Torino.
«Xe più giorni che luganighe», recita un antico
proverbio friulano, per esortare alla parsimonia (ci
sono più giorni che salsicce, quindi non sprechiamo
nulla, anche Tremonti condividerebbe): a dimostrare
quanto le luganighe siano nel Dna gastronomico di una
vasta area che partendo dal Friuli passa per il Veneto,
approda nel Bergamasco e finisce in Canton Ticino.
Insomma una buona fetta della Padania impazzisce per le
luganighe o lucaniche. Salsicce che prendono il nome non
da Lugano, come qualche padano sprovveduto potrebbe
pensare, ma dalla meridionalissima Lucania.
Fiero popolo di pastori e contadini, i lucani allevavano
i maiali già nell’antichità e il loro modo di far
salsicce divenne famoso. Ma oltre al know how delle
salsicce la Lucania dal profondo Sud ha esportato nel
Triveneto anche intelligenze. Ne è un esempio il notaio
Roberto De Mabilia, che nel ‘400 a Padova fece fortuna.
Per farlo sapere (un po’ come gli emigranti di adesso)
pensò di regalare ai suoi compaesani, laggiù a Irsina,
nell’alta valle del Bradano, in provincia di Matera, una
statua della loro patrona Sant’Eufemia fatta da un
artista patavino di nome Mantegna. Non dissimile la
storia dello splendido polittico di Cima da Conegliano,
conservato a Miglionico, sempre in provincia di Matera,
e donato da un arciprete, don Marcantonio Mazzone,
musicista e letterato, che era stato maestro di cappella
dei Gonzaga. Ed è molto probabile che tanto Mantegna
quanto Cima da Conegliano non fossero indifferenti alle
luganighe...Rocco Moliterni |