RIONERO
- “La vita del brigante è brutta? - E' una vita
indipendente. -Ma ammazzare gli altri?- Il brigante
è come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde.
Trovate giusto che l'esercito freni il brigantaggio?
- Sì, il brigante che ammazza un soldato piange,
pensando che è un uomo che lascia la madre, i figli…
Ma solo colla clemenza si potrebbe frenare il
brigantaggio...”. Con tale confessione di Carmine
Crocco resa a Salvatore Ottolenghi nel carcere di
Portoferraio, nel 1903, si introduce l'ultimo lavoro
di Ettore Cinnella “Carmine Crocco, un brigante
nella grande storia”, edito da Della Porta (pag.
177, 2010). Ettore Cinnella, originario di
Miglionico, è stato docente di Storia contemporanea
e di storia dell'Europa orientale all'università di
Pisa. Con i suoi scritti e ricerche ha attraversato
le vicende meridionali, e pubblicato negli anni
scorsi “Il grande brigantaggio (1861-1865): una
ferita nella storia d'Italia”. Ancora Crocco dunque
incrocia il suo percorso di storico e di
intellettuale, in una narrazione vagamente romanzata
sulla vita del brigante lucano (originario di
Rionero in Vulture, dove era nato il 5 giugno 1930)
di cui, proprio durante le celebrazioni unitarie, si
auspica che la cultura nazionale, lungi da futili
retoriche, ritagli spazi necessari per una volontà
di rianalizzare il fenomeno, per quanto rimanga
scomodo. Pertanto, sarà il caso di confermare le
radici sociali del brigantaggio, alimentato certo
dalla spaventosa miseria dei contadini e dall'abisso
che divideva galantuomini e cafoni, gente di fatica
la cui unica aspettativa di vita era avere una
famiglia e lavorare, dall'alba al tramonto, soltanto
per sopravvivere. Ignoranza e miseria,
invecchiamento precoce e migrazioni: su questo
fronte, l'autore traccia un percorso storiografico
circa la cosiddetta prima grande tragedia nazionale.
Se ne è discusso di recente nel Palazzo Fortunato,
per iniziativa del Comune di Rionero e su proposta
del Cine- Club Vittorio De Sica. Presenti
all'incontro con l'autore, il sindaco Antonio
Placido, il ricercatore Gianni Maragno ed Armando
Lostaglio del cineclub De Sica. Una ricostruzione,
quella di Cinnella - è stato ribadito - che affronta
i documenti di chi Crocco conobbe in maniera
diretta. Si va dalla biografia del capitano Massa
fino a toccare gli studi dei lombrosiani circa la
criminalità antropologica. Ma a Cinnella,
probabilmente, interessa anche rileggere con
passione civile una personalità, quale quella del
“Napoleone dei briganti” (come venne definito dal
lombrosiano Ottolenghi), che sapeva leggere e
scrivere, rara eccezione per quegli anni, e che
ottenne sorprendenti vittorie militari, seppur a
capo di bande di irregolari, cui, tuttavia, diede a
suo modo una certa dignità e disciplina. In bilico
fra leggenda e cronaca, Carmine Crocco è riletto in
controfigura soltanto al mito di Garibaldi. Solo che
la storia ha preso pieghe diverse, soprattutto nella
sua divulgazione: briganti gli sconfitti ed eroi
nazionali i vincitori. Centocinquant'anni che
vengono celebrati e festeggiati, dunque, ma che
rischiano proprio in quanto celebrazioni, di
lasciare in ombra qualche pagina certo meno
esaltante, ma che ha comunque assunto un ruolo nella
costruzione della nascente nazione. Con la biografia
di Crocco, Cinnella opera il tentativo di far nuova
luce, appena realizzata l'Unità d'Italia, sulla
tragedia nazionale, a causa della quale «lo Stato
unitario nasceva con una ferita che non si sarebbe
rimarginata facilmente». CHIARA LOSTAGLIO
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