Matera.
Dopo la capitolazione della città di Palermo ad
opera dei garibaldini, Francesco II tentò di
recuperare il consenso nei suoi riguardi con la
concessione della Costituzione che tra i tanti
vantaggi prometteva l’amnistia per i reati di lesa
maestà. Con questo improduttivo gesto di clemenza il
sovrano fece leva sul suo paternalismo filo popolare
con il tentativo di contrapporre le masse rurali
alla borghesia agraria che «al re di Napoli aveva
preferito il re di Sardegna con l’aperto sostegno
delle idee liberali». I funzionari borbonici
materani, con la concessione dell’indulto, aizzarono
i contadini alla ribellione, dichiarando persino che
l’amnistia concedeva un’impunità di sei mesi durante
i quali tutto era lecito fare per impadronirsi delle
terre usurpate. Il conte Gattini, accortosi dei
reali programmi degli agitatori, si rivolse alle
autorità civili e militari cittadine, pregandole di
prendere le giuste precauzioni sul suo conto. Era
disposto, anche, a procedere all’accertamento dei
confini del fondo Murgia ritenuto, in parte,
usurpato al demanio pubblico. I contadini, esultanti
per questa vittoria, chiesero che anche gli altri
latifondisti, compreso il Vescovo, dichiarassero la
stessa cosa. Questi chiaramente, allarmati e
impauriti, chiesero protezione alla gendarmeria la
quale, connivente con gli uomini fedeli ai Borbone,
non solo declinò ogni responsabilità nei loro
riguardi ma incoraggiò i ribelli ad appropriarsi
delle terre. Molti furono i responsabili morali che
contribuirono ad incendiare la sommossa ma l’intera
macchinazione fu pilotata nei riguardi del conte
Gattini, dal ricco possidente materano Gennaro De
Miccolis il quale nutriva nei riguardi del suo
concittadino un astio spiccato in quanto riteneva
che avesse complottato la sua rimozione
dall’incarico di Capo-Urbano ed, inoltre, avesse
ostacolato la sua nomina a comandante della Guardia
Nazionale.
Verso la fine di luglio 1860 l’agitazione popolare
divenne sempre più aspra. Gli animi più radicali
spinsero alle dimissioni il sindaco moderato Tommaso
Giura Longo per eleggere il più radicale Giovanni
Corazza il quale prometteva ai contadini e artigiani
«la reintegra e la quotizzazione delle terre
usurpate». Il primo atto di amministrazione del
Corazza fu quello di nominare l’avvocato
Giovanbattista Matera
di Miglionico, curatore degli interessi
del Comune, gravitanti attorno alla complessa
materia dei demani. Costui, infatti, si dette da
fare a studiare i documenti del Gattini che non
rilevavano, però, nessuna usurpazione dei demani
comunali. Ma i contadini, ormai, certi delle
loro istanze, non intendevano recedere dalle loro
posizioni. Anche lo stesso Corazza non riuscì a
frenare quell’onda di disprezzo nei riguardi delle
antiche famiglie materane. I giorni più caldi
iniziarono il 5 e 6 agosto. Si
intensificarono i rapporti tra i contadini i quali
in tendevano giungere ad una azione di forza. Il
7 agosto, infatti, non si recarono a
lavoro dai loro datori di lavoro, per insorgere nei
riguardi del conte Gattini il quale, resosi
conto del precipitare degli eventi, pensò bene di
allontanare la sua famiglia da Matera. Gli eventi
precipitavano. A causa di alcune notizie false e
tendenziose che giravano in città nei confronti del
gentiluomo, una folla inferocita raggiunse l’antica
magione dei Gattini, in piazza della Cattedrale.
Alcuni dettero fuoco al portone del palazzo che, in
un baleno, si propagò anche nel resto della possente
fabbrica. Ma il Gattini, con alcuni ospiti, riuscì a
domare le fiamme. Venne avvisata la Guardia
Nazionale la quale, volutamente, non dette peso
all’accaduto. All’alba dell’8 agosto i
facinorosi avevano organizzato dei posti di blocco
per impedire l’accesso dei contadini nelle campagne.
Il Gattini, avvertito dell’assembramento, si
dichiarò anche disponibile a cedere l’intero fondo
Murgia con un rogito notarile.
Riccardo Riccardi |