente del cibo, delle bevande e dell'uso della parola. Solo a
partire da questo momento (da collocare intorno al 1100-10) iniziò
l'attività di predicazione e proselitismo di G., che si protrasse sino alla
sua morte.
Nell'agro ginosino, presso una chiesa intitolata a S. Pietro, fondò infatti
una comunità di tipo monastico, di cui però non conosciamo la regola
seguita. Per il restauro della chiesetta diruta G. avrebbe fatto ricorso a
un tesoro rinvenuto nei pressi dell'edificio, stuzzicando l'avidità e le ire
del conte locale, un Roberto non meglio noto. Questi lo fece imprigionare
facendo probabilmente riferimento per le accuse anche alla legislazione in
materia di ritrovamento di tesori. Comunque G. riuscì a liberarsi
miracolosamente dalle catene e ad allontanarsi dalla cittadina lucana.
Le notizie biografiche su G. si desumono quasi esclusivamente da un testo
agiografico redatto da un anonimo monaco della comunità di Pulsano, scritto
qualche decennio dopo la morte del santo fondatore e comunque prima del 1177
(cfr. Bibliotheca hagiographica Latina, I, n. 4411). Le informazioni fornite
sono nel complesso molto sommarie per la nascita e l'infanzia, mentre
diventano più dettagliate per gli anni della giovinezza e della maturità.
L'intera narrazione non sfugge comunque a una precisa organizzazione e
selezione del materiale narrato, secondo un intento celebrativo del modello
di vita monastico imposto da G. ai suoi monaci. Di qui anche il peso
preponderante che hanno nella economia del racconto i numerosi miracoli
compiuti da G. dopo la fondazione di Pulsano, nonché l'aggiunta di notizie
preziose riguardanti le vicende della comunità sotto l'abbaziato dei due
primi successori, Giordano e Gioele.
Oltre qualche rada e sintetica menzione in fonti commemorative e liturgiche,
alcuni precisi riferimenti alla figura di G. si rinvengono comunque in un
altro testo agiografico, la Legenda s. Guillelmi (cfr. Bibliotheca
hagiographica Latina. Novum supplementum, n. 8924) relativa a Guglielmo da
Vercelli (m. 1142), il fondatore di S. Maria di Montevergine e S. Salvatore
al Goleto. Questo testo risulta composito e opera di diversi autori, ma la
sezione in cui compare G. venne redatta nel decennio successivo alla morte
di Guglielmo, nel monastero di S. Salvatore al Goleto e quindi in tempi
ancora molto vicini agli avvenimenti narrati e riguardanti anche Giovanni da
Matera. Sostanzialmente comunque questa fonte conferma e arricchisce, senza
contraddirlo, il quadro desumibile dall'anonima Vita.
Solo la Legenda parla di una apposita deviazione da parte di Guglielmo da
Vercelli, in transito alla volta di Gerusalemme, verso Ginosa per conoscere
G.; sarebbe stato lo stesso G. a invitare poi Guglielmo a fermarsi
stabilmente nel Mezzogiorno, senza insistere nei piani di pellegrinaggio
Oltremare. Il tono della narrazione lascia intendere un rapporto quasi da
discepolo di Guglielmo nei confronti di G. (definito "magni meriti magnique
nominis vir" nella Legenda, p. 89), che si mantenne saldo anche negli anni
seguenti.
Non bisogna però dimenticare che, da parte sua, G. subiva il fascino della
itineranza eremitica, tanto che anche lui si allontanò da Ginosa e dai suoi
primi discepoli e per un anno ancora vagò nel Mezzogiorno, giungendo sino a
Capua; qui una rivelazione divina lo indusse a tornare in Puglia perché suo
compito era quello di guidare sulla retta via "multum populum utriusque
sexus" (Vita, p. 11). La prima tappa in questo ritrovato percorso fu sul
monte Laceno, presso Bagnoli Irpino e Nusco, dove G. incontrò ancora una
volta Guglielmo da Vercelli. Qui vi fu la tentazione manifesta di insediarsi
stabilmente, ma in entrambe le fonti agiografiche si pone in risalto
l'intervento di G. per convincere il gruppetto di eremiti ad abbandonare
quel luogo e volgersi verso terre più densamente abitate. In questa
prospettiva non poteva essere soddisfacente per G. il nuovo sito prescelto,
sul massiccio della Serra Cognata nei pressi di Tricarico, nel versante nord
della valle del Basento; infatti qui G. si fermò solo il tempo necessario
per aiutare Guglielmo e i suoi compagni a costruirsi un primo ricetto,
optando subito dopo per una attività di predicazione che avesse un pubblico
più ampio rispetto a quello delle sparute comunità montane.
