MATERA
- Debora Citro sta bene ed ha “vuotato il sacco”
cioè ha trovato il coraggio di denunciare suo
marito. E’ la violenza il motivo per cui era fuggita
fino a Lecco senza lasciare tracce di sè ma
confidandosi solo con un amico. La giovane donna,
tenuta segretamente sotto controllo dalla Polizia
nella giornata di mercoledì per chiarire i fatti e
denunciare ciò che era successo in questi anni, ha
fatto emergere definitivamente anni di violenze,
minacce, maltrattamenti, culminati qualche anno fa
in una denuncia poi ritirata ma nulla di più. Di
certo però quel rapporto non funzionava più e la
donna ha chiarito le ultime vicende davanti agli
uomini della Squadra mobile della Questura e al
Pubblico Ministero Annunziata Cazzetta che hanno
assistito alla sua denuncia, dodici pagine totali
che sono state verbalizzate e che costituiscono un
vero e proprio collage di minacce ricevute. Debora
ha tirato fuori anni di maltrattamenti che l'hanno
fortemente provata e l'hanno di fatto obbligata a
scappare, a fuggire via da una situazione tanto
orribile. La donna di 32 anni è stata ritrovata a
Lecco dalla Polizia che ha provveduto ad arrestare
il marito Alen Kerouchi di 45 anni con l'accusa di
violenza sessuale continuata ed aggravata,
maltrattamenti e minacce. Il fermo deciso mercoledì
sera è scattato poco dopo la fine della
registrazione di “Chi l'ha visto” di cui Kerouchi è
stato ospite. Quella che alla luce dei fatti per gli
investigatori risulta essere stata una vera e
propria sceneggiata. Tutto finto, il rapporto
coniugale con la moglie, la disperazione dell'uomo e
soprattutto le lacrime viste in tv. Debora infatti
era già con le forze dell'ordine che ascoltata la
sua versione hanno capito i motivi della fuga e
deciso il fermo dell'uomo, provvedimento firmato dal
Pm Cazzetta. “Where and Why” cioè non solo dove ma
perché è il nome dell'Operazione portata a termine
dalla squadra mobile di Matera che non solo ha
identificato e tratto in salvo Debora Citro ma le ha
anche permesso di confidarsi, sfogarsi e denunciare
i maltrattamenti continuati che subiva da oltre sei
anni dal marito. La donna ha raccontato tutto alle
forze dell'ordine: “ci troviamo di fronte ad un uomo
che considera le donne come un suo oggetto da
gestire a piacimento”, ha raccontato il capo della
squadra mobile Nicola Fucarino, “la consensualità
nel rapporto sessuale non la prende proprio in
considerazione. Un uomo che una sera sì e l'altra no
ritiene di stuprare la donna e se la moglie resiste
si toglie la cinta e la minaccia. In più di
un'occasione ha usato delle spade ed altre armi da
taglio che possedeva senza averle denunciate per
puntarle al petto della moglie e minacciarla di non
parlare e di non andar via. Devi pensare ad una
bilancia, le diceva, su un piatto ci sono io e
sull’altro c’è la morte». Sono queste le parole
pesanti, gravi che l’uomo pronunciava per intimidire
la moglie. Ma in realtà era un'altra la minaccia più
pesante che Debora subiva e riguardava sua figlia:
“ad ogni tentativo di allontanamento la minacciava
di morte e le diceva che lui è pronto ad andarsene
via con la figlia, a ritornare in Algeria.
