Ferrandina.
L’eroica impresa dei Mille, a metà luglio del 1860, pur
ancor limitata alla sola conquista della Sicilia, aveva
infiammato gli animi dei liberali europei e italiani ma,
in special modo, dei lucani e pugliesi. In provincia di
Bari, il 17 luglio, si dettero convegno a Gioia del
Colle – in casa di Vito Nicola Resta – i membri del
comitato dell’Ordine provinciale, dei Capi-Sezione e dei
Capi-Distretto di Terra di Bari e i rappresentanti di
Terra d’Otranto e di Capitanata, eludendo la vigilanza
della polizia borbonica per deliberare le proposte del
Comitato Lucano e determinare quanto si dovesse fare per
sostenere la insurrezione regionale. L’assemblea gioiese
deliberò di preparare un contingente di duecento
volontari in vista di uno scoppio di una rivolta; di
disporre armi e munizioni per tener testa alle milizie
regie; di spedire, tramite il fondo costituito dai
volontari, 3.000 ducati al Comitato Lucano – che si era
insediato, nei primi di luglio, a Corleto Perticara
grazie, anche, alla sua ubicazione centrale tra la
Puglia, la Calabria e la Campania – e 1.340 per pagare i
volontari che sarebbero partiti al comando del Comitato
centrale di Napoli.
Se i preparativi alla sommossa fervevano dall’altra
parte però, come è facile intuire, la polizia borbonica
vigilava con grande attenzione e repressione. A Napoli,
mentre in Sicilia la rivolta garibaldina era già ad un
buon punto, il Comitato centrale napoletano si spaccava
per due differenti correnti di pensiero, formando due
Comitati: uno d’Ordine e l’a l t ro d’Azione. Il
Comitato d’Ordine palesava il disegno che, prima dello
sbarco in Calabria di Garibaldi, un’insurrezione nel
Mezzogiorno e specie a Napoli divampasse in senso
unitario e in adesione alla politica dei Savoia; mentre
il Comitato d’Azione, di idee repubblicane-mazziniane
premeva che l’impresa garibaldina nel Meridione fosse la
premessa per la liberazione di Roma e Venezia. Questa
conflittualità si diffuse, chiaramente, anche in tutto
il Sud d’Italia provocando, come è facile immaginare,
feroci dispute e pol emiche.
Pur in un momento così tumultuoso per il futuro del
nostro Paese la Basilicata dimostrò una forte adesione
alla rivolta garibaldina. Il Comitato Lucano che si era
insediato a Corleto Perticara, centro di eccellenza
nella propaganda e nella cospirazione, per diffondere
ulteriormente le idee progressiste fondò dieci
sottocentri: Rotonda, Senise, Castelsaraceno, Tramutola,
Tricarico, Miglionico, Ferrandina, Potenza,
Genzano e Avigliano. Se il 18 agosto 1860 passerà alla
storia come l’inizio della ribellione lucana è giusto
ricordare, però, che già il mese prima e, precisamente
il 16 luglio del 1860, nella cittadina di Ferrandina, in
provincia di Matera, ebbe luogo un’insurrezione popolare
di grande clamore «sia per la determinazione insolita
messa in atto nello svolgersi dei fatti, sia per la
grande risonanza che ebbe sul Comitato centrale di
Corleto Perticara e sulla stessa direzione di Napoli». A
Ferrandina, durante i festeggiamenti della Madonna del
Carmine, un gruppo di giovani, capeggiato dal noto
liberale di Ferrandina, Carmine Sivilia, iniziò ad
inneggiare alla libertà con grida di «viva Garibaldi,
viva Vittorio Emanuele».
Il coinvolgimento e l’entusiasmo divenne totale tanto
che le forze dell’ordine non riuscendo a capire quale
fosse l’esatta entità dei rivoltosi, ritennero prudente
non intervenire». La autorità civili e militari rimasero
sbigottite. Un corriere fu mandato a Matera per chiedere
rinforzi alla forza pubblica. Il 18 luglio, infatti, una
quindicina di gendarmi – si riteneva che la sollevazione
fosse circoscritta a pochi rivoluzionari –, pur facendo
intendere che sarebbero arrivati altri 70 militari, era
pronta a dar fuoco ai rivoltosi. Proprio nella piazza
più importante di Ferrandina, in quella del Largo – oggi
piazza Plebiscito –, questi imposero alla folla di
«togliersi i cappelli, in segno di riverenza, e di
gridare viva Francesco II». Ma ormai la sommossa era
nell’animo dell’intera cittadinanza. Dalle strade vicine
giunsero da diverse direzioni i patrioti più
intraprendenti, come l’avvocato Carmine Sivilia, Giacomo
De Leonardis, Giuseppe Assetta, Domenico Scorpione,
Felice Bitonti, Raffaele Masciulli, Nicola Petruccelli,
Leonardo Murante, Nicola Provinzano, Raffaele ed Eligio
Lanzillotti, Giovanni ed Antonio Grassi e molti altri, i
quali con fierezza sfidarono il corpo preposto a sedare
la rivolta gridando ad alta voce «viva l’Italia, viva
Garibaldi». Immediatamente lo stesso fermento si propagò
in tutti i presenti tanto da divenire un potente e
assordante boato che inneggiava a Garibaldi.
La forza dell’ordine dovette piegare la testa. Vinta
dall’euforia collettiva insurrezionale, pensò di
ritirarsi di buon ordine in attesa di tempi migliori. Ma
gli eventi incalzavano in favore della tanta sospirata
unificazione del Paese. Il tarantino Nicolò Mignogna,
uno dei volontari che si arruolò fra i Mille, fu mandato
da Garibaldi in Basilicata affinché preparasse il
terreno per l’insurrezione della regione. Insieme al
patriota Giacinto Albini, divise la Basilicata in dodici
Centri d’Azione dipendenti da quelli di Corleto
Perticara, mettendoli a loro volta in comunicazione con
i Comitati pugliesi. Il colonnello barlettano Camillo
Boldoni, inviato dal Comitato d’Ordine napoletano,
doveva assumere il comandomilitare del movimento
insurrezionale. Si avviavano i preparativi della grande
rivolta lucana del 18 agosto del 1860. Riccardo
Riccardi |