La meta di G. fu la città di Bari, già capoluogo del Catapanato bizantino e
ancora il centro urbano più importante della Puglia normanna; qui fu attivo
intorno al 1127-28.
Sebbene la sua predicazione pare aver avuto solo carattere parenetico, con
l'invito alla sobrietà, alla castità e alla carità, in realtà essa dovette
toccare qualche nervo scoperto nel clero barese, che si sentì direttamente
attaccato. Pare piuttosto improbabile che G. abbia ricevuto una qualche
licenza di predicazione, sul modello di contemporanei predicatori itineranti
attivi Oltralpe; a ogni modo l'agiografo riporta con certezza la notizia di
un processo intentato contro di lui dai chierici baresi per blasfemia e
sospetto di eresia, senza fare riferimento alla liceità della sua
predicazione. Il processo venne alla fine presieduto però da un laico, il
principe Grimoaldo Alfaranite, che in quegli anni (1119-30) stava cercando
di imporre la sua autorità all'interno del gruppo dirigente barese al fine
di liberarsi del residuo controllo dei duchi normanni di Salerno. L'esito
del processo fu favorevole, con la prevedibile e piena assoluzione di G.,
che preferì tuttavia allontanarsi prudentemente dalla città.
In un primo momento egli si recò a far visita ai suoi primi discepoli che
erano rimasti nella comunità di S. Pietro di Ginosa, ma poi si fermò nei
pressi di Monte Sant'Angelo, scegliendo ancora una volta un centro urbano ad
alta frequentazione; la cittadina garganica infatti si sviluppava in
funzione della celebre grotta micaelica, uno dei santuari più frequentati in
Europa, che proprio in quei decenni cominciava a subire, in terra di Puglia,
la concorrenza di S. Nicola di Bari, dove già G. si era pure fermato. Anche
a Monte Sant'Angelo il comportamento di G. non pare essere stato molto
difforme rispetto a quello tenuto a Bari, in quanto egli si dedicò alla
predicazione, sino al compimento del suo primo miracolo: riunita una larga
parte della popolazione fuori della città, tenne una predica in cui spiegò
che la siccità che stava affliggendo la regione era causata dal peccato
commesso da un canonico impenitente. Dietro la minaccia di G. di procedere
egli stesso alla punizione, il canonico avrebbe fatto pubblica penitenza
abbandonando la città. Ma anche G., che pure aveva miracolosamente risolto
il problema della siccità, preferì allontanarsi dal Gargano, facendovi
ritorno solo dopo un anno, per fondarvi la sua nuova e più importante
comunità monastica.
La scelta del sito per la fondazione venne indicato da due figure
soprannaturali apparse a G. e nelle quali è facile riconoscere la Vergine e
s. Michele, elevati quindi a santi patroni del nuovo insediamento. Il luogo
prescelto, denominato Pulsano, era un piccolo pianoro terminante a
strapiombo sul golfo di Manfredonia; al suo limite vi era una grotta, che
forse già ospitava una piccola chiesa rupestre dedicata a Maria, trasformata
da G. nella prima chiesa della nuova comunità.
È priva di fondamento la notizia riguardante l'esistenza nello stesso luogo
nei secoli precedenti di altre comunità monastiche, di cui una risalirebbe
all'epoca e alla cerchia di papa Gregorio I, e l'altra dipendenza
cluniacense. Tutto lascia invece supporre che fu G. a introdurre per primo
la vita monastica intorno alla grotta di Pulsano.
La fondazione di G. incontrò gli immediati favori della popolazione locale,
nonché di coloro che erano desiderosi di condurre vita monastica: nel giro
di sei mesi i suoi compagni crebbero dagli originari sei fino a cinquanta.
Oltre alla fama di santità che circondava la figura del fondatore, anche la
vicinanza del santuario micaelico ebbe sicuramente un suo rilievo nel
determinare il rapido accrescersi della notorietà della nuova fondazione.
Molti sono i miracoli compiuti da G., e riportati nella Vita, che hanno come
destinatari in primo luogo i suoi discepoli. G. guarì un giovane colpito da
macerie durante la costruzione degli edifici monastici, e convinse i
genitori di un altro a non opporsi alla vocazione monastica del loro figlio;
molto probabilmente quest'ultimo è il Gioele più tardi attestato come terzo
abate di Pulsano.
Sin dagli esordi G. scelse per i monaci di Pulsano la regola benedettina, ma
insistette soprattutto nel restituire valore al lavoro manuale, alla stretta
osservanza della povertà individuale, alla necessità di prestare obbedienza
assoluta all'abate. Certamente G. dovette mantenere viva una preferenza per
la vita eremitica, sia pure inquadrata all'interno di un cammino di
formazione e perfezione che nella vita cenobitica trovava il suo solido
fondamento. In questo recupero della vocazione eremitica ebbe probabilmente
un certo influsso anche l'esperienza fatta in gioventù in comunità
monastiche greche e in territori calabro-siculi di netta tradizione greca;
l'anonimo agiografo - fonte pressoché unica sugli esordi della comunità di
Pulsano - tende a tacere, se non sminuire, questi possibili rapporti. Non
abbiamo comunque frammenti di "consuetudini" monastiche fatte redigere da G.
per i suoi monaci, anche se nella documentazione posteriore si fa allusione
a una loro esistenza.
La comunità di discepoli - maschi e femmine - si allargò molto rapidamente e
per questo G. fondò ben presto delle comunità separate da quella centrale di
Pulsano. Si crearono così i primi priorati dipendenti dalla casa madre di
Pulsano, con la quale intrattenevano uno stretto rapporto di dipendenza,
secondo un modello di congregazione a forte impronta centralizzante di tipo
cluniacense-cavense. L'urgenza di dare un qualche sbocco alla crescente
ondata di vocazioni femminili era particolarmente sentita dai riformatori
monastici dell'XI-XII secolo e G., come pure il suo compagno Guglielmo da
Vercelli, si mossero in questa direzione, provvedendo entrambi a fondare
monasteri femminili. In particolare G. fondò una prima comunità sul Gargano,
presso una chiesa precedentemente tenuta da un laico che vi conviveva con
una monaca; è probabile che qui fosse ospitata la comunità di S. Barnaba,
attestata come ancora fiorente nella Vita, ma non documentata altrimenti.
Altre comunità femminili dipendenti da Pulsano - la più importante è quella
di S. Cecilia presso Foggia - sono attestate in fonti posteriori alla morte
di Giovanni da Matera.
Non ci sono giunti documenti riguardanti i rapporti del nuovo monastero con
l'arcivescovo di Siponto, dalla cui diocesi il monastero dipendeva, anche se
ben presto le comunità pulsanesi ottennero l'esenzione. Un primo privilegio
pontificio, perduto, venne concesso da Innocenzo II alla comunità, ma non
sappiamo se direttamente allo stesso Giovanni. Nuovi privilegi vennero in
seguito concessi da Eugenio III e da Alessandro III; solo quest'ultimo
privilegio, datato al 9 febbr. 1177, ci è giunto e fornisce alcuni elementi
per conoscere indirettamente i rapporti intercorsi all'epoca di Giovanni.
Nel privilegio il papa - sull'esempio dei predecessori - prende sotto la sua
protezione la comunità di Pulsano, elencandone le dipendenze e confermando
il diritto di correzione da parte dell'abate di Pulsano nei confronti di
tutte le altre comunità elencate; stabilisce inoltre la libertà di scelta
del vescovo per consacrazione e olio santo, nonché l'esenzione dal pagamento
della decima per i proventi del lavoro diretto dei monaci; in riconoscimento
della protezione della Sede apostolica Pulsano si impegna al versamento del
censo di due bisanti.
Più ambigue sono le notizie riguardanti i rapporti con la monarchia
normanna. Non è infatti chiaro se vi fossero rapporti di dipendenza
determinati da una originaria proprietà demaniale dell'area su cui sorse il
monastero, né se il re Ruggero II avesse operato cospicue donazioni in
favore della comunità. Da alcuni episodi narrati nella sezione finale della
Vita si desume che vi fu un tentativo da parte di Ruggero II di estendere il
proprio controllo anche su questo monastero, a partire dal controllo delle
elezioni abbaziali, secondo una prassi ben attestata per altri istituti
ecclesiastici del Regno. Anche se la Vita sostiene che il re rinunciò alle
sue pretese, sappiamo che comunque Pulsano, insieme con l'Honor Montis
Sancti Angeli, entrò a far parte del dovario delle consorti regie a partire
dal 1177, con Giovanna d'Inghilterra moglie di Guglielmo II.
Nel suo ruolo di abate di tutte le comunità pulsanesi G. dovette spesso
spostarsi nei diversi priorati per esercitare concretamente le sue funzioni;
proprio durante uno di questi spostamenti lo colse la morte il 20 giugno
1139 presso la dipendenza di S. Giacomo nei pressi di Foggia.
Questo priorato era situato fuori dell'abitato di Foggia, lungo la strada
che portava verso Siponto e San Michele al Gargano, tanto che da fonti
posteriori sappiamo che esso comprendeva anche un ospizio per pellegrini.
Proprio in virtù di questa fortunata dislocazione sulla via di San Michele
si preferì forse lasciare che il corpo di G. restasse in questo priorato,
invece di essere subito traslato nella più decentrata e non ancora famosa
casa madre di Pulsano. Una tradizione di età moderna vuole che il corpo sia
stato infine trasportato a Pulsano nel gennaio del 1177, in occasione del
passaggio per le terre garganiche di papa Alessandro III. I resti di G.
restarono dunque dopo il XIII secolo nel monastero di Pulsano, anche se
qualche particola del corpo venne ceduta ad altri istituti ecclesiastici.
Solo il 28 ott. 1830 i canonici materani riuscirono a ottenere il consenso
per la traslazione del corpo di G. dall'ormai abbandonato monastero di
Pulsano nella cattedrale di Matera, dove tuttora le reliquie sono sistemate
sotto l'altare a lui dedicato.
Lo sviluppo della famiglia monastica pulsanese venne coordinato dai due
successori di Giovanni. Il primo, Giordano (1139-45), nativo di Monteverde
(nell'attuale provincia di Avellino), era entrato sin da ragazzo tra i
discepoli di G. e si collocava quindi in linea di stretta continuità con il
fondatore. Alla sua iniziativa si devono gli insediamenti in Dalmazia e a
Piacenza, con l'assunzione di precisi riferimenti al sistema organizzativo
proprio dell'Ordine cistercense. Più lungo e intenso fu l'abbaziato del suo
successore, Gioele (1145-77), anch'egli legato da rapporti di discepolato
diretto con G., secondo quanto affermato dalla Vita, di cui peraltro fu
verosimilmente il committente. Al momento della morte di Gioele Pulsano
contava dodici dipendenze nell'area pugliese, insieme con altre due
dipendenze più lontane, S. Pietro di Cellaria a Calvello e S. Pietro di
Vallebona presso Manoppello in Abruzzo. Fuori dei confini del Regno di
Sicilia vi erano altre sei dipendenze, tutte con il rango di abbazie: S.
Maria nell'isola di Meleta presso Dubrovnik, S. Salvatore sulla Trebbia
presso Piacenza, S. Michele degli Scalzi presso Pisa, S. Michele a Guamo
presso Lucca, S. Maria di Fabroro presso Firenze, S. Pancrazio sulla via
Aurelia. Dopo il 1177 e per gran parte del XIII secolo scarseggiano le
notizie relative alle comunità meridionali pulsanesi; mentre dalla fine del
secolo emerse un ruolo più decisamente predominante delle comunità toscane,
specie quella di Pisa, che divenne una sorta di centro alternativo per la
congregazione. Nel XIV secolo la crisi divenne comune a tutti gli
insediamenti, sino a che pressoché tutte le comunità furono cedute in
commenda o comunque abbandonate dai monaci.
Fonti e Bibl.: Acta sanctorumIunii, V, Parisiis-Romae 1867, pp. 33-50; Vita
s. Ioannis a Mathera abbatis Pulsanensis Congregationis fundatoris ex
perantiquo ms. codice Matherano, a cura di A. Pecci - L. Mattei Cerasoli,
Putignano 1938;Legenda de vita et obitu s. Guilielmi confessoris et heremite,
a cura di G. Mongelli, Montevergine 1979, pp. 89, 96-98; M. Villani, Il
Necrologio e il Libro del capitolo di S. Cecilia di Foggia (erroneamente
attribuiti a S. Lorenzo di Benevento), in La Specola, 1992-93, pp. 9-84; P.
Sarnelli, Cronologia de' vescovi e arcivescovi sipontini, Manfredonia 1680,
pp. 75, 100, 214; F.P. Volpe, Memorie storiche, profane e religiose su la
città di Matera, Napoli 1818, pp. 42-45; Id., Vita di s. G. da M., Potenza
1831; L. Mattei Cerasoli, La Congregazione benedettina degli eremiti
pulsanesi, Badia di Cava 1939; B. Vetere, Il filone monastico eremitico e
l'Ordine pulsanese, in L'esperienza monastica benedettina e la Puglia, I,
Galatina 1983, pp. 197-244; A. Vuolo, Monachesimo riformato e predicazione:
la "Vita di s. G. da M." (sec. XII), in Studi medievali, XXVII (1986), pp.
69-121; D. Osheim, A Tuscan monastery and its social world, Roma 1989, ad
indicem; F. Panarelli, Dal Gargano alla Toscana: il monachesimo riformato
latino dei pulsanesi (secoli XII-XIV), Roma 1997; Bibliotheca hagiographica
Latina, I, nn. 4411 s.; Bibliotheca hagiographica Latina. Novum supplementum,
p. 489; Bibliotheca sanctorum, VI, coll. 825-828.
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