Aggiungendo “guarda che lì è sette volte più grande
dell'Italia e non c'è modo di trovarmi”. E proprio
la figlia è il legame più forte che frena la voglia
di andare via della donna. Che impedisce prima
l’esplodere di queste denunce. Insomma una serie di
azioni coercitive che finivano inevitabilmente per
fare effetto sulla donna. In questo contesto e nel
corso delle verifiche di questi giorni la Squadra
Mobile della Questura di Matera ha avuto modo anche
di appurare che l'uomo era già stato denunciato per
maltrattamenti tre anni fa anche se poi la denuncia
era stata ritirata e che vi era pendente una
richiesta di separazione giudiziale che sarebbe
stata discussa il 7 giugno prossimo. “Se te ne vai o
vuoi separarti io torno in Algeria con nostra
figlia” è la più pesante delle minacce usate
dall'uomo che al momento dell'arresto ha subito un
malore, una specie di crisi nervosa che ha reso
necessario il ricovero per qualche ora nell'Ospedale
materano. Ma non ne mancavano altre di minacce: «tra
le più sgradevoli quella dopo l’omicidio di Anna
Rosa Fontana quando l’uomo presente sul posto dopo
il fatto è tornato a casa e ha detto alla moglie:
“attenta perchè può succedere anche a te”». Kerouchi
è stato accompagnato nel carcere di Matera da ieri
mattina mentre Debora ha potuto riabbracciare la sua
piccola e provare a superare anni di sofferenze,
minacce e maltrattamenti. Non sarà certo un
passaggio semplice. Ma il passo più lungo, il
coraggio più grande è stato oramai trovato. Per
ripartire. PIERO QUARO
LA
FUGA - Scappa a Lecco. Torna e denuncia
MATERA - E' lunga e articolata la serie di
interventi messi in campo dalla Polizia e dalla
Squadra mobile in
particolare per arrivare a rintracciare Debora Citro.
La donna scompare nel pomeriggio di giovedì 31 marzo
intorno alle 16 quando i suoi tre cellulari che
porterà appresso daranno gli ultimi segni di vita.
La denuncia del marito Alen Kerouchi e della madre
della ragazza arriva nella serata di venerdì primo
aprile. Immediatamente vengono attivate dalla
Polizia le ricerche a livello nazionale oltre ad una
serie di meccanismi e verifiche per rintracciare
eventuali movimenti della donna. Sin dal primo
minuto non vi erano, come ha spiegato la Polizia,
motivi per ritenere che vi fosse una qualche
attività delittuosa ma tutto lasciava pensare
esclusivamente ad una scelta volontaria della donna.
“Gli interventi e le verifiche sono stati a tutto
campo, sono state utilizzate le unità cinofile, gli
elicotteri, coinvolti anche i Carabinieri per un
monitoraggio completo del territorio” è stato
spiegato dal capo della mobile Fucarino, “dai
tabulati telefonici è balzato agli occhi un
particolare cioè che alla madre di Debora è arrivata
una telefonata di un uomo che le diceva di andare a
prendere la bambina, il giovedì pomeriggio in
lavanderia. Il fatto ci ha incuriosito ed abbiamo
provveduto a verificare che si trattava di un amico
di Debora che tra l'altro qualche giorno dopo era
anche a Matera per cercare di vedere la bambina e
assicurarsi che stesse bene. Quest'amico con cui la
donna si era confidata, sapeva che era a Lecco.
Sapeva anche qual era il suo nuovo numero
telefonico. Quando lo abbiamo rintracciato e lo
abbiamo convocato in Questura abbiamo avuto delle
iniziali resistenze. Poi ci ha compreso, ha
confessato di sapere dove era Debora e l'ha
chiamato. Noi le abbiamo chiesto se stesse bene, se
era andata via di sua volontà ma poi non paghi
abbiamo chiesto se c'era qualcosa che voleva dirci.
Rivelarci il motivo della sua fuga. La donna”,
racconta ancora Fucarino, “non ha avuto grandi
esitazioni. Si vedeva che cercava solo di essere
aiutata e si è confidata molto presto. E' tornata a
Matera, arrivando a Bari martedì sera e nella
giornata di mercoledì ci ha confidato in dodici
pagine di verbale tutto quello che era successo,
tutto ciò che le aveva fatto subire il marito
entrando anche nei particolari”. Alle 18 ha parlato
davanti al magistrato Annunziata Cazzetta e ha
raccontato i fatti e verso le 19 all'uscita
dall'ufficio della dottoressa Cazzetta la Polizia
aveva pronto l'ordine di fermo per Kerouchi. L'uomo
però proprio in quei momenti si trovava negli studi
televisivi materani per l'avvio del programma “Chi
l'ha visto” per cui era impossibile contattarlo. La
Polizia ha continuato dunque a tenerlo sotto
controllo e ha aspettato che uscisse dagli studi.
“Doveva venire in Questura avevamo appuntamento lì
ma ad un certo punto ha cambiato strada” racconta
ancora Fucarino, “ha incontrato un suo amico
algerino che avevamo appena interrogato. Un uomo che
aveva inviato un sms al cellulare di Debora
dicendogli che era pronto a fuggire con la figlia in
Algeria”. Un messaggio, l'ennesima minaccia per la
donna che però la Polizia ha scoperto e per paura
che l'uomo potesse, vistosi scoperto, prendere la
figlia e scappar via lo ha fermato e portato in
Questura intorno alla mezzanotte di mercoledì. Nella
notte e di fronte alle accuse lanciate Kerouchi ha
avuto una crisi, è stato portato in Ospedale e solo
ieri mattina dimesso e accompagnato in carcere. Per
lui anche il sequestro dell'auto da dicembre
senz'assicurazione. PIERO QUARTO
L’INTERVISTA. «Non potevo più tacere. Uomini così
sono animali»
La gioia per aver riabbracciato la sua bambina di
otto anni, la sofferenza di questi dieci anni di cui
salva solo pochi mesi, il ricordo orribile delle
violenze, dei coltelli alla gola, sul petto ma anche
la forza di reagire, il coraggio di andar via e
ritornare a vivere. Fino all’appello alle altre
donne: «la vita è bella e merita di essere vissuta
al meglio, sto iniziando ad andare avanti e dico che
bisogna fidarsi perchè c’è chi ci può e ci vuole
aiutare, per cui si deve e si può denunciare ». Così
Debora Citro racconta al “Quotidiano” la sua vita
insieme a Allaoua Kerouchi. Come stai, come è stato
il tuo ritorno a casa? «In questo momento sto bene,
già il fatto di aver rivisto la mia bambina è una
vittoria. Sono un po’ confusa per ciò che è
capitato». Come è stato riabbracciare la tua
bambina? Lei come ha reagito? «La bambina come mi ha
visto ha iniziato a correre verso di me, ad
abbracciarmi e a dirmi che mi vuole bene. Io ho
fatto tutto per lei. Questi sono stati i momenti più
belli». Invece questi anni cosa sono stati per te?
«Sono stati un inferno totale, che non auguro a
nessuna donna. Non ci sono parole per descrivere ciò
che è stato, ho sofferto tanto in silenzio perchè
avevo paura». Il coraggio di scappar via come ti è
venuto, quando hai preso questa decisione? «Premetto
che quando me ne sono andata ho tentato di
proteggere mia figlia tramite mia madre. Sapevo che
non le sarebbe successo niente a mia figlia. Ho
deciso perchè ero terrorizzata, impaurita e quindi
l’unica via d’uscita per me era la fuga».
Nell’ultimo periodo questi comportamenti violenti
erano aumentati, c’era stata una sorta di
escalation? «Era aumentato da quando ho deciso di
separarmi, da allora non ha accettato questa cosa.
Da sette anni faccio tira e molla, la decisione
ultima l’ho presa verso dicembre quando sono andata
avanti con atti legali ». La sua reazione a questa
decisione di separarti qual è stata? «Non è stata
positiva, peggiorava. Io non l’ho mai illuso, io gli
ho sempre detto che sarei andata avanti nel mio
proposito. Ogni giorno che passava lo vedevo sempre
più agitato». Ma lui anche nei primi anni del
matrimonio, dieci anni fa, dava segnali di
comportamenti violenti? «Il primo anno di matrimonio
c’erano dei problemi, la concezione del matrimonio
per me a 22 anni era diversa. Il primo anno c’erano
alti e bassi però ho sempre tenuto duro per via
della bambina perchè volevo aiutare lui a
migliorare, dandogli il mio amore e tutto ciò che
c’era da dare perchè non volevo guastare io la
famiglia. Ma se ti devo dire in dieci anni quanto
tempo sono stata bene posso dirti mesi,diciamo un
anno». In questi due giorni che sei stata fuori con
quale stato d’animo vivevi, avevi voglia di
chiamare. Di sentire tua madre o tua figlia? «La
paura l’ho sempre avuta, poi mi mancava la mia
piccolina ». Il pensiero di tua figlia ti ha aiutato
a dire ciò che stavi passando? «Indubbiamente lei mi
ha aiutato ma io sapevo che questa era una cosa che
andava presa di petto, io non potevo più tacere con
questa persona. Proprio per mia figlia dovevo andare
avanti, sapevo che sarei tornata e che sarebbe stata
una lontananza temporanea. E’durata poco». Quali
sono i momenti più brutti che hai passato con
quest’uomo? «Le violenze subite e quando mi puntava
il pugnale, le armi addosso. Al petto, alla gola».
Te la senti ora di fare un appello alle altre donne
che magari cercano lo stesso coraggio che hai
trovato tu? «Sì posso dire che bisogna liberarsi in
qualche modo per vivere bene, Loro conoscono solo la
violenza, io li considero degli animali. Le autorità
ci sono, io non mi fidavo ma mi sbagliavo. Mi hanno
aiutato, e posso dire di andare avanti,di denunciare
perchè la vità è bella. Va vissuta e non te la deve
togliere nessuno». PIERO QUARTO
Ben integrato, stava lontano dagli alcolici,
rispettava il Ramadan e pregava con il viso rivolto
alla Mecca
In città
dagli anni ‘90 con un unico vizio, il fumo
MATERA
- «E' un buon sistema sparire all'improvviso,
scatenare un tam tam mediatico e fare in modo che si
arrivi subito all'arresto. La denuncia non è mai
seguita dall'arresto. Forse da oggi bisognerebbe
suggerire alle donne maltrattate di agire in questo
modo. Altrimenti, dopo la denuncia, la donna dove
dovrebbe andare? Se torna a casa, nella migliore
delle ipotesi viene riempita di botte». Elisa
Cucuglielli, presidente dell'associazione Diva
(acronimo di Donate il vostro aiuto, associazione
materana in prima linea contro la violenza sulle
donne), non ha dubbi. Da anni Diva si batte per
ottenere una casa di accoglienza nella quale far
rifugiare le donne vittime di violenza,
allontanandole da un ambiente che di familiare ha
soltanto una relazione distorta. Ma come si può
sopportare per anni tutta una serie di abusi,
psicologici e fisici? «A volte in un rapporto
partenariale, che può essere tra marito e moglie o
padre e figlio, può esserci un'ambiguità di fondo:
chi subisce violenza di solito diventa complice per
qualche motivo. -risponde Salvatore Gentile,
psicologo e psicoterapeuta, vicepresidente
dell'Ordine degli psicologi della Basilicata - Un
coniuge può essere complice perché ci sono i figli o
per timore di aggravare alcuni comportamenti. Del
tipo “denunciandolo rischio la vita”. Per un altro
aspetto, si ha sempre l'idea di riuscire a
recuperare il rapporto, si fa leva sul sentimento
positivo, si pensa alle cose belle che ci sono
state. Terza cosa, esiste l'omertà, la stessa che
predomina in una famiglia nella quale si compiono
abusi. Se incontro un estraneo che mi maltratta non
ci penso due volte a denunciarlo. Tante coppie -
aggiunge - durano una vita intera pur tra alti e
bassi e referti di ospedale. Dall'esterno è facile
creare confini netti mentre nella realtà non ci
sono». Gentile sottolinea come gli attaccamenti
morbosi nei confronti del partner altro non sono che
sintomo di insicurezza: «L'insicurezza si esprime
con un senso di possesso verso le persone con le
quali si hanno legami affettivi. In un rapporto tra
pari, invece, c'è una sorta di progettualità comune.
Quando il confronto ci costringe a metterci in
discussione se siamo fragili non lo accettiamo e
imponiamo noi determinati stili relazionali. Tutto
ciò è focalizzabile solo nel rapporto tra adulti,
tanto che, in questo caso specifico, la mamma ha
lasciato la figlia, forse consapevole che alla
bambina lui non avrebbe mai fatto del male».
Affabile, mite, sempre gentile. Sempre con il
sorriso sulle labbra, disponibile e ben integrato a
Matera. Alen Kerouchi, per tutti Alì, a metà degli
anni Novanta ha lavorato a lungo in un circolo
ippico a pochi chilometri dalla città dei Sassi.
“Mite” è forse l'aggettivo che riesce a descriverlo
meglio: mai sopra le righe, l'unico vizio che aveva
era quello del fumo. Stava lontano dagli alcolici,
come da imposizione del Corano, rispettava il
Ramadan e pregava con il viso rivolto alla Mecca. Il
suo credo, tuttavia, non gli aveva impedito di
inserirsi perfettamente nella realtà lucana. Quello
che più colpiva era il suo carattere equilibrato, la
sua socievolezza che però non sconfinava mai. Anche
quando si avvicinava agli altri, lo faceva con
discrezione. Alì non si è mai permesso di esprimere
parole di troppo o fuori luogo. ROSSELLA
MONTEMURRO |