MIGLIONICO. “Fuori, per le strade, si sparava,
anche alla luce del sole. Dentro di me il buio, la
paura che ti blocca e quasi ti impedisce di
respirare, di parlare”. Riaffiorano, vivissimi, i
ricordi nella mente di Pasquale Panariello,
miglionichese di 53 anni, operaio specializzato in
elettronica, alle dipendenze della ditta milanese
“Moditech” che si occupa dell’installazione di
impianti elettrici a livello industriale. Pasquale,
papà di due figli (Marica e Riccardo,
rispettivamente di 23 e 13 anni), per motivi di
lavoro, da quasi cinque anni, si trovava in Libia.
Qui, suo malgrado, ha visto, da vicino, il dramma
della guerra civile che, da una settimana, ormai,
insanguina il Paese. Uno scenario imprevedibile
quanto violento che mette in discussione tutto
quello che hai e chi sei. Una situazione ad alto
rischio che causa un capovolgimento totale delle
priorità di vita; che prefigura un nuovo modo di
concepirla: all’improvviso, senza colori, senza
prospettive. Poi, finalmente, il ritorno a casa, il
ritorno alla normalità: il massimo della felicità.
E’ finita l’odissea di Panariello. Dopo tante
peripezie, domenica notte Panariello è tornato a
Miglionico, suo paese natio. Adesso si gode
l’affetto dei suoi familiari. E’ sereno, può tirare
un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Da
oggi, la sua vita non è più come un mare in
burrasca; non è più immersa negli abissi.
Qual è il suo sogno? “Desidero soltanto un po’ di
tranquillità, dichiara, per riappropriarmi fino in
fondo della mia vita che è fatta di cose semplici,
piccole cose che, però, quando ti mancano, sembrano
meno banali: l’incontro con l’amico d’infanzia, la
passeggiata al castello, la consumazione di un caffè
al bar della piazza”. Cosa le resta di questa
esperienza? “Mi ha fatto capire, osserva, che è
importante saper vivere pienamente la propria vita,
che bisogna godersi quello che si ha, poco o tanto
che sia: tutto può svanire da un momento all’altro”.
Nei momenti di maggiore caos, s’è sentito, per caso,
abbandonato? “Avevo la consapevolezza di trovarmi in
una situazione di precarietà, ma ho sempre avuto la
fiducia che, con l’aiuto sia del titolare della
ditta, Massimo Galli, sia con l’appoggio del nostro
Ministero degli Esteri, che seguiva molto da vicino
tutta la vicenda, sarei riuscito a cavarmela”.
Tornerebbe in Libia? “Si vive di lavoro, sottolinea
Panariello, in condizioni di sicurezza, ci tornerei,
ma solo per lavorarci, non certo per farci una
vacanza”. Adesso, col cantiere chiuso in Libia,
corre, forse, il rischio di conoscere lo spettro
della disoccupazione? “Per fortuna, precisa, non
corro questo pericolo: molto presto, la ditta per
cui lavoro, che è economicamente ben solida, mi
chiamerà per andare a lavorare in un’altra parte del
mondo: il passaporto ce l’ho sempre a portata di
mano. Per me, il lavoro è una priorità”. Giacomo
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