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GIUSEPPE LEO SABINO |
Perché bisogna salvarli prima che sia troppo tardi, ne rimangono
solamente due esemplari a Miglionico |
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La
Gazzetta del Mezzogiorno |
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Miglionico
- Pochi sanno che nel territorio del Comune di Miglionico sta per
perdersi definitivamente un elemento paesaggistico di estrema
importanza: si tratta del "pagliaro", singolare manufatto rurale
d uso di rifugio estemporaneo che i contadini erigevano nei loro
poderi ove mancava la pur caratteristica casetta. Questi pagliari,
di cui esistono soltanto due esemplari originali, un tempo
pullulavano nell'agro miglionichese e soltanto nell'agro di quel
comune, poiché non ci risulta esservene in nessuna altra parte
d'Italia e forse anche del mondo, beninteso con quella forma e
costruito col medesimo materiale. Venivano impiantati in luoghi
asciutti e solatii, a forma di cono regolare, con l'ingresso rivolto
a est, est-sud-est e messi su con la impareggiabile maestria di cui
soltanto i nostri contadini sono capaci, tanto da sfidare qualunque
genere di intemperie (tempeste di vento - qui il maestrale, chiamato
ponente, è davvero impetuoso e violento - temporali, acquazzoni,
vetustà, ecc.) e nessun contadino ha mai ricostruito alcun pagliaro
dopo questi tipi di fenomeni atmosferici. Com'era costruito? Dopo
aver scelto il posto adatto, in posizione dominante rispetto
al campo e non di rado addossato ad un albero, si spianava il
terreno per avere un cerchio di circa tre metri di diametro lo si
batteva per ottenere un piano compatto; si infìggevano nel terreno
alcuni pali - una decina - e non tutti della medesima altezza,
facendo sì che molti di essi si toccassero nella parte superiore;
questa struttura che potremmo chiamare scheletro, si dotava
orizzontalmente di una serie di cinture circolari in pertiche di
olmo fissate a questi pali. Su dette pertiche si fissavano a cima in
giù, con dei virgulti di ginestra o lentisco, a cominciare dal
basso, dei fasci di cannetta nana già predisposti, (ne occorrevano
80/100 fasci); il secondo giro di fasci era sovrapposto al primo e
con ciò si otteneva che i fasci avevano il bordo superiore disposto
verso l'interno. Questo costituiva la "camicia" e quando la
struttura era completata la si cospargeva di un leggero strato di
paglia per otturare eventuali interstizi ed impedire all'acqua
piovana di penetrare nell'interno del manufatto. Va detto che la
scelta della cannetta nana non è un fatto casuale: la canna - ed
anche la cannetta - ha la corteccia formata da una ibra compatta,
resistente ed idrorepellente simile a quel prodotto commerciale
denominato "formica" e questo garantiva lo scorrimento dell'acqua
piovana, di scivolare giù e perdersi nel terreno. L'ingresso era a
livello del piano calpestio (senza scalini), rivolto, come si è
detto verso est o est-sud-est, l’altezza variava da un metro e venti
ai due metri circa e rimaneva sempre aperto per evitare
scassinamenti e per consentire a chiunque - anche estranei - di
ripararsi in caso di temporali. Il pagliaro poteva raggiungere anche
i sei metri di altezza ed era dotato di uno sfiatatoio- fùmaiolo
centrale per la fuga del fumo, perché nel pagliaro si poteva
accendere anche il fuoco con le dovute precauzioni. Ciò che si
vorrebbe da chi di dovere, amministratori pubblici, enti pubblici ed
anche privati, è che si facesse qualcosa di concreto per tentare di
recuperare questo patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale,
artistico ed antropologico, ma intervenire subito, diremmo
immediatamente per diversi motivi fra i quali c'è quello
determinante che esistono ancora coloro che sanno costruirli nella
maniera corretta e secondo la tradizione. Poi, chissà.
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