Il Cholera
morbus colpiva Miglionico nel 1836 |
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ROMA.
Una malattia infettiva, mai comparsa fino al quel momento, nel 1836
investiva il REGNO DELLE DUE SICILIE.
Il Cholera morbus determinava diarrea,fortissimi dolori
addominali,vomito,inappetenza e calo della temperatura del corpo con
collasso circolatorio e di conseguenza conduceva alla morte .
I primi casi si verificarono a Napoli a fine settembre . All’inizio,gli
scienziati e i medici furono costretti ad arrangiarsi tra ipotesi e
previsioni in merito alla sua diffusione. Qualcheduno non ammetteva che
il morbo potesse penetrare da una persona a un’altra. Si intuiva che la
velocità dei contagi dipendesse dall’igiene personale,
dall’assembramento degli ambienti e dai luoghi malsani.
Negli anni successivi si seppe che l’acqua dei fiumi indiani,infettati
dalle feci ,aveva coadiuvato alla diffusione della malattia nella
regione del Bengala. Solo nel 1854 l’anatomista Filippo Pacini scrutò in
laboratorio i vibrioni del colera e nel 1884 il microbiologo Robert Koch
scoprì il bacillo del colera.
Ferdinando II di Borbone, nel 1836, regnava da sei anni. Nel 1831,
appena insediato al trono, dovette gestire le notizie che pervenivano a
Napoli in merito al colera . Ferdinando II attuò i regolamenti sanitari
ratificati dal nonno Ferdinando I nel 1819. Il Re con il suo governo
gestì un’organizzazione che avrebbe dovuto ostacolare la comparsa del
morbo asiatico .Gli ottimi medici del periodo furono costretti a recarsi
in Francia per studiare la malattia.
Nel 1836,l’indecisione e le angosce determinavano vere e proprie nevrosi
per questa malattia che si divulgava con violenza in tutta
l’Italia.Veniva applicato il cosiddetto “cordone sanitario” per
ostacolare l’espansione del morbo alle regioni meridionali. Per andare
da una regione all’altra d’Italia necessitava la “bolletta sanitaria”
rilasciata dal sindaco. Avevano applicate misure di isolamento e
quarantene non inferiore a quindici giorni . I contagiati erano stati
segregati nelle proprie abitazioni e tutto il personale sanitario
costretto a indossare particolari camici, guanti e stivali di taffetà.
Cautele particolari per la vita giornaliera come purificazione delle
merci, delle mani e addirittura delle monete con acqua e aceto.
L’ospedale napoletano Santa Maria di Loreto aveva studiato un”vino
anticolerico” che conseguiva benevoli risultati. Il vino veniva
mischiato al frutto del platano orientale ridotto a povere.
Nel 1836 ,nel frattempo, l’arrivo del colera nella capitale fu occasione
di protesta con rivendicazioni di autonomia da parte delle popolazioni
di Palermo,Siracusa e Catania che accusavano il governo borbonico di
adoperare dei veleni per diffondere il colera sull’isola.
Ferdinando II , per domare l’emergenza colera e per estinguere i
disordini che impedivano i provvedimenti sanitari, utilizzò l’esercito .
Nel 1836 a Napoli i medici si fecero notare per le loro capacità
nell’affrontare la cura del cholera morbus. Alcuni medici,contagiati,
morirono. Altri si astennero a assistere i malati colerosi e furono
radiati dall’albo . A Napoli per affrontare l’epidemia di colera oltre
all’ospedale di Santa Maria di Loreto fu realizzato una struttura
ospedaliera nell’ex monastero di Santa Maria della Consolazione .
Nel settembre del 1836 arrivano le notizie dei primi morti in Puglia per
il morbo asiatico. I contagi si propagano in Calabria e Basilicata . A
Napoli il 2/10/1836 si registra il primo paziente morto di colera, era
un militare in servizio alla dogana.
“Su porte e portoni delle case nelle strade di Napoli,cominciarono a
comparire le famosi croci imposte dal regolamento del Supremo magistrato
di salute. Le croci segnalavano la presenza dei contagiati,dove venivano
poi disposti sequestri e isolamenti. Erano luoghi da scansare,segnati
ancora di più dalla presenza esterna di un secchio con l’acqua e un
altro con aceto, utilizzati da medici per disinfettarsi le mani“da
Pandemia 1836 –La guerra dei Borbone contro il colera di Gigi Di Fiore.
A Miglionico il Cholera morbus vedeva fra le vittime, l’arciprete Orazio
Onorati che“viene portato per causa di salute a Napoli” da Notizie
Storiche di Miglionico di Teodoro Ricciardi.Si preferiva non usare il
termine Cholera , era una parola proibita. Il morbo non faceva
discrepanze tra i diversi ceti sociali . “A Miglionico i tuguri , in cui
abita la classe meschina, sono insalubri ed umidi,incavati dentro terra
da scendere con tre o quattro scalini”da La Basilicata Borbonica di
Tommaso Pedio. Una famiglia dormiva in una stessa stanza dove il più
delle volte l’aria e la luce penetrava dalla porta. I contadini dovevano
rassegnarsi a vivere insieme con l’asino , con i maiali, con le
galline,con pecore . Pertanto donne, uomini, bambini e animali
vivacchiavano tutti insieme. In quel periodo l’amministrazione comunale
provvedeva a istruire le ragazze all’arte della cardatura e filatura
della lana. Il prodotto, poi veniva venduto ai commercianti pugliesi.
Secondo le “Cronache” un mercante della provincia di Bari,pervenuto a
Miglionico per comprare la lana, fu il portatore di questa malattia. Il
venditore prese alloggio in una locanda del paese e il giorno successivo
al suo arrivo mostrò sintomi di vomito e diarrea. Il morbo iniziava
propagarsi lentamente fra la popolazione ,i medici dell’epoca in base ai
protocolli pervenuti dalla” Medicina ufficiale” di Napoli confermarono
la malattia. I primi colerosi furono alloggiati” all’Ospedale dei Poveri
Ammalati,un locale attaccato all’abbandonata Cappella di S.Giacomo,accanto
alla Porta di Grottole.” da Notizie Storiche di Miglionico di Teodoro
Ricciardi.
Le autorità ecclesiastiche e il sindaco Don Giuseppe Petito concordavano
sulla volontà della popolazione di trasportare per le strade del paese
la statua del S.S.Crocifisso,alla luce delle disposizioni impartite dal
Ministro di Polizia Francesco Saverio Del Carretto e attuate in
Basilicata dal Brigadiere Giuseppe Brocchetti. Una grande processione,
con la scultura lignea attribuita al ven. fra Umile da Petralia ,fu
realizzata per proteggere il paese dal colera.
Per evitare di impaurire la popolazione ,il trasporto dei defunti
avveniva alle prime ore del mattino . Il traino con il cavallo era
pronto davanti alla chiesa per fare il giro del paese. La civetta
osservava la scena dal campanile della Collegiata e ogni volta che
l’uccellaccio squittiva preannunziava una” morte”. Il custode del
cimitero con tre frati Minori dell’Osservanza del convento di San.
Francesco provvedevano a passare con il carro per ritirare il cadavere.
La salma veniva rimossa con le lenzuola immediatamente nella cassa di
legno. Per schivare i contagi il funerale era proibito e la benedizione
del morto veniva effettuata, davanti alla casa deceduto, da un frate. I
familiari accompagnavano il defunto percorrendo le strade deserte del
borgo. La bara veniva posta nello spazio posto all’estremità del
costruendo cimitero “Sin dal 1845 fu aperto il nostro Camposanto, con
una bella Cappella,quella cioè di S.Vito, con una camera del custode, ed
altra per le sezioni” da Notizie Storiche di Miglionico di Teodoro
Ricciardi. Distante dalla fossa comune, erano poste le tombe di alcune
famiglie facoltose con lapide e iscrizione. Il cholera morbus mieteva
vittime. Il 6 Novembre 1838 moriva a Napoli l’arciprete Orazio Onorati,
gli succedeva nel’aprile del 1839 il letterato arciprete Pietrangelo
Bilotta.
Solo nel settembre 1837 il morbo asiatico venne dichiarato
“estinto”.Dopo quel 1836 e anche quel 1837 e rarissimi casi nel 1838 ,
il colera sarebbe ricomparso ancora in Italia nel 1849,nel1854-1855,nel
1865-1867,1884-1886 e1893,e a Napoli in modo particolare nel 1884 quando
la città non era più capitale DELLE DUE SICILIE,ma una provincia del
Regno d’Italia. MIMMO SARLI
Roma 20 Novembre 2020 |